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Assicurazioni Responsabilità civile Civile e procedura civile Giurisprudenza

Nessun risarcimento iure hereditatis se la morte è immediata.

Avv. Gianluca Lancianodi Avv. Gianluca Lanciano1 Luglio 2016Aggiornato il:1 Luglio 2016
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iscrizione contemporanea a due albi professionali

Cassazione civile, sez. unite, 22 luglio 2015, n. 15350

Nel caso di morte immediata – o che segua entro brevissimo lasso di tempo alle lesioni – secondo le Sezioni Unite della Cassazione è escluso che possa essere invocato un diritto al risarcimento del danno iure hereditatis da parte dei congiunti del defunto.
La Corte nell’assumere tale decisione si ricollega ad un orientamento giurisprudenziale molto risalente nel tempo, richiamando le sezioni unite n. 3475 del 22 dicembre 1925 (“se è alla lesione che si rapportano i danni, questi entrano e possono logicamente entrare nel patrimonio del lesionato solo in quanto e fin quando il medesimo sia in vita. Questo spentosi, cessa anche la capacità di acquistare, che presuppone appunto e necessariamente resistenza di un subbietto di diritto.”) e quindi alla più recente sentenza delle sezioni unite n. 26972 del 2008 (Le sezioni unite sul danno esistenziale).
In sostanza il ragionamento degli ermellini si fonda sulla distinzione del bene “vita” dal bene “salute” per cui nel caso di morte cagionata da atto illecito, il danno che ne consegue è rappresentato dalla perdita del bene giuridico “vita” che costituisce bene autonomo, fruibile solo in natura da parte del titolare e insuscettibile di essere reintegrato per equivalente (cass. n. 1633 del 2000; n. 7632 del 2003; n. 12253 del 2007). La morte, quindi, non rappresenta la massima offesa possibile del diverso bene “salute”, pregiudicato dalla lesione dalla quale sia derivata la morte, diverse essendo, ovviamente, le perdite di natura patrimoniale o non patrimoniale che dalla morte possono derivare ai congiunti della vittima, in quanto tali e non in quanto eredi. “La morte è nulla, per i vivi come per i morti: perché per i vivi essa non c’è ancora, mentre per quanto riguarda i morti, sono essi stessi a non esserci.”.

Piuttosto discutibili le motivazioni addotte dalla Corte avverso alcuni dei motivi del ricorso.

Secondo parte ricorrente la negazione di un credito risarcitorio della vittima, trasmissibile agli eredi, per la perdita della vita, seguita immediatamente o a brevissima distanza di tempo dalle lesioni subite, sarebbe contrastante con la coscienza sociale alla quale rimorderebbe che la lesione del diritto primario alla vita fosse priva di conseguenze sul piano civilistico (cass. n. 1361 del 2014), anche perché, secondo un’autorevole dottrina, se la vita è oggetto di un diritto che appartiene al suo titolare, nel momento in cui viene distrutta, viene in considerazione solo come bene meritevole di tutela nell’interesse dell’intensa collettività.
Secondo la Suprema Corte “pretendere che la tutela risarcitoria sia data “anche” al defunto corrisponde, a ben vedere, solo al contingente obiettivo di far conseguire più denaro ai congiunti”.

Secondo parte ricorrente sarebbe contraddittorio concedere onerosi risarcimenti dei danni derivanti da lesioni gravissime e negarli del tutto nel caso di illecita privazione della vita, con ciò contraddicendo sia il principio della necessaria integralità del risarcimento che la funzione deterrente che dovrebbe essere riconosciuta al sistema delia responsabilità civile e che dovrebbe portare a introdurre anche nel nostro ordinamento la categoria dei danni punitivi.
Secondo la Suprema Corte l’argomento, “di indubbia efficacia retorica, è in realtà solo suggestivo, perché non corrisponde al vero che, ferma la rilevantissima diversa entità delle sanzioni penali, dall’applicazione della disciplina vigente le conseguenze economiche dell’illecita privazione della vita siano in concreto meno onerose per l’autore dell’illecito di quelle che derivano dalle lesioni personali, essendo indimostrato che la sola esclusione del credito risarcitorio trasmissibile agli eredi, comporti necessariamente una liquidazione dei danni spettanti ai congiunti di entità inferiore”.

Secondo parte ricorrente il credito risarcitorio del danno da perdita della vita si acquisirebbe istantaneamente al momento dell’evento lesivo che, salvo rare eccezioni, precede sempre cronologicamente la morte cerebrale.
Secondo la Suprema Corte “l’anticipazione del momento di nascita del credito risarcitorio al momento della lesione verrebbe a mettere nel nulla la distinzione tra il “bene salute” e il “bene vita”. Peraltro, se tale anticipazione fosse imposta dalla difficoltà di quantificazione del lasso di tempo intercorrente tra morte e lesione, necessario a far sorgere nel patrimonio della vittima il credito risarcitorio, sarebbe facile osservare, da un lato, che da punto di vista giuridico è sempre necessario individuare un momento convenzionale di conclusione del processo mortale, come descritto dalla scienza medica, al quale legare la nascita del credito, e dall’altro, che l’individuazione dell’intervallo di tempo tra morte e lesione, rilevante ai fini del riconoscimento del credito risarcitorio, è operazione ermeneutica certamente delicata e che presenta margini di incertezza, ma del tutto conforme a quella che il giudice è costantemente impegnato ad operare quando è costretto a fare applicazione di concetti generali e astratti”.

Clicca e scarica il testo integrale della sentenza ⇣
Cassazione civile, sez. unite, 22 luglio 2015, n. 15350

Disclaimer: Contenuti a scopo informativo e divulgativo che non sostituiscono il parere legale di un avvocato. Per una consulenza legale personalizzata contatta lo studio dell’avv. Gianluca Lanciano: Clicca e compila il form · WhatsApp 340.1462661 · Chiama 340.1462661 · Scrivi info@miolegale.it
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