Cassazione penale, sez. IV, 28 febbraio 2018, n. 9133
Non è configurabile la responsabilità per il reato di epidemia colposa in ragione di condotte omissive
In tema di delitto di epidemia colposa, non è configurabile la responsabilità a titolo di omissione in quanto l’art. 438 c.p., con la locuzione «mediante la diffusione di germi patogeni», richiede una condotta commissiva a forma vincolata, incompatibile con il disposto dell’art. 40, comma 2, c.p., riferibile esclusivamente alle fattispecie a forma libera.
«La dottrina maggioritaria nonché la giurisprudenza di merito e anche di legittimità (Sez. 4, n. 2597 del 26/01/2011, Ceriello, sia pure in un obiter dictum) hanno infatti sottolineato che il fatto tipico previsto nell’art. 438 cod. pen. è modellato secondo lo schema dell’illecito causalmente orientato in quanto il legislatore ha previsto anche il percorso causale, con la conseguenza che il medesimo evento realizzato a seguito di un diverso percorso, difetta di tipicità. Pertanto l’epidemia costituisce l’evento cagionato dall’azione incriminata la quale deve estrinsecarsi secondo una precisa modalità di realizzazione, ossia mediante la propagazione volontaria o colpevole di germi patogeni di cui l’agente sia in possesso.
Tale interpretazione ermeneutica della norma risulta chiaramente esplicitata nella relazione del Guardasigilli ai lavori preparatori del codice penale in cui veniva sottolineata, a giustificazione della incriminazione e della gravità delle pene contemplate, “l’enorme importanza che ormai ha acquistato la possibilità di venire in possesso di germi, capaci di cagionare una epidemia, e di diffonderli…”.
La materialità del delitto è costituita sia da un evento di danno rappresentato dalla concreta manifestazione, in un certo numero di persone, di una malattia eziologicamente ricollegabile a quei germi patogeni che da un evento di pericolo, rappresentato dalla ulteriore propagazione della stessa malattia a causa della capacità di quei germi patogeni di trasmettersi ad altri individui anche senza l’intervento dell’autore della originaria diffusione.
La norma evoca, all’evidenza, una condotta commissiva a forma vincolata di per sè incompatibile con il disposto dell’art. 40 c.p., comma 2, riferibile esclusivamente alle fattispecie a forma libera, ovvero a quelle la cui realizzazione prescinde dalla necessità che la condotta presenti determinati requisiti modali.
Alla stregua degli enunciati principi non risulta aderente al dettato normativo l’assunto dei giudici di merito che, seguendo un indirizzo dottrinario del tutto minoritario, inquadrano la fattispecie di cui all’art. 438 cod. pen. e del correlato art. 452 c.p., comma 2, nella categoria dei c.d. “reati a mezzo vincolato”.
Secondo tale opzione ermeneutica il legislatore, con la locuzione “mediante la diffusione di germi patogeni”, avrebbe inteso solo demarcare il tipo di evento rilevante, ovvero le malattie infettive, e non già indicare una puntuale tipologia di condotta.
Detta ricostruzione interpretativa risulta riduttiva in quanto finisce per disapplicare la predetta locuzione che rappresenta uno degli elementi essenziali della fattispecie; Né può fondatamente ritenersi che l’espressione contenuta nell’art. 438 cod. pen. sia meramente pleonastica o addirittura tautologica.
Va infine sottolineato che l’imputazione mossa dalla pubblica accusa si fonda sull’applicazione dell’art. 40 c.p., comma 2, in quanto viene mosso un rimprovero a titolo di responsabilità per omesso impedimento dell’evento.
La costruzione giuridico – concettuale di detta contestazione è, dunque, incompatibile con la natura giuridica del reato di epidemia».
Art. 438 Codice Penale
Epidemia.
Chiunque cagiona un’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni è punito con l’ergastolo.
Se dal fatto deriva la morte di più persone, si applica la pena [di morte].
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Cassazione penale, sez. IV, 28 febbraio 2018, n. 9133