Cartellino rosso al rilascio del visto di conformità di cui all’articolo 35, comma 3, del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241 per gli intermediari che hanno riportato condanne per bancarotta fraudolenta in concorso e falsità ideologica.
Questi reati, infatti, pur essendo di natura finanziaria, hanno delle ricadute sul piano fiscale e, quindi, non sono compatibili con la “garanzia” di affidabilità dei dati della dichiarazione che può essere certificata solo da un professionista con requisiti di onorabilità e moralità di alto profilo.
È questo, in sintesi, il chiarimento fornito dalla risoluzione n. 73/E di oggi, con cui l’Agenzia delle Entrate risponde all’istanza di interpello presentata da un commercialista interessato a capire se, dopo essere stato condannato per bancarotta fraudolenta in concorso e falsità ideologica commessa da un privato in atto pubblico, potesse essere comunque autorizzato a rilasciare il visto di conformità ai propri clienti.
L’Agenzia fa presente che l’eventuale riabilitazione del professionista può essere utile per ottenere l’autorizzazione al rilascio del visto di conformità.
A questo proposito il documento di prassi, richiamando le disposizioni del decreto ministeriale n. 164 del 1999, ricorda che per il rilascio del visto i professionisti abilitati alla trasmissione telematica delle dichiarazioni (commercialisti, ragionieri, periti commerciali e consulenti del lavoro) devono essere iscritti in un apposito elenco, presentando alla direzione regionale competente dell’Agenzia una comunicazione a cui va allegata, tra gli altri documenti, una dichiarazione che attesti l’assenza di condanne penali, anche non definitive, per reati di natura finanziaria.
Questi devono essere considerati nella loro accezione più ampia, che include anche i cosiddetti reati tributari. In particolare, la bancarotta fraudolenta in concorso e la falsità ideologica hanno senza dubbio conseguenze fiscali-tributarie perché la prima, commessa nell’ambito di una procedura fallimentare, arreca un grave pregiudizio sia ai creditori sia alla collettività in generale e la seconda lede la fede pubblica.
Macchiandosi di questi reati, l’intermediario perde, agli occhi del Fisco, i requisiti professionali di onorabilità e moralità indispensabili per essere autorizzati a rilasciare il visto di conformità, che scaturisce da un’attività di controllo preventivo sulla corretta applicazione delle norme tributarie.
Articolo tratto da: Agenzia delle Entrate