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Cassazione civile, sez. lavoro, 7 luglio 2015, n. 13953

Redazionedi Redazione9 Dicembre 2018Aggiornato il:9 Dicembre 2018
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il caso di cui si controverte concerne il licenziamento intimato il 31/12/2008 dalla società G.S. s.p.a. a P.L. per soppressione del punto vendita di (OMISSIS), ove egli era addetto, nell’ambito di un programma di riduzione del personale e di ristrutturazione della società datrice di lavoro.
Con sentenza del 6/3 – 22/3/2012 la Corte d’appello di Napoli, riformando la sentenza di primo grado che aveva respinto l’impugnativa del licenziamento, ha dichiarato l’illegittimità dello stesso ed ha condannato la predetta società a reintegrare il P. nel posto di lavoro e a risarcirgli i danni consequenziali.
A sostegno di tale decisione la Corte di merito ha spiegato che nella comunicazione di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, non vi era traccia dei motivi per i quali l’esubero del personale comportava una limitazione della platea dei lavoratori da licenziare a quelli della sola unità di vendita soppressa, non avendo la parte datoriale operato il doveroso scrutinio dei criteri legali applicabili per la selezione del personale da considerare in eccesso.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso la società G.S. s.p.a. con due motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Resiste con controricorso P.L..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col primo motivo, dedotto per violazione e falsa applicazione della L. 23 luglio 1991, n. 223, artt. 4 e 5, la ricorrente contesta la decisione impugnata, laddove si è ritenuto che la scelta dei lavoratori da licenziare, e per essa la procedura, avrebbe dovuto riguardare anche l’altro supermercato di (OMISSIS), se non addirittura gli altri supermercati della Campania appartenenti alla società, facendo rilevare che il progetto di ristrutturazione riguardava nel caso in esame esclusivamente una unità produttiva dell’azienda.
Aggiunge la ricorrente che per la stessa ragione per la quale nel caso in esame veniva a cessare l’intera unità produttiva con il licenziamento di tutti i suoi addetti non poteva trovare ingresso la norma di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 5, secondo cui la scelta dei lavoratori da licenziare deve osservare i criteri delle anzianità di servizio, dei carichi di famiglia e delle esigenze tecnico-produttive, criteri, questi, che valgono nei casi in cui rimane ancora in servizio parte del personale in organico.
Col secondo motivo, proposto per vizio di motivazione, la ricorrente rileva la contraddittorietà della motivazione nella parte in cui, da un lato, si da atto dell’autonomia del supermercato in cui operava l’odierno intimato e, dall’altro, si osserva che la procedura di mobilità avrebbe potuto essere limitata allo stesso solo se specifiche esigenze aziendali avessero giustificato una tale limitazione, senza che si sia tenuto, però, conto del fatto che tali esigenze erano state indicate nella nota d’avvio della procedura di mobilità.
Osserva la Corte che per ragioni di connessione i due motivi possono essere trattati congiuntamente.
Entrambi i motivi sono infondati.
Invero, per quel che concerne la questione di diritto posta col primo motivo, si osserva che questa Corte ha avuto già occasione di esprimersi al riguardo affermando che “in tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad un’unità produttiva dell’azienda, la platea dei lavoratori interessati può essere limitata agli addetti a tale unità sulla base di oggettive esigenze aziendali ed il datore di lavoro deve indicare nella comunicazione della L. n. 223 del 1991, ex art. 4, comma 3, sia le ragioni alla base della limitazione dei licenziamenti ai dipendenti dell’unità o settore in questione, sia le ragioni per cui non ritiene di ovviare ad alcuni licenziamenti con il trasferimento ad unità produttive geograficamente vicine a quella soppressa o ridotta, onde consentire alle organizzazioni sindacali di verificare l’effettiva necessità dei programmati licenziamenti” (Cass. sez. lav. n. 22655 dell’11/12/2012).
Più di recente si è ribadito che “in tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad un’unità produttiva o ad uno specifico settore dell’azienda, la platea dei lavoratori interessati può essere limitata agli addetti ad un determinato reparto o settore solo sulla base di oggettive esigenze aziendali, in relazione al progetto di ristrutturazione aziendale. Tuttavia il datore di lavoro non può limitare la scelta dei lavoratori da porre in mobilità ai soli dipendenti addetti a tale reparto o settore se essi siano idonei – per il pregresso svolgimento della propria attività in altri reparti dell’azienda – ad occupare le posizioni lavorative di colleghi addetti ad altri reparti, con la conseguenza che non può essere ritenuta legittima la scelta di lavoratori solo perché impiegati nel reparto operativo soppresso o ridotto, trascurando il possesso di professionalità equivalente a quella di addetti ad altre realtà organizzative” (Cass. sez. lav. n. 203 del 12/1/2015).
Si è, altresì, statuito che ai fini dell’esclusione della comparazione con i lavoratori di equivalente professionalità addetti alle unità produttive non soppresse e dislocate sul territorio nazionale, ove sia mancato l’accordo sui criteri di scelta con le organizzazioni sindacali, operano i criteri legali sussidiari previsti dalla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 5, comma 1, che non contempla tra i suoi parametri la sopravvenienza di costi aggiuntivi connessi al trasferimento di personale o la dislocazione territoriale delle sedi, rispondendo la regola legale all’esigenza di assicurare che i procedimenti di ristrutturazione delle imprese abbiano il minor impatto sociale possibile e non potendosi aprioristicamente escludere che il lavoratore, destinatario del provvedimento di trasferimento a seguito del riassetto delle posizioni lavorative in esito alla valutazione comparativa, preferisca una diversa dislocazione alla perdita del posto di lavoro (Cass. sez. lav. n. 17177 dell’11/7/2013).
Orbene, la Corte d’appello di Napoli si è attenuta a tali principi allorquando, con motivazione adeguata ed esente da rilievi di ordine logico-giuridico, ha rilevato che la società aveva omesso di elaborare il doveroso scrutinio dei criteri legali applicabili per la selezione del personale da licenziare, la qual cosa avrebbe comportato la valutazione in via concorrente, oltre che delle esigenze tecnico-produttive ed organizzative aziendali, di quelle inerenti l’anzianità ed i carichi di famiglia, il tutto sulla base di una platea di lavoratori non limitata, come di fatto accaduto, alla sola unità di vendita soppressa.
A tal riguardo la Corte di merito ha, infatti, osservato che l’evidenziata autonomia tecnico-amministrativa non escludeva l’esistenza di aspetti di relazione e sinergia fra altri punti vendita della G.S. s.p.a., in special modo fra quelli collocati nell’area di Benevento e, più in generale, in Campania, avendo le prove testimoniali e la produzione documentale consentito di accertare la frequenza di passaggi del personale fra le unità di Benevento e di Avellino. In ogni caso, la stessa Corte ha rilevato che nella comunicazione di cui all’art. 4, comma 3, non vi era traccia dei motivi per i quali l’esubero di personale comportasse una limitazione della platea dei lavoratori oggetto della scelta e tale carenza si saldava con l’omessa dimostrazione della infungibilità tra le professionalità applicate ai diversi punti vendita interessati alla fase di ristrutturazione aziendale. A ciò doveva aggiungersi, secondo la Corte partenopea, la considerazione che la vicenda lavorativa del ricorrente era stata connotata dall’assunzione con mansioni di ausiliario alle vendite nel 1981 e con assegnazione, nel corso degli anni, a molteplici punti vendita, fra i quali quelli di (OMISSIS), rivestendo, infine, la qualifica di capo reparto del settore ortofrutticolo.
Pertanto, il ricorso va rigettato.

Le spese di lite del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio nella misura di Euro 3500,00 per compensi professionali e di Euro 100,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 10 marzo 2015.
Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2015

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