Cassazione civile, sez. I, 23 aprile 2008, n. 10575
Ai fini della ripartizione della pensione di reversibilità tra coniuge ed ex coniuge del defunto rileva solo la durata legale di ciascuno dei due matrimoni.
Non rileva invece la circostanza che l’effettiva durata della convivenza familiare e del rapporto affettivo sia stata di fatto inferiore in quanto l’ex coniuge, per tutta la durata della separazione, ha convissuto con una terza persona.
«Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte:
a) la ripartizione del trattamento di reversibilità, in caso di concorso fra coniuge divorziato e coniuge superstite aventi entrambi i requisiti per la relativa pensione, deve essere effettuata, oltre che sulla base del criterio della durata dei rispettivi matrimoni, anche ponderando (alla luce della sentenza interpretativa di rigetto della Corte costituzionale n. 419 del 1999) ulteriori elementi, correlati alla finalità solidaristica che presiede al trattamento di reversibilità, da individuare facendo riferimento all’entità dell’assegno di divorzio riconosciuto all’ex coniuge ed alle condizioni economiche dei due, nonchè alla durata delle rispettive convivenze prematrimoniali (Cass. 10 maggio 2007 n. 10669, Cass. 9 marzo 2006 n. 5060, Cass. 7 marzo 2006 n. 4868, Cass. 30 marzo 2004 n. 6272);
b) gli ulteriori elementi – da utilizzare eventualmente quali correttivi del criterio temporale e da individuare nell’ambito della L. n. 898 del 1970, art. 5, – sono funzionali allo scopo di evitare che il primo coniuge sia privato dei mezzi indispensabili per il mantenimento del tenore di vita che gli avrebbe dovuto assicurare nel tempo l’assegno di divorzio ed il secondo sia privato di quanto necessario per la conservazione del tenore di vita che il “de cuius” gli aveva assicurato in vita. In quest’ambito, se deve escludersi che l’applicazione del criterio temporale si risolva nell’impossibilità di attribuire una maggiore quota di pensione al coniuge il cui matrimonio sia stato di minore durata, resta fermo il divieto di giungere, attraverso la correzione del medesimo criterio temporale, sino al punto di abbandonare totalmente ogni riferimento alla durata dei rispettivi rapporti matrimoniali (Cass. 31 gennaio 2007 n. 2092);
c) non tutti i suddetti ulteriori elementi devono necessariamente concorrere nè essere valutati in eguale misura, rientrando nell’ambito del prudente apprezzamento del giudice di merito la determinazione della loro rilevanza in concreto (Cass. 6272/2004 cit.).
La tesi del ricorrente – secondo cui per stabilire la durata del matrimonio della Z. dovrebbe farsi riferimento al solo periodo della convivenza coniugale, mentre dovrebbe escludersi il periodo della separazione, durante il quale la Z. avrebbe convissuto con un altro uomo – non è compatibile con la previsione normativa contenuta nella L. n. 898 del 1970, art. 9, comma 3, secondo cui la durata del rapporto costituisce il criterio per la ripartizione della pensione tra coniuge divorziato e coniuge superstite. La formula “durata del rapporto”, secondo quanto già affermato da questa Corte, va riferita alla durata dei rispettivi matrimoni, coincidente con la durata legale dei medesimi, vale a dire, quanto al coniuge divorziato, fino alla sentenza di divorzio (Cass. 10 maggio 2007 n. 10669; vedi anche Cass. 7 marzo 2006 n. 4868, Cass. 10 ottobre 2003 n. 15164).
Il criterio temporale previsto dall’art. 9, comma 3, prescinde quindi dalla reale durata del rapporto affettivo, mentre la convivenza della Z. con un altro uomo nel periodo della separazione da V. L. non assume rilievo nemmeno come criterio correttivo della durata dei rapporti matrimoniali, non trattandosi di una convivenza prematrimoniale di V.L. con l’ex coniuge ovvero con il coniuge superstite».
Cassazione civile, sez. I, 23 aprile 2008, n. 10575