Corte di Giustizia UE, 7 novembre 2013, C. 199-12
I richiedenti asilo omosessuali possono configurare un particolare gruppo sociale, esposto al rischio di persecuzione a causa dell’orientamento sessuale. L’esistenza, nel paese d’origine, di una pena detentiva per atti omosessuali qualificati come reato può, di per sé, costituire un atto di persecuzione, purché tale pena trovi effettivamente applicazione.
Ai sensi di una direttiva europea 2004/83/CE del 29 aprile 2004 (recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta – che fa riferimento alle disposizioni della convenzione di Ginevra del 1951 sullo status dei rifugiati) il cittadino di un paese terzo il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza ad un determinato «gruppo sociale», si trovi fuori dal paese di cui ha la cittadinanza e non possa o, a causa di tale timore, non voglia avvalersi della protezione di detto paese, può chiedere lo status di rifugiato.
La Corte di Giustizia è stata investita di valutare se i cittadini di paesi terzi che siano omosessuali costituiscano un «particolare gruppo sociale» ai sensi della sopra citata direttiva.
É stato inoltre richiesto alla Corte di staibilire secondo quali criteri le autorità nazionali debbano valutare che cosa costituisca un atto di persecuzione con riferimento ad atti omosessuali ed, in particolare, se il fatto di qualificare simili atti, nel paese d’origine del richiedente, come reati passibili di pena detentiva configuri una persecuzione.
Secondo la Corte è pacifico che l’orientamento sessuale di una persona costituisce una caratteristica così fondamentale per la sua identità che essa non dovrebbe essere costretta a rinunciarvi. A tale riguardo, la Corte ammette che l’esistenza di una legislazione penale che riguarda in modo specifico le persone omosessuali consente di affermare che queste costituiscono un gruppo a parte, percepito dalla società circostante come diverso.
In ogni caso gli atti di persecuzione nei confronti degli omosessuali devono essere sufficientemente gravi, per loro natura o frequenza, da rappresentare una violazione grave di diritti umani fondamentali.
Affinché una violazione dei diritti fondamentali costituisca una persecuzione ai sensi della convenzione di Ginevra essa deve raggiungere un determinato livello di gravità. Non tutte le violazioni dei diritti fondamentali a danno di un omosessuale richiedente asilo raggiungeranno pertanto necessariamente tale livello di gravità.
Pertanto, la mera esistenza di una legislazione che qualifica come reato gli atti omosessuali non può essere ritenuta un pregiudizio talmente grave da far ritenere che costituisca una persecuzione ai sensi della direttiva. Una pena detentiva che sanziona gli atti omosessuali può invece, di per sé, costituire un atto di persecuzione, purché essa trovi effettivamente applicazione.
Ne discende che qualora un richiedente asilo faccia valere l’esistenza nel proprio paese d’origine di una legislazione che qualifica come reato taluni atti omosessuali, le autorità dello Stato in cui richiede lo status di rifugiato devono procedere ad un esame di tutti i fatti pertinenti che riguardano tale paese d’origine, comprese le sue disposizioni legislative e regolamentari e le relative modalità di applicazione. Dette autorità debbono in particolare determinare se, nel paese d’origine, la pena detentiva trovi applicazione nella prassi.
Quanto alla questione se sia ragionevole attendersi che, per evitare la persecuzione, un richiedente asilo nasconda la propria omosessualità nel suo paese d’origine o dia prova di riservatezza nell’esprimere tale orientamento sessuale, la Corte risponde negativamente. Essa ritiene che il fatto di esigere dai membri di un gruppo sociale che condividono lo stesso orientamento sessuale che essi lo nascondano è contrario al riconoscimento stesso di una caratteristica così fondamentale per l’identità. Gli interessati non dovrebbero pertanto essere costretti a rinunciarvi. Secondo la Corte, non è quindi lecito attendersi che, per evitare la persecuzione, un richiedente asilo nasconda la propria omosessualità nel suo paese d’origine.
Corte di Giustizia UE, 7 novembre 2013, C. 199-12