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Sommerso e con poche tutele: il lato oscuro del lavoro domestico in Italia.

Redazionedi Redazione14 Luglio 2010
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iscrizione contemporanea a due albi professionali

1,5 milioni di colf e badanti nelle case degli italiani: +42% dal 2001. Sono 2 milioni 412 mila le famiglie italiane che ricorrono ai servizi di collaboratori domestici (una su dieci), che nel 2009 hanno raggiunto la cifra record di 1 milione 538 mila (+42% rispetto al 2001, quando erano 1 milione 83 mila). Figura sempre più centrale del tessuto sociale del nostro Paese, spina dorsale del welfare «fai da te» e sostegno indispensabile per una popolazione che invecchia, ma anche componente sempre più integrata del nucleo familiare, il collaboratore domestico costituisce ormai una presenza stabile in moltissime case italiane.

I rischi invisibili sul lavoro. Dietro l’apparente senso di sicurezza trasmesso dall’ambiente casalingo si nascondono molti rischi per i lavoratori domestici. Le statistiche ufficiali colgono con difficoltà l’effettiva portata del fenomeno. Nel 2008 sono stati registrati 3.576 infortuni riguardanti il personale domestico, di cui 2 mortali. Ma l’indagine del Censis rivela cifre molto più preoccupanti. Il 44,3% dei lavoratori intervistati dichiara di avere avuto almeno un incidente sul lavoro nell’ultimo anno. E tra gli stranieri l’incidentalità è più alta: ha riguardato il 46,3% contro il 39,6% degli italiani. Nella casistica degli incidenti dei collaboratori domestici, gli episodi più frequenti sono bruciature (18,7%), scivolate (16,1%), cadute dalle scale (12,2%), ferite provocate dall’utilizzo di coltelli (8,6%), strappi e contusioni (7,6%), intossicazioni con prodotti per pulire (4,2%) e scosse elettriche (3,6%). Si tratta di incidenti che causano spesso (nell’84,5% dei casi) conseguenze fisiche per il lavoratore, principalmente contusioni o lussazioni (29,5%), ferite (20,8%), ustioni (18,8%) e anche fratture (9%). Ma in molti casi i danni sono di lieve entità e non comportano l’inabilità al lavoro (48,6%). Per il 31,5% si determina però una inabilità temporanea parziale, totale nel 18,2% dei casi, l’inabilità permanente per l’1,7%. Una quota non trascurabile di infortuni (il 28,5%), oltre a produrre effetti sulla salute, rende necessaria l’assenza dal lavoro: superiore a tre giorni nel 18,8% dei casi, superiore alla settimana nell’11,9% dei casi.
La sottovalutazione del rischio. Le principali cause degli incidenti sono la disattenzione di colf e badanti (55,7%), l’imperizia o i comportamenti azzardati (18,2%), poi la mancata o cattiva manutenzione di oggetti e impianti (10,9%), eventi imprevisti come la rottura di strutture (9,5%), oppure la disattenzione e imperizia altrui (7,6%). Risulta ancora bassa la consapevolezza sui rischi del mestiere e sulle possibili conseguenze per la propria salute, come conferma l’alta frequenza dei comportamenti imprudenti dei collaboratori domestici. Spesso continuano a lavorare anche in caso di stanchezza o malessere fisico (67,9%), effettuano piccole riparazioni elettriche senza curarsi di staccare la corrente (44,4%), utilizzano nuovi elettrodomestici senza leggere le istruzioni (38,3%), non verificano la data di scadenza degli alimenti che cucinano per la famiglia (33,7%), solo il 25,8% indossa scarpe antiscivolo quando necessario, il 24,7% utilizza apparecchi elettrici con le mani bagnate, il 12,8% non usa guanti maneggiando prodotti nocivi, al 10% capita di spegnere apparecchi elettrici tirando i fili della spina, al 7,6% di dimenticare il ferro da stiro acceso. Inoltre, solo il 37,7% dei lavoratori di origine immigrata dichiara di capire pienamente il significato di istruzioni ed etichette, mentre il 15,3% ne comprende solo una piccola parte o nulla.
Il deficit di prevenzione. Il 12,4% dei collaboratori domestici dichiara di non preoccuparsi più di tanto della propria sicurezza, e chi lo fa preferisce le soluzioni «fai da te»: per tutelarsi dai rischi il 46,1% si affida esclusivamente all’esperienza, il 18,6% pensa che sia sufficiente essere concentrati durante lo svolgimento delle mansioni, e solo il 22,9% dichiara invece di informarsi sulla materia. La tendenza a sottovalutare i rischi di infortunio emerge anche nel rapporto tra lavoratori e famiglie. Se nella maggior parte delle situazioni queste ultime sono al corrente dell’incidente avvenuto, perché presenti in casa al momento dell’accaduto (38,7%), perché le conseguenze fisiche sono state rilevanti (15,7%) o perché il collaboratore reputa doveroso informarle (16%), spesso le famiglie restano all’oscuro (27,5%): nel 18% dei casi i lavoratori domestici non lo comunicano perché l’incidente è di lieve entità e privo di conseguenze, ma anche per paura di essere rimproverati (5%) o licenziati (4,5%). La sicurezza sembra essere un problema avvertito solo in parte dalle famiglie: un lavoratore su tre denuncia di non ricevere alcun supporto in tal senso da parte dei datori di lavoro (32,6%).
Il profilo del collaboratore domestico. Donna, giovane, immigrata: è questo il profilo del collaboratore domestico che emerge dall’indagine del Censis. In prevalenza, infatti, si tratta di donne (82,6%) e stranieri (71,6%) provenienti dall’Europa dell’Est: Romania (19,4%), Ucraina (10,4%), Polonia (7,7%) e Moldavia (6,2%). Numerosi sono anche i filippini: il 9% del totale. Il 51,4% ha meno di 40 anni (il 57,3% tra gli stranieri). Il livello di istruzione di colf e badanti straniere è più alto delle loro colleghe italiane: il 37,6% possiede un diploma di scuola superiore e il 6,8% una laurea, contro rispettivamente il 23,2% e il 2,5% dei collaboratori domestici italiani. La maggioranza (55,4%) lavora per una sola famiglia, mentre il 44,6% è «pluricommittente»: il 15,4% lavora per due famiglie, il 13,6% per tre, il 9,8% per quattro e il 5,7% per più di quattro. Il 26,5% alloggia presso la famiglia per cui lavora. In media, l’anzianità di servizio è attorno a 7 anni, con il 33,1% dei collaboratori domestici impiegati da meno di 4 anni, il 26,1% da 4-6 anni e il 17,3% da oltre 10 anni. La paga mensile media è di 900 euro netti. La maggioranza guadagna meno di 1.000 euro netti al mese: il 22,9% meno di 600 euro, il 20,2% da 600 a 800 euro, il 24,5% tra 800 e 1.000 euro. Ma per una fetta consistente dei collaboratori domestici (il 32,4%) la retribuzione netta mensile supera la soglia dei 1.000 euro (il 14,6% guadagna più di 1.200 euro).
Ancora molto diffuso il lavoro in nero. Se il 38,2% del campione dichiara di svolgere un lavoro totalmente in regola, l’irregolarità contrattuale continua a rappresentare una condizione molto diffusa, che riguarda il restante 61,8% di colf e badanti. Sebbene la regolarizzazione del settembre 2009 abbia fatto emergere circa 300 mila lavoratori sommersi, il 39,8% degli intervistati dichiara di essere totalmente irregolare e il 22% si districa in una giungla di rapporti a volte regolari, altre volte no, o rispetto ai quali vengono versati contributi per un orario inferiore a quello effettivamente lavorato. A lavorare completamente in nero sono il 53,9% dei collaboratori domestici italiani e il 34,7% degli stranieri, interessati ad avere un contratto per ottenere il permesso di soggiorno. Al Sud il livello di irregolarità sale al 72,7%, con il 58,8% dei collaboratori domestici che dichiarano di essere totalmente irregolari e il 13,9% parzialmente irregolari. In termini di evasione contributiva, su 100 ore lavorate sono soltanto 42,4 quelle per cui vengono effettivamente versati i contributi. Quasi 6 ore di lavoro su 10 risultano quindi prive di qualsiasi forma di copertura previdenziale, al di fuori del quadro di regole, tutele e garanzie previste dalla legge.

Articolo tratto da: CENSIS - Centro Studi Investimenti Sociali

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