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Sentenze Commerciale Fallimentare

Cassazione civile, sez. I, 16 settembre 2011, n. 18987

Redazionedi Redazione25 Settembre 2020Aggiornato il:25 Settembre 2020
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iscrizione contemporanea a due albi professionali

Cassazione civile sez. I, 16 settembre 2011, n. 18987

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso 8 aprile 2008, la società (omissis) s.r.l. in liquidazione e le società (omissis) in liquidazione e F.lli (omissis) s.a.s. hanno chiesto l’ammissione alla procedura di concordato preventivo con suddivisione dei creditori in otto classi. Il Tribunale di Prato, con decreto del 16.4.2008, ha ammesso le società alla procedura disponendo la convocazione dei creditori.
Raggiunta nell’adunanza la prescritta maggioranza, ed acquisita la relazione del commissario giudiziale ai sensi della L. Fall., art. 172 che aveva segnalato l’insufficienza del ricavato della liquidazione ad adempiere quanto prospettato ai creditori, il Tribunale ha fissato l’udienza di comparizione del giudizio di omologa L. Fall., ex art. 180, per il giorno 8 aprile 2009.
Ritualmente costituitesi le parti proponenti, il commissario giudiziale, il giorno 6 aprile, ha depositato il suo parere confermando quanto già rappresentato nella precedente relazione.
Il Tribunale, sostenendo che nel perimetro del controllo ad esso demandato rientrasse anche il potere-dovere di accertare la fattibilità dell’accordo intervenuto tra la società proponente ed i creditori, tenuto conto dei rilievi del commissario giudiziale che ha ribadito il già riscontrato deficit del ricavato della liquidazione, seppur in importo inferiore a quello precedentemente segnalato, ha respinto il concordato ed ha disposto la convocazione in camera di consiglio dell’imprenditore per la dichiarazione di fallimento.
Il decreto è stato reclamato innanzi alla Corte d’appello di Firenze dalle proponenti che, per quel che rileva, hanno denunciato la nullità della costituzione del commissario, in quanto avvenuta senza il doveroso rispetto dei dieci giorni precedenti l’udienza, rilevando a mò di corollario, che in assenza di opposizioni, il Tribunale, verificata la regolarità della procedura, avrebbe dovuto in ogni caso omologare il concordato. La Corte territoriale ha respinto il reclamo. Ha sostenuto che la costituzione tardiva, quanto meno delle parti necessarie, dunque del commissario, non può ritenersi inammissibile in assenza di meccanismo normativo preclusivo esplicito, tanto meno implicito. Comunque l’opposizione del commissario è proponibile o integrabile in qualsiasi momento, anche nel corso dell’udienza di comparizione.
Ritenuto inoltre che in presenza di opposizioni, nella specie appunto del commissario, l’ambito del controllo rimesso al tribunale fallimentare sia esteso anche alla fattibilità del piano, intesa come coerenza e realizzabilità del programma d’azione proposto, da valutare in relazione alle concrete modalità di attuazione, ha riscontrato lo sbilancio segnalato del fabbisogno concordatario e la conseguente impossibilità di conseguire gli obiettivi prefissati.
Avverso la decisione la società C. & I. s.r.l. in liquidazione e le società R&G. s.r.l. in liquidazione e F.lli Cosci di Cosci Roberto, Gianfranco & C. s.a.s. hanno proposto ricorso per cassazione in base a due motivi non resistiti da alcuno degli intimati.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 173, comma 3 e art. 180, e correlato vizio d’insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia. Le ricorrenti ascrivono alla Corte del merito d’aver escluso la tardività, e dunque la conseguente inammissibilità della costituzione del commissario giudiziale, sulla base dell’erronea affermazione della natura ordinatoria e non perentoria del termine posto dalla L. Fall., art. 180, nonché ponendo, parimenti, erroneo distinguo fra termine per la costituzione e termine per l’opposizione.
Pacifico in punto di fatto che il commissario giudiziale si costituì il giorno 6 aprile 2009, in vista dell’udienza di comparizione fissata nel successivo 8 aprile, assumono la natura perentoria del termine in discorso, alla luce del più ampio dispiegarsi del diritto di difesa del proponente, e che, comunque, pur ammessa in tesi, la natura ordinatoria del termine, il suo mancato rispetto determina comunque l’inammissibilità della costituzione tardiva. La duplicità, posta dalla Corte territoriale tra il termine per la costituzione e quello per l’opposizione, confliggerebbe con l’esigenza di parità di trattamento e del diritto di difesa delle parti.
L’inammissibilità della costituzione del commissario giudiziale e, per l’effetto, dell’opposizione da esso spiegata, secondo quanto disposto dalla L. Fall., art. 180, comma 3, avrebbe circoscritto il controllo del Tribunale alla mera regolarità della procedura, precludendo il controllo sulla fattibilità del piano concordatario.
2.-Il secondo motivo deduce violazione della L. Fall., artt. 173 e 180, ed ancora correlato vizio di motivazione.
L’errore di diritto denunciato dalle ricorrenti si anniderebbe nella prevalenza attribuita all’impostazione pubblicistica rispetto al, pur riscontrato, profilo privatistico della procedura.
Le ricorrenti confutano la legittimità della costruzione esegetica, rilevando che la permanenza di elementi pubblicistici all’interno del giudizio di omologazione del concordato preventivo non ne comprime la natura squisitamente privatistica, sì che a fronte di una votazione positiva dei creditori il controllo del tribunale è e resta solo formale, vale a dire di mera legalità, segnatamente si estende alla sola verifica che il consenso dei creditori sia stato effettivamente informato. Nel caso di specie, l’informazione ricevuta dai creditori è stata esauriente e dettagliata. La volontà d’aderire alla proposta si fonda perciò su visione del suo contenuto chiara e completa. La realizzabilità del piano presenta comunque profili di aleatorietà, e ove accettata dai creditori, non può essere oggetto di valutazione del giudice.
I motivi meritano esame congiunto in quanto pongono questioni connesse.
Secondo quanto deducono le ricorrenti nella sintesi dei fatti esposta nel ricorso, nonché si riferisce nella narrativa della vicenda illustrata del decreto impugnato, il commissario giudiziale si costituì nel giudizio di omologa innanzi al Tribunale fallimentare di Prato solo due giorni prima dell’udienza fissata per la comparizione delle parti, e depositò il suo parere scritto, nel quale evidenziò il deficit del fabbisogno concordatario, riscontrato nell’importo di Euro 277.011,55. Analoga segnalazione aveva già espresso nella sua relazione depositata ai sensi della L. Fall., art. 172, ma nel maggior importo di Euro 556.814,87, e sulla sua base le ricorrenti avevano presentato un’integrazione della proposta rendendo necessaria un differimento dell’adunanza. La Corte del merito, esclusa la tardività della costituzione dell’anzidetto organo, ha dato ingresso al controllo sulla fattibilità del piano contenuto nella proposta ed approvato dai creditori, interpretando il contenuto del parere quale opposizione all’omologazione. Si legge infatti nel decreto impugnato che il commissario si costituiva depositando il parere scritto e opponendosi all’omologa.
Le censure indirizzate contro la costruzione esegetica che sorregge tale iter argomentativo meritano parziale accoglimento.
L’omessa previsione circa la natura del termine per la costituzione delle parti nel procedimento di omologa del concordato, come correttamente ha sostenuto la Corte del merito, osta alla qualificazione della sua perentorietà. A mente dell’art. 152 c.p.c., comma 2, sono perentori i termini processuali dichiarati espressamente tali dal legislatore, il che vuoi dire che l’assunzione di tale carattere postula precisa volontà del legislatore resa manifesta nel dettato della norma che prevede il termine. La L. Fall., art. 180, comma 2, laddove stabilisce che “il debitore, il commissario giudiziale, gli eventuali creditori dissenzienti ed ogni altro interessato devono costituirsi almeno dieci prima dell’udienza fissata” non solo non esprime tale qualificazione, ma neppure sanziona la mancata osservanza del termine previsto. Pur prescindendo da tale rilievo, ex se non esaustivo siccome il silenzio serbato nella norma non esclude necessariamente la perentorietà del termine essendo comunque rimessa al giudice l’indagine su tale natura alla luce dello scopo della sua previsione e della funzione che adempie, deve escludersi che la regolamentazione del procedimento ne legittimi la perentorietà. Troppo vaghe le esigenze connesse al sollecito svolgimento della procedura per colmare il silenzio serbato dal legislatore, pur da taluno valorizzate, siffatta qualificazione non si coordina sistematicamente con la snellezza impressa al procedimento dalle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 69 del 2007.
Affrancata la costituzione delle parti indicate dall’onere, previsto invece nel precedente contesto normativo riformato dal D.Lgs n. 5 del 2006, del deposito della memoria scritta contenente le eccezioni di merito e processuali non rilevabili d’ufficio nonché l’indicazione dei mezzi istruttori e dei documenti prodotti, il correttivo ha improntato il procedimento di omologa del concordato preventivo ad una libertà di forma, nella fase introduttiva, cui non risulta funzionale la previsione di una rigidità dei tempi della costituzione che non circoscrive tematiche e correlato thema probandum entro lo schema dalle sole allegazioni introduttive, ammettendone l’ingresso anche successivamente. L’espressione “devono costituirsi” non ha senso se si riferisce al termine perentorio in un contesto in cui non solo non sono previsti termini a difesa, ma a tutte le parti, che pur in tesi rappresentano interessi contrapposti, viene concesso il medesimo termine di costituzione e il potere d’integrare le proprie allegazioni anche successivamente.
La Corte del merito, uniformandosi a questa costruzione, ha ineccepibilmente escluso l’inammissibilità della costituzione del commissario giudiziale, siccome intervenuta nella procedura all’esame tardivamente, due giorni prima della data dell’udienza fissata.
Nondimeno è incorsa in errore laddove ha valorizzato il contenuto del parere motivato in cui palesava il deficit del fabbisogno concordatario qualificandolo in termini d’opposizione all’omologa.
Il commissario, organo necessario della procedura di concordato nel suo intero svolgimento, e contraddittore necessario nel giudizio di omologazione secondo quanto emerge dal disposto dell’art. 180, comma 1 che impone la notifica nei suoi confronti del decreto di fissazione dell’udienza e comma 2 che ne prevede la costituzione in giudizio, intanto assume la veste di parte del procedimento di omologa, in quanto provveda alla propria formale costituzione, munendosi della rappresentanza tecnica ai sensi dell’art. 82 c.p.c., comma 3, e depositando, al pari delle altre parti, memoria con cui, rappresentando le ragioni che manifestino la volontà di opporsi all’omologazione, sottopone al tribunale contestazioni che postulano la presenza del difensore. Già presente nel giudizio, siccome tenuto a svolgere il suo tipico ruolo consultivo attraverso la relazione, se si limita al deposito del parere motivato, la cui acquisizione è indefettibile trattandosi di adempimento obbligatorio, non è necessariamente tenuto a costituirsi, restando per l’effetto non legittimato ad interloquire con le altre parti.
Nel caso di specie, secondo quanto emerge dalla narrativa dei fatti, il commissario giudiziale si è costituito per depositare il proprio parere motivato, col quale ha illustrato le carenze della previsione di realizzo del concordato che già aveva segnalato nella sua relazione sottoposta all’esame dei creditori in adunanza. La rappresentazione di quel dato attraverso quello strumento non può aver concretato rituale opposizione all’omologa che, sulla base di quanto premesso, distinguendosi dal parere, postulava la rituale costituzione nel procedimento,con memoria che esplicitasse tale specifica volontà,sì da consentire alle altre parti, in particolare alle proponenti, di replicare, chiedendo se del caso termine all’uopo.
L’errore del giudice del reclamo è dunque consistito nell’avere equivocato circa la funzione del parere, cui ha attribuito, per il solo fatto d’aver segnalato il deficit riscontrato, la funzione tipica dell’opposizione pur in assenza d’espressa formulazione consacrata nelle forme previste per la costituzione in giudizio, che introducesse l’attività istruttoria da espletarsi nel contraddittorio delle parti costituite.
In logica consecuzione, ulteriore errore convalidato dalla Corte distrettuale, si è annidato nell’estensione dell’ambito del controllo esercitato procedendo ai sensi del comma 4 del cennato art. 180. In assenza d’opposizioni, secondo la previsione del comma 3 della norma in argomento, il Tribunale, verificata la regolarità della procedura e l’esito delle votazioni, omologa il concordato.
All’esito di quello scrutinio, il decreto d’omologa viene dunque emesso “de plano”.
In questo procedimento semplificato, il ruolo ritagliato per il giudice, seppur non sia di carattere notarile, come del resto ha già affermato questa Corte nella sentenza n. 13818/2011 (rispetto alla quale non è dato ravvisare contrasti di legittimità) se l’omologa ha il senso collegato alla sua tipica funzione d’imprimere giuridica efficacia al consenso espresso sulla proposta, esplicandosi nel controllo della regolarità della procedura, comporta necessariamente la verifica circa la persistenza sino a quel momento delle stesse condizioni di ammissibilità della procedura, seppur siano già state scrutinate nella fase iniziale, l’assenza dei fatti o atti di frode che potrebbero dare impulso al procedimento di revoca ex art. 173, ed infine, in caso di riscontro positivo di tali condizioni, il rispetto delle regole che impongono che la formazione del consenso dei creditori sulla proposta concordataria sia stata improntata alla più consapevole ed adeguata informazione, garanzia dell’espressione nel voto della valutazione - consapevole e ponderata - della fattibilità del piano in essa illustrato.
La nozione di regolarità, come del resto è pacificamente ammesso anche in sede dottrinaria, va insomma riferita alla legittimità, indubbiamente formale, ma anche sostanziale della procedura, che impone il riscontro dell’assenza nella proposta che recepisce il piano concordatario di violazioni di legge, che certamente la regola della maggioranza non potrebbe aver convalidato. Momento centrale della procedura nel suo complesso è l’adunanza dei creditori, al quale l’impianto rimodulato dalle riforme intervenute conferisce ruolo decisivo e di massima responsabilità, e che riscontra in parallelo, nell’ambito indicato, la restrizione del potere d’intervento del giudice che ad esso si correla nella visione, prevalentemente ma non esclusivamente privatistica della procedura, contraendone l’ambito del controllo di garanzia, in cui si innesta la relazione del commissario che è finalizzata alla corretta informazione dei creditori, ma nel contempo dello stesso giudice, circa l’oggetto della proposta, vale a dire il contenuto del piano fondato sulla base dei dati “veritieri” illustrati nella relazione accompagnatrice del professionista.
L’accertamento del Tribunale, in ordine al risultato dell’apprezzamento espresso dal commissario riguardo a tale requisito, resta necessariamente perimetrato entro il limite dello scrutinio di legittimità ammesso in fase di omologa, il che vuoi dire che deve essere orientato alla verifica della salvaguardia della consapevole acquisizione di quel dato da parte del ceto creditorio e della regolare espressione del consenso a suo riguardo (cfr. con riferimento alla fase dell’ammissibilità il precedente di questa Corte n. 21860/2011 cui, in piena condivisione, si presta adesione, e sul medesimo solco Cass. n. 3586/2011). Il bilanciamento tra le esigenze, opposte ma non per ciò solo necessariamente configgenti, che presidiano la procedura, secondo precisa scelta del legislatore, è perciò adeguatamente assicurato, nello spirito del riformato assetto, dal riscontro del giudice limitato a quel profilo, da cui resta assolutamente escluso il merito.
Nel caso di specie, secondo quanto si è riferito, il commissario giudiziale aveva rappresentato nella sua iniziale relazione lo sbilancio del fabbisogno concordatario, anche più grave, che a suo avviso, rappresentava condizione ostativa alla realizzabilità del piano concordatario. Ne era seguita la modifica in senso migliorativo della proposta che, sottoposta ai creditori, venne accettata con la prescritta maggioranza. In simile evenienza, pur potendo siffatta condizione ricondursi ad un’ipotesi d’impossibilità originaria del piano, suscettibile di determinare a sua volta l’impossibilità della proposta, in quanto tale rilevabile dal giudice nell’ottica della legittimità sostanziale dell’atto negoziale, la verifica della compiutezza e regolarità dell’informazione resa ai creditori e del conseguente processo di formazione della loro volontà d’accettare quella condizione di rischio, adeguatamente rappresentata dal commissario, confermata dall’assenza di opposizioni, ha segnato, e in senso risolutivo, il limite del controllo del giudice, precludendo quel tipo d’indagine. I creditori hanno accordato alla gestione concordata della crisi loro sottoposta, e pur con l’alea segnalata dal commissario, preferenza rispetto alla liquidazione concorsuale, e di questa scelta consapevole il Tribunale si sarebbe dovuto limitare a prendere atto. La verifica della legittimità, pur sostanziale, della proposta secondo quanto premesso, mirata al riscontro dell’effettività della salvaguardia del diritto dei creditori ad avere, sin dall’inizio e durante le successive fasi, la “veritiera e trasparente” ricostruzione della situazione aziendale e l’approfondita analisi delle ragioni di sostegno del piano concordatario che ne avesse consentito l’espressione del voto informato, non avrebbe Né dovuto Né potuto coinvolgere, in coerenza con la cennata prescrizione posta dall’art. 163 nella fase introduttiva della procedura, la fattibilità del piano che, con quel voto consapevole, era stato accettato regolarmente.
La Corte distrettuale ha fatto malgoverno di questo principio e, valorizzando il profilo pubblicistico della procedura che, seppur immanente alla stessa, non è però prevalente rispetto alla natura negoziale impressavi dalle riforme intervenute sull’istituto, ha ritagliato l’ambito della propria cognizione entro il contenuto della ravvisata opposizione del commissario. Sarebbe incorsa in ulteriore errore di diritto per aver perimetrato l’indagine consentita dall’art. 180, comma 4 in presenza d’opposizione al contenuto dell’opposizione stessa, invece di circoscrivere, in senso speculare ma opposto, il tema, pur proposto con l’opposizione, entro l’ambito dell’indagine consentita al giudice dell’omologa. In parte qua ancora inesplorata in questa sede di legittimità, la questione non spiega concreta rilevanza. L’assenza di opposizioni, infatti, esclude in radice la stessa ipotizzabilità di uno scrutinio sul merito della scelta soggettiva ed individuale dei creditori, intendendosi tale la realizzabilità del piano, tanto più sulla sua convenienza, che è, peraltro, nozione riferita a ben diverso connotato, destinato ad esplicarsi su piano differente ed in un momento successivo e nella sola ipotesi prevista dalla L. Fall., art. 180, comma 4 parte seconda, tipica e tassativa, che presupponendo il dissenso di una delle classi, giustifica, nel sistema improntato sulla regola della maggioranza, il sindacato del giudice solo in ragione della crisi dell’espressione maggioritaria del consenso. Nella fattispecie in esame, in conclusione, se i fatti incidenti sulla fattibilità del piano rappresentati dal professionista e valutati dal commissario giudiziale nella sua relazione, momento essenziale della procedura e garanzia della “veridicità” dei dati illustrati dal privato, dovessero risultare vagliati criticamente e regolarmente accettati dai creditori, l’omologa, applicandosi il procedimento semplificato previsto dall’art. 180, comma 3, rappresenterebbe un atto dovuto.
Tutto ciò premesso, il ricorso deve essere accolto. Il provvedimento impugnato deve pertanto essere cassato con rinvio alla Corte d’appello di Firenze che verificherà la regolarità della procedura a lume dei principi esposti, e regolerà anche le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte:
Accoglie il ricorso. Cassa il decreto impugnato e rinvia anche per le spese del presente giudizio alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 30 giugno 2011.
Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2011

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