Cassazione civile, sez. I, 8 giugno 2023, n. 16169
Rilevato che:
1. Una volta pronunciata, con sentenza non definitiva, la separazione personale dei coniugi I.M. e R.P.A., il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, con sentenza n. 349/2020, addebitava la separazione al marito, sia per violazione del dovere di fedeltà che per fatti di aggressione commessi nei confronti della moglie; disponeva, inoltre, che il R. versasse un assegno mensile di Euro 600 a titolo di contributo per il mantenimento dei due figli.
2. La Corte d’appello di Messina, a seguito dell’impugnazione presentata dal R., rilevava che questi si era limitato ad affermare la preesistenza di una crisi matrimoniale alla nascita della relazione extraconiugale che aveva intrattenuto, ascrivendo tale crisi a un comportamento di intolleranza manifestato dalla moglie, ma sul punto non aveva fornito alcun supporto probatorio; reputava, di conseguenza, che il primo giudice avesse correttamente constatato l’assenza di prove idonee a dimostrare l’anteriorità della crisi matrimoniale all’accertata infedeltà.
Aggiungeva che il tribunale aveva giustificato l’addebito della separazione considerando anche l’atteggiamento violento e minaccioso tenuto dal R., che, quand’anche episodico, era comunque idoneo a sconvolgere l’equilibrio relazionale della coppia. Sottolineava, peraltro, che l’occultamento per anni della condizione di falso medico, attraverso la rappresentazione di un’immagine di sé e delle proprie qualità personali del tutto distorta dalla realtà, costituiva grave violazione del dovere di lealtà nei confronti della moglie, idonea a minare il nucleo imprescindibile di fiducia reciproca che deve caratterizzare il vincolo coniugale.
Riteneva, inoltre, che non meritasse credito l’allegazione dell’appellante di aver limitate capacità economiche ed essere privo di reddito, poiché questi, ammettendo di aver conseguito la laurea in medicina in (Omissis), aveva riconosciuto l’esistenza di una sua capacità di lavoro professionale.
Osservava, infine, che il tribunale aveva correttamente regolato le spese di lite fra le parti, compensandole per un terzo e ponendo la residua parte a carico del R., in ragione della sua prevalente soccombenza.
3. Per la cassazione di questa sentenza, pubblicata in data 22 marzo 2021, ha proposto ricorso R.P.A. prospettando tre motivi di doglianza.
L’intimata I.M. non ha svolto difese.
Considerato che:
4. Il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 151 c.c., comma 2, perché la Corte d’appello ha pronunciato l’addebito della separazione a carico del R. in assenza dei relativi presupposti di legge, dato che non era stata offerta la prova dell’esistenza di un nesso di causalità tra i comportamenti di infedeltà coniugale addebitati all’odierno ricorrente e l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza.
Inoltre, le asserite percosse ed il lamentato comportamento aggressivo, minaccioso e violento tenuto dal marito erano rimasti privi di adeguato riscontro probatorio, avendo trovato suffragio soltanto in testimonianze de relato ex parte, di per sé inidonee a costituire prova piena e diretta dei fatti allegati.
Né erano condivisibili le considerazioni della Corte di merito secondo cui un ulteriore motivo di addebito a carico del R. doveva essere individuato nell’asserita violazione, da parte sua, del dovere di lealtà, per aver celato per anni la condizione di falso medico, giacché in realtà la I., piuttosto che supportare il marito in un momento così delicato della sua vita, aveva preferito allontanarlo, cacciandolo definitivamente di casa ed avviando il procedimento di separazione. La Corte di merito, in assenza della piena prova che la condotta contraria ai doveri matrimoniali posta in essere dal R. fosse stata causa diretta del fallimento della convivenza, doveva necessariamente astenersi - in tesi di parte ricorrente - da pronunciare la separazione con addebito.
5. Il motivo risulta, nel suo complesso, inammissibile.
La Corte di merito, dopo aver ricordato, in coerenza con la consolidata giurisprudenza di questa Corte, che grava sulla parte che richieda, per inosservanza dell’obbligo di fedeltà, l’addebito della separazione all’altro coniuge l’onere di provare la relativa condotta e la sua efficacia causale nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, mentre è onere di chi eccepisce l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda, e quindi dell’infedeltà nella determinazione dell’intollerabilità della convivenza, provare le circostanze su cui l’eccezione si fonda, vale a dire l’anteriorità della crisi matrimoniale all’accertata infedeltà (cfr. Cass. 3923/19/02/2018, Cass. 2059/2012), ha conseguentemente osservato che i fatti idonei ad escludere l’esistenza di un nesso di causalità tra la violazione accertata e l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza dovevano essere allegati e provati dalla parte che resisteva alla domanda di addebito della separazione, mentre il R. si era limitato ad affermare la preesistenza della crisi matrimoniale alla nascita della relazione extraconiugale, ma non aveva fornito alcun supporto probatorio a questo riguardo.
Sotto questo profilo il mezzo in esame da un lato contesta in maniera del tutto apodittica il principio di diritto di cui la Corte distrettuale ha fatto corretta applicazione, dall’altro contrasta la constatazione di mancato assolvimento dell’onere probatorio che spettava all’eccipiente limitandosi ad addurre - peraltro in maniera del tutto generica, senza ancorare le asserzioni fatte ad alcun specifico riferimento agli atti di causa - circostanze di fatto (l’intervallo di tre anni fra la relazione e la separazione e il perdono della moglie) il cui apprezzamento rientrava nei compiti dei giudici di merito e poteva, al più, essere contestato in termini di omesso esame di fatti decisivi e non certo allegando un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, attraverso una censura che si pone al di fuori dei limiti propri del mezzo di impugnazione utilizzato (si veda in questo senso, per tutte, Cass. 24155/2017).
La ritenuta infondatezza delle censure mosse alla prima delle rationes decidendi offerte dalla Corte di merito rende poi inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, i profili di doglianza relativi alle altre ragioni, autonome e concorrenti, illustrate all’interno della decisione impugnata, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (Cass. 11493/2018, Cass. 2108/2012).
6. Il secondo motivo di ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 337-ter c.c., poiché la Corte distrettuale non ha adeguato il contributo dovuto per il mantenimento dei figli alle effettive capacità reddituali delle parti e non ha tenuto conto né delle reali risorse economiche di entrambi i genitori, né di tutti i criteri indicati dalla norma ai fini della determinazione in concreto dell’assegno, in rapporto alle specifiche ed effettive peculiarità del caso.
In particolare, la Corte distrettuale, alla luce della comprovata contrazione reddituale subita dal R., il quale non percepiva più alcun introito dopo che la moglie aveva deciso arbitrariamente di chiudere il centro estetico e di dietologia gestito insieme dai coniugi, avrebbe dovuto rideterminare l’entità dell’assegno di mantenimento previsto in favore dei figli tenendo conto dell’attuale capacità reddituale dell’onerato.
7. Il motivo è inammissibile.
Esso, infatti, intende riproporre, in questa sede di legittimità, la tesi in fatto già sostenuta in grado di appello, secondo cui il R. ha limitate capacità economiche e non è percettore di alcun reddito, e disattesa dalla Corte di merito, laddove ha evidenziato che l’appellante, avendo conseguito la laurea in medicina in Romania, dove risiede, ha una capacità di lavoro professionale e di percezione di reddito e deve, conseguentemente, concorrere al mantenimento dei figli, nel senso previsto dall’art. 316-bis c.c..
Il mezzo, peraltro, non coglie neppure la ratio decidendi sottesa agli argomenti addotti dalla Corte distrettuale, la quale, nel valorizzare la capacità di lavoro dell’appellante ai fini della determinazione del contributo al mantenimento dei discendenti, ha inteso sostenere che l’attitudine al lavoro proficuo del genitore, quale potenziale capacità di guadagno, costituisce di per sé elemento valutabile ai fini della determinazione della misura dell’assegno di mantenimento da parte del giudice (dovendosi verificare l’effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, senza limitare l’accertamento al solo mancato svolgimento di un’attività lavorativa e con esclusione di mere valutazioni astratte e ipotetiche; cfr. Cass. 24049/2021, Cass. 5817/2018).
8. Il terzo motivo di ricorso assume la violazione dell’art. 111 Cost., e art. 91 c.p.c., perché la Corte d’appello ha erroneamente confermato la condanna al pagamento di due terzi delle spese processuali di primo grado, malgrado il R. fosse risultato vittorioso, seppure parzialmente, piuttosto che disporre l’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti.
9. Il motivo risulta in parte infondato, in parte inammissibile.
Il sindacato della Corte di Cassazione in tema di spese processuali è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa.
E che nel caso di specie l’odierno ricorrente non fosse totalmente vittorioso ne dà conto lo stesso mezzo in esame, laddove riconosce che il R. era risultato parzialmente vittorioso, soltanto rispetto alla richiesta della I. affinché venisse disposto l’affidamento esclusivo in suo favore della figlia minore.
Non può poi essere censurata in questa sede né la pronuncia di parziale compensazione delle spese, né la determinazione delle quote in cui le spese processuali sono state ripartite.
Difatti, la valutazione dell’opportunità di disporre la compensazione delle spese processuali tra le parti, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che nelle altre ipotesi previste dall’art. 92 c.p.c., comma 2, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito (cfr. Cass. 24502/2017, Cass. 8241/2017).
Allo stesso modo la valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimità (Cass. 14459/2021, Cass. 30952/2017, Cass. 2149/2014).
10. In forza dei motivi sopra illustrati il ricorso deve essere respinto. La mancata costituzione in questa sede della parte intimata esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.
Il procedimento è esente dal versamento del contributo unificato, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10, comma 2, di modo che non trova applicazione il disposto dell’art. 13, comma 1-quater, del medesimo Decreto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri titoli identificativi a norma delD.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 11 maggio 2023.
Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2023