Consiglio di Stato, sez. V, 25 gennaio 2012, n. 326
«L’art. 6, comma 1, della L. n. 407 del 1990 (Età pensionabile e prosecuzione del rapporto di lavoro) stabilisce che “Gli iscritti all’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed …alle gestioni sostitutive, esonerative o esclusive della medesima possono continuare a prestare la loro opera fino al compimento del sessantaduesimo anno di età (età elevata a sessantacinque anni dall’art. 1, D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 503), anche nel caso in cui abbiano raggiunto l’anzianità contributiva massima utile prevista dai singoli ordinamenti…”.
Quanto alle modalità per l’esercizio di tale facoltà, il comma 2, stabilisce che “…l’esercizio della facoltà di cui al comma 1 deve essere comunicato al datore di lavoro ed all’ente previdenziale competente almeno sei mesi prima della data di conseguimento del diritto alla pensione di vecchiaia..”.
Ciò posto, va osservato che la citata disciplina riguarda sia la generalità dei lavoratori privati, sia la generalità dei dipendenti pubblici, iscritti in larga maggioranza nelle gestioni “esclusive” dell’assicurazione generale obbligatoria che gestiscono forme di previdenza “esclusiva” dell’assicurazione generale obbligatoria.
Tanto trova ragione nell’interpretazione letterale della disposizione citata ed anche nella disposizione dell’art. 1 comma 2, del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, che nel prevedere che “il limite di età previsto per l’applicazione delle disposizioni contenute nell’art. 6 L. 29 dicembre 1990, n. 407 è elevato fino al compimento del sessantacinquesimo anno”, individua i destinatari della norma negli stessi beneficiari dell’art. 6, ivi menzionato, e cioè negli “iscritti all’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti e alle gestioni sostitutive, esonerative od esclusive della medesima”, ai quali la stessa norma concedeva di continuare a prestare la loro opera “fino al sessantaduesimo anno di età” (cfr. Consiglio Stato , sez. V, 14 novembre 1997 , n. 1315).
La facoltà riconosciuta dalle citate disposizioni di prosecuzione del rapporto di lavoro oltre l’ordinario limite di età non costituisce di per sé un diritto soggettivo pieno, ma diviene tale solo allorché l’interessato abbia esercitato l’opzione, dandone tempestiva comunicazione all’amministrazione e all’ente previdenziale.
La circostanza che l’esercizio di una facoltà del privato sia subordinata a particolari e specifici oneri è situazione ricorrente nell’ordinamento giuridico, che condiziona l’acquisizione di facoltà, previste in via generale in favore della collettività indifferenziata, alla dichiarazione di volontà dell’interessato di volersene avvalere, presentata nei modi indicati dalla legge.
Va, quindi, condiviso quanto affermato dalla Cassazione (cfr. per tutte, Cass. lav., 14 giugno 1999, n. 5900), secondo cui, la preventiva comunicazione al datore di lavoro e all’ente previdenziale della volontà di optare per la prosecuzione del rapporto fino al compimento del sessantaduesimo anno di età previsto dall’art. 6, comma 1, della L. n. 407 del 1990 costituisce un preciso onere al cui adempimento entro il termine previsto (almeno sei mesi prima della data di conseguimento del diritto a pensione di vecchiaia) va riconosciuto carattere decadenziale e che rappresenta condizione di un valido esercizio della facoltà di opzione ed elemento costitutivo del diritto del lavoratore alla prosecuzione del rapporto di lavoro».
Consiglio di Stato, sez. V, 25 gennaio 2012, n. 326