Cassazione penale, sez. III, 4 aprile 2023, n. 36572
Integra detenzione penalmente rilevante la partecipazione a chat di gruppo in cui è diffuso materiale pedo pornografico
In tema di pornografia minorile la Terza Sezione penale della S.C. ha affermato che integra la detenzione penalmente rilevante ai sensi dell’art. 600-quater, comma primo, cod. pen. la disponibilità di file di contenuto pedopornografico archiviati sul cloud storage di una chat di gruppo accessibili, per il tramite delle proprie credenziali, da parte di ogni componente del gruppo che abbia ad esso consapevolmente preso parte ad esso.
Nella sentenza si osserva che il concetto di detenzione nel contesto della legislazione penale prescinde integralmente dall’animus ma è limitato alla mera disponibilità materiale di un bene ed alla sua sostanziale fruibilità.
Per quanto riguarda i file, siano essi di immagini o video ritraenti contenuti di carattere pornografico, gli stessi, lungi dal poter essere definiti entità astratte attesa la loro consistenza fisicamente tangibile sol che si consideri l’unità di misura che li contraddistingue, volta a quantificare lo spazio fisicamente occupato all’interno di un server, condividono con i beni immateriali la caratteristica di poter essere utilizzati da più soggetti anche contemporaneamente senza che l’esercizio dell’uno impedisca quello degli altri.
Ne consegue la necessità di ampliare, in conformità all’evoluzione delle tecnologie e delle correlate condotte correnti, il concetto di detenzione sganciandolo dalla relazione materiale con la res intesa in termini strettamente fisici e spostandone, invece, il fulcro sulla fruibilità della res in termini non solo concreti, ma anche potenziali, che prescindono cioè dall’utilizzo effettivo.
Già in precedenza la Suprema Corte ha avuto modo di estendere, proprio ai fini dell’individuazione della condotta penalmente rilevante ai sensi dell’art. 600 quater comma 1 c.p., la detenzione di file di contenuto pedopornografico alla condotta di chi aveva immesso ed archiviato i suddetti file sul cloud storage di un sito associato al suo indirizzo email, cui poteva liberamente accedere attraverso credenziali di accesso esclusive o comunque note a chi le utilizzi (Sez. 3, Sentenza n. 4212 del 19/01/2023 Rv. 284134).
Nel caso di specie si tratta di file accessibile attraverso una chat di gruppo a cui si può prendere parte solo grazie ad un link di invito o comunque su iniziativa dell’amministratore del gruppo ma, in ogni caso, una volta entrato nella chat, qualunque partecipante ha accesso alle conversazioni e ai contenuti condivisi all’interno del gruppo, potendo leggere i messaggi precedenti, inviarne di propri, condividere file, foto, video e partecipare alle conversazioni con gli altri componenti.
Ciò significa che tutti i contenuti, che, una volta immessi vengono automaticamente salvati con il sistema cloud storage nella chat del gruppo, diventano patrimonio comune di ogni componente del gruppo stesso, il quale è libero di accedervi, consultarli, condividerli al pari di ogni detentore individuale.
Quello che però deve in tal caso sussistere, al fine di scongiurare il rischio che un utente ignaro che, per caso fortuito o per mera curiosità si trovi ad accedere ad una chat dai contenuti penalmente rilevanti o nella quale gli stessi siano stati solo occasionalmente immessi, sia chiamato a rispondere in via automatica del reato in contestazione, è la consapevolezza della sua partecipazione ad una chat che presenti contenuti integranti la violazione del relativo un precetto penale, e dunque costituita allo specifico fine di condividere materiale pedopornografico.
È invero la piena cognizione dell’operato altrui all’interno di una chat collettiva di cui si entri a far parte quella che nella sostanza equipara la condotta di chi ha libero accesso alla cartella dei file condivisi dal gruppo, costituito al precipuo fine di condividere materiale pedopornografico, a quella di chi archivia foto e video di natura pedopornografica sul cloud storage di un account di cui abbia l’utilizzo esclusivo, esattamente come nel caso esaminato da questa Corte con la sentenza n. 4213/2023 sopra citata.
La dimostrazione di siffatta consapevolezza, che rileva sul piano dell’elemento psicologico del delitto ex art. 600 quater comma 1 c.p., grava conseguentemente sull’organo dell’accusa e di essa deve dare puntualmente conto il giudice nel pronunciare l’eventuale sentenza di condanna.
Art. 600 quater Codice Penale
Detenzione o accesso a materiale pornografico
1. Chiunque, al di fuori delle ipotesi previste dall’articolo 600-ter, consapevolmente si procura o detiene materiale pornografico realizzato utilizzando minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa non inferiore a euro 1.549.
2. La pena è aumentata in misura non eccedente i due terzi ove il materiale detenuto sia di ingente quantità.
3. Fuori dei casi di cui al primo comma, chiunque, mediante l’utilizzo della rete internet o di altre reti o mezzi di comunicazione, accede intenzionalmente e senza giustificato motivo a materiale pornografico realizzato utilizzando minori degli anni diciotto è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa non inferiore a euro 1.000.
Clicca e scarica il testo integrale della sentenza ⇣
Cassazione penale, sez. III, 4 aprile 2023, n. 36572