Cassazione civile, sez. III, 15 settembre 2008, n. 23676
Il dissenso del paziente ad essere sottoposto a trattamenti sanitari, nell’ipotesi di pericolo grave ed immediato per la vita dello stesso, deve essere oggetto di manifestazione espressa, inequivoca, attuale, informata.
Il dissenso deve seguire e non precedere l’informazione avente ad oggetto la rappresentazione di un pericolo di vita imminente e non altrimenti evitabile, deve risultare attuale e non preventivo, in mancanza di qualsivoglia consapevolezza della gravità effettiva delle proprie condizioni di salute.
«…come la validità di un consenso preventivo ad un trattamento sanitario non appare in alcun modo legittimamente predicabile in assenza della doverosa, completa, analitica informazione sul trattamento stesso, così la efficacia di uno speculare dissenso ex ante, privo di qualsiasi informazione medico-terapeutica, deve ritenersi altrettanto impredicabile, sia in astratto che in concreto, qualora il paziente, in stato di incoscienza, non sia in condizioni di manifestarlo scientemente, e ciò perché altra è l’espressione di un generico dissenso ad un trattamento in condizioni di piena salute, altro è riaffermarlo puntualmente in una situazione di pericolo di vita».
Sulla scorta di tali premesse è stato deciso il caso di un testimone di Geova che aveva chiesto il risarcimento dei danni morali e biologici per essere stato sottoposto ad una serie di trasfusioni di sangue malgrado, in aderenza ai dettami della propria religione, avesse attestato il suo rifiuto ad essere sottoposto a trasfusioni recando con se un cartello “niente sangue”.
Orbene secondo la Corte a fronte di un “sibillino sintagma niente sangue” apposto su un cartellino, il medico curante sarebbe gravato del compito insostenibile di ricostruire sul piano della causalità ipotetica la reale volontà del paziente e di presumere induttivamente la reale “resistenza” delle sue convinzioni religiose a fronte dell’improvviso, repentino, non altrimenti evitabile insorgere di un reale pericolo di vita, scongiurabile soltanto con una trasfusione di sangue.
Pur tuttavia – precisa la Corte – le argomentazioni di cui sopra non debbono condurre a ritenere che ogni qual volta debba essere sottoposto a trattamento d’urgenza un paziente portatore di forti convinzioni etico-religiose (come è appunto il caso dei testimoni di Geova) e che versi in stato di incoscienza ed in pericolo di vita, lo stesso debba per ciò solo subire un trattamento terapeutico contrario alla sua fede.
In tali ipotesi può essere lo stesso paziente a manifestare il dissenso al trattamento trasfusionale, attraverso un’articolata, puntuale ed espressa dichiarazione oppure attraverso un altro soggetto da lui stesso indicato quale rappresentante ad acta il quale, dimostrata l’esistenza del proprio potere rappresentativo, confermi tale dissenso all’esito della ricevuta informazione da parte dei sanitari.
Cassazione civile, sez. III, 15 settembre 2008, n. 23676