Cassazione penale, sez. I, 20 maggio 2013, n. 21362
Ai sensi dell’art. 22, comma 12 del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (“Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”), “il datore di lavoro che occupa alle proprie dipendenze lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno, ovvero il cui permesso sia scaduto e del quale non sia stato chiesto, nei termini di legge, il rinnovo, revocato o annullato, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa di 5000 euro per ogni lavoratore impiegato”.
Con la sentenza in esame il Supremo Collegio ha specificato che la condotta sanzionata dalla norma (“datore di lavoro che occupa”) costituisce elemento integrante la fattispecie de qua non soltanto nell’ipotesi di assunzione dell’immigrato straniero tramite contratto di lavoro, ma anche nel caso di effettivo utilizzo di questi da parte del datore di lavoro. Il datore imputato del suddetto reato non potrà dunque
invocare ad esclusione della propria responsabilità penale la mancata
assunzione del cittadino extracomunitario irregolare. Tuttavia, l’intervento di modifica della norma succitata ad opera del D.L. 23 maggio 2008, n. 92, art. 5, comma 1 ter, convertito in L. 24 luglio 2008, n. 125, che ha insaprito il trattamento sanzionatorio della fattispecie, mutandola da reato contravvenzionale in delitto, ha reso penalmente irrilevante la responsabilità colposa del datore poiché,
ai sensi dell’art. 42 c.p., comma 2, il fatto è ora punito solamente se
commesso con dolo, non essendo nulla di diverso espressamente preveduto
dalla norma incriminatrice. Ne deriva pertanto che “l’errore, ancorché colposo, del datore di lavoro sul possesso di regolare permesso di soggiorno da parte dello straniero impiegato, cadendo su elemento normativo integrante la fattispecie, comporta l’esclusione della responsabilità penale”.
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Cassazione penale, sez. I, 20 maggio 2013, n. 21362