Cassazione civile, sez. lavoro, 13 agosto 2008, n. 21586
Il periodo di prova nelle amministrazioni pubbliche è obbligatorio e le assunzioni sono assoggettate all’esito positivo dello stesso.
La Suprema Corte di Cassazione, richiamando importanti pronunce della Corte Costituzionale (Corte Cost. n. 313/1996; Corte Cost. n. 309/1997; Corte Cost. n. 89/2003; Corte Cost. n. 199/2003) ha ribadito che l’istituto della prova nel rapporto di lavoro alle dipendenze di pubbliche amministrazioni è regolato dal d.lgs. n. 165 del 2001, che rappresenta una lex specialis, che deroga, rendendo inapplicabile, l’art. 2096 c.c. e i principi elaborati dalla giurisprudenza sulla base di detta norma.
In altre parole, mentre nell’impiego privato è pacifico ritenere che il patto di prova debba essere predisposto in forma scritta a pena di nullità, con la conseguenza che, in mancanza di detta formalità lo stesso deve considerarsi nullo e l’assunzione del lavoratore va considerata definitiva (Cass. 26/5/95, n. 5811: Cass. S.U. 9/3/83 n. 1756; Cass. 20/8/87 n. 6982; Cass. 24/8/91 n. 9101; Cass. 19/11/93, n. 11427), nel pubblico impiego il periodo di prova scaturisce direttamente per effetto ex lege e non per effetto di un patto inserito nel contratto di lavoro dall’autonomia contrattuale.
In particolare, l’art. 70, comma 13, dispone, infatti, che “in materia di reclutamento, le pubbliche amministrazioni applicano la disciplina prevista dal D.P.R. 9 maggio 1994, n. 487, e successive modificazioni ed integrazioni, per le parti non incompatibili con quanto previsto dagli artt. 35 e 36, salvo che la materia venga regolata, in coerenza con i principi ivi previsti, nell’ambito dei rispettivi ordinamenti”. Mentre l’art. 17 della richiamata fonte normativa (Assunzioni in servizio), al comma 1, dispone che “i candidati dichiarati vincitori sono invitati, a mezzo assicurata convenzionale, ad assumere servizio in via provvisoria, sotto riserva di accertamento del possesso dei requisiti prescritti per la nomina e sono assunti in prova nel profilo professionale di qualifica o categoria per il quale risultano vincitori. La durata del periodo di prova è differenziata in ragione della complessità delle prestazioni professionali richieste e sarà definita in sede di contrattazione collettiva”. La regola è poi ripetuta dall’art. 28, comma 1, con riguardo alle assunzioni degli avviati al lavoro dagli uffici di collocamento, in cui si prevede che “le amministrazioni e gli enti interessati procedono a nominare in prova e ad immettere in servizio i lavoratori utilmente selezionati, anche singolarmente o per scaglioni, nel rispetto dell’ordine di avviamento e di graduatoria integrata”.
Nel quadro così delineato, in definitiva, si può riassumere che nell’impiego pubblico il periodo di prova è stabilito direttamente dalla legge, mentre il contratto collettivo è abilitato esclusivamente alla determinazione della durata dello stesso, il quale vincola il contratto individuale.
La Corte, nella sentenza in esame, affronta anche la questione del recesso durante il periodo di prova, e a tal proposito afferma che i principi enucleati dalla Corte Costituzionale in tema di recesso dal rapporto di lavoro subordinato di diritto comune in prova (Corte Cost., 22 dicembre 1980, n. 189) sono certamente applicabili al periodo di prova ex lege dei dipendenti pubblici.
Al riguardo, si ribadisce che, anche nei rapporti di lavoro “privatizzati” alle dipendenze di pubblica amministrazione, il recesso del datore di lavoro nel corso del periodo di prova ha natura discrezionale e dispensa dall’onere di provarne la giustificazione (altrimenti sarebbe equiparato ad un recesso assoggettato alla L. n. 604 del 1966), fermo restando che l’esercizio del potere di recesso deve essere coerente con la causa del patto di prova, che consiste nel consentire alle parti del rapporto di lavoro di verificarne la reciproca convenienza.
Infine, riguardo all’obbligo di motivare il recesso in periodo di prova, contrattualmente previsto, con specifico riferimento al lavoro pubblico, il Collegio, pur ammettendone la verificabilità giudiziale della coerenza delle ragioni del recesso rispetto alla finalità della prova e all’effettivo andamento della stessa, conformemente ad un consolidato orientamento giurisprudenziale (Cass. 5 novembre 2007, n. 23061; Cass. 8 gennaio 2008, n. 143) è dell’avviso che la pubblica amministrazione datrice di lavoro è sempre titolare di un potere di valutazione discrezionale che la dispensa dall’onere di provarne la giustificazione (altrimenti sarebbe equiparato ad un recesso assoggettato alla L. n. 604 del 1966), fermo restando che l’esercizio del potere di recesso deve essere coerente con la causa del patto di prova.
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Cassazione civile, sez. lavoro, 13 agosto 2008, n. 21586