Cassazione civile, sez. lavoro, 20 luglio 2012, n. 12693
«In tema di rapporto di lavoro irregolare, la lavoratrice in stato di gravidanza o puerperio licenziata nonostante il divieto di licenziamento ha diritto alle retribuzioni successive alla data di effettiva cessazione del rapporto, indipendentemente dall’invio della relativa certificazione medica ove il datore di lavoro abbia avuto comunque conoscenza effettiva dello stato di gravidanza».
Specifica altresì la corte:
«È pur vero che questa Corte di legittimità (ex multis, Cass. 2244/2006 e successive conformi) ha ritenuto che il divieto di licenziamento di cui all’art 2 della legge n. 1204 del 1971 opera in connessione con lo stato oggettivo di gravidanza o puerperio e, pertanto, il licenziamento intimato nonostante il divieto comporta, anche in mancanza di tempestiva richiesta di ripristino del rapporto, il pagamento delle retribuzioni successive alla data di effettiva cessazione del rapporto, le quali maturano a decorrere dalla presentazione del certificato attestante lo stato di gravidanza (art. 4 d.P.R. n.1026 del 1976).
Tuttavia questo non significa che la presentazione del certificato sia indispensabile, anche soltanto al fine limitato del diritto alla retribuzione, e che non possa essere sostituita, a tutti gli effetti, dalla conoscenza effettiva, ottenuta anche altrimenti, che il datore di lavoro abbia avuto dello stato eli gravidanza della lavoratrice (v., in tal senso Cass. 3620 del 2007).
Ciò ancor più nel lavoro irregolare, ove la lavoratrice, che versa nella condizione peculiare di un rapporto di lavoro mai formalizzato può nondimeno ritenere di non dover assolvere alcun onere di documentazione a cagione dell’irregolarità del rapporto di lavoro, mentre il datore di lavoro, pur avendo conoscenza effettiva dello stato di gravidanza della dipendente, si gioverebbe di un più contenuto obbligo retributivo a cagione del tempo e delle modalità con cui la lavoratrice abbia documentato, con certificazioni mediche, il predetto stato.
In tale contesto va, pertanto, richiamata quella giurisprudenza secondo cui la certificazione “risponde ad una mera funzione probatoria, che può essere assolta anche con mezzi diversi” (Cass. 16505/2004), e l’invio del certificato può trovare un equipollente “nella conoscenza dello stato di gravidanza da parte del datore di lavoro” (Cass., SU, 2248/1988)».
Cassazione civile, sez. lavoro, 20 luglio 2012, n. 12693