Cassazione civile, sez. III, 29 settembre 2021, n. 26301
Danno da perdita del feto, va risarcita la sofferenza morale patita dai congiunti
Il danno da perdita del feto coincide col danno da perdita del rapporto parentale. La perdita del rapporto parentale rileva nella «sua duplice, e non sovrapponibile dimensione morfologica “della sofferenza interiore eventualmente patita, sul piano morale soggettivo, nel momento in cui la perdita del congiunto e percepita nel proprio vissuto interiore, e quella, ulteriore e diversa, che eventualmente si sia riflessa, in termini dinamico-relazionali, sui percorsi della vita quotidiana attiva del soggetto che l’ha subita” (Cass. sent. 11 novembre 2019, n. 28989, approdo definitivo di un lungo e tormentato percorso interpretativo che ha finalmente colto la reale fenomenologia del danno alla persona, come confermato dallo stesso, esplicito dettato legislativo di cui al novellato art. 138 C.d.a., oltre che dalla cristallina sentenza del Giudice delle leggi n. 235/2014 che, nel pronunciarsi sulla conformità a Costituzione del successivo art. 139, e discorrendo di risarcibilità anche del danno morale al punto 10.1. della sentenza, ha definitivamente chiarito la differenza strutturale tra qualificazione della fattispecie e quantificazione del danno).
Aspetti, dunque, come il panico, gli incubi e il mutamento delle abitudini di vita, conseguenti alla morte del feto in utero, non possono considerarsi affatto come un tipo di danno “assolutamente avulso rispetto alla domanda di risarcimento formulata ex art. 2059 c.c.“, risultando tale affermazione errata in diritto, come errata appare quella secondo cui “altro sarebbe il danno non patrimoniale causato dalla perdita del frutto del concepimento, e ben altro sarebbe invece il danno consistente negli strascichi che quel lutto abbia lasciato nell’animo dei protagonisti”.».
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Cassazione civile, sez. III, 29 settembre 2021, n. 26301