Cassazione civile, sez. lavoro, 15 gennaio 2014, n. 687
La liquidazione del danno non patrimoniale deve essere complessiva e cioè tale da coprire l’intero pregiudizio a prescindere dai “nomina iuris” dei vari tipi di danno, i quali non possono essere invocati singolarmente per un aumento della anzidetta liquidazione.
Questo il principio di diritto ricavabile dalla disamina della sentenza Cass. Civ. sez. lavoro n. 687 del 15.01.2014 nella quale, in conformità a quanto statuito nella decisione a S.U. n. 26972/2008, i Supremi Giudici ribadiscono che il pregiudizio non patrimoniale costituisca una categoria generale di danno, non suscettibile di suddivisione in sottocategorie variamente denominate, la cui risarcibilità è ammessa nei soli casi previsti dalla legge ovvero, in adesione al principio della tutela minima risarcitoria, in quelli in cui il fatto illecito abbia leso interessi di rilievo costituzionale, riferibili alla persona umana e non valutabili economicamente.
Ciò, evidenzia ancora una volta la Corte, a condizione, però, che siano state adeguatamente allegate e provate la gravità della lesione e la serietà del danno, che deve avere superato il normale livello di tollerabilità, e che non siano risarcite «due volte le medesime conseguenze pregiudizievoli».
Tali premesse sono, pertanto, ritenute idonee a suffragare la fondatezza delle doglianze sollevate con il settimo motivo del ricorso per Cassazione dal Comune di Casaletto Spartano, condannato dal Giudice del gravame a risarcire sia il danno da riduzione della capacità lavorativa che quello morale ad una donna che, dopo essere stata per lungo tempo dirigente del settore tributi, era stata assegnata a nuove funzioni presso la locale biblioteca, in una stanza in disuso ed in condizioni di totale inattività.
Infatti, sebbene il giudicante debba tenere conto di tutte le peculiari modalità di atteggiarsi del danno non patrimoniale nel singolo caso, il Supremo Collegio sostiene che sia erronea la sentenza di merito che, attraverso il ricorso al danno biologico ed al danno morale abbia ammesso «un separato ed autonomo risarcimento di specifiche fattispecie di sofferenza patite dalla persona (danno alla vita di relazione, danno estetico, danno esistenziale ecc.), che costituirebbero vere e proprie duplicazioni risarcitorie».
Cassazione civile, sez. lavoro, 15 gennaio 2014, n. 687