Fatto
1. In data 21.12.2000, veniva notificato a G.G. il decreto ingiuntivo n. 532/2000, emesso dal Tribunale di Milano, sezione distaccata di Cassano d’Adda, con il quale le si ingiungeva il pagamento della somma di L. 47.000.000, oltre interessi legali, a favore di K.M., a titolo di ripetizione di indebito, per avere quest’ultima corrisposto alla venditrice G., quale corrispettivo per l’acquisto di un compendio immobiliare sito in (OMISSIS), una somma superiore a quella pattuita, pari a L. 553.000.000.
1.1. L’opposizione proposta dall’intimata, con atto di citazione notificato il 15.2.2001, veniva rigettata dal Tribunale di Milano, con sentenza n. 1 del 4.1.2007, con la quale il giudice adito dichiarava, altresì, la nullità della chiamata in causa del terzo D.D.M., acquirente in comunione pro indiviso, con la moglie K.M., del medesimo compendio immobiliare.
2. Avverso tale decisione proponeva appello la G., che veniva accolto dalla Corte di Appello di Milano, con sentenza n. 1886/2010, depositata il 22/6/2010.
2.1. Con tale pronuncia il giudice di seconde cure revocava la dichiarazione di nullità della chiamata in causa di D.D. M., e – ritenendo non comprovata la pretesa azionata in monitorio dalla K., revocava il decreto ingiuntivo opposto, condannando quest’ultima, in solido con il D.D., alle spese dei due gradi del giudizio in favore della G..
3. Per la cassazione della sentenza n. 1886/2010 hanno, quindi, proposto separati ricorsi D.D.M. e K.M. nei confronti di G.G., articolando il primo dodici e la seconda sei motivi. La resistente ha replicato con controricorso contenente, altresì, ricorso incidentale condizionato affidato ad un solo motivo.
4. La ricorrente K. ha, a sua volta, replicato ai sensi dell’art. 371 c.p.c., comma 4, al controricorso della G..
5. Tutte le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..
Diritto
1. Muovendo dall’esame del ricorso proposto da D.D.M., va rilevato che, con il primo motivo, il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 276 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
1.1. L’impugnata sentenza sarebbe, invero, affetta da nullità, non essendo stato redatto e sottoscritto dai Presidente al termine della camera di consiglio del 20.4.2010, ai sensi dell’art. 276 c.p.c., comma 5, il dispositivo contente l’enunciazione della decisione ivi adottata.
1.2. Il motivo è infondato.
1.2.1. L’esistenza della sentenza civile è determinata, invero, salvo ipotesi particolari, quale quella del rito del lavoro, ovvero dei riti ad esso legislativamente equiparati o specialmente disciplinati, dalla sua pubblicazione mediante deposito nella cancelleria del giudice che l’ha pronunziata, ai sensi dell’art. 133 c.p.c., mentre il suo dispositivo è atto privo di rilevanza giuridica esterna e di definitività (Cass. 5855/2000). Ne discende che le nullità della sentenza debbono risultare dal testo della medesima, pubblicato nelle forme suindicate, e non possono essere desunte aliunde mediante riferimento ad altri atti ad esso estranei.
I requisiti formali e sostanziali della pronuncia riflettono – per vero – il testo originale di essa, redatto a norma dell’art. 119 disp. att. c.p.c., e fra tali requisiti, che sono esclusivamente quelli elencati dall’art. 132 c.p.c., non è compreso il dispositivo, firmato dal solo presidente all’atto della deliberazione, il quale costituisce un mero atto interno, non integratore della sentenza. Né per la mancanza di esso nella norma di cui all’art. 276 c.p.c., u.c., è comminata nullità alcuna (cfr. Cass. 394/1959; 9892/2005).
1.2.2. Ne consegue, con riferimento al caso di specie, che – contrariamente all’assunto del ricorrente – nessuna nullità dell’impugnata sentenza può ritenersi si sia verificata, per il solo fatto che non risulta agli atti il dispositivo redatto in camera di consiglio e sottoscritto dal presidente, ai sensi dell’art. 276 c.p.c., u.c..
1.3. La censura va, di conseguenza, rigettata.
2. Con il secondo motivo di ricorso, D.D.M. denuncia la violazione dell’art. 269 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
2.1. Avrebbe, invero, errato la Corte di Appello, ad avviso del ricorrente, nel ritenere che la decadenza dell’opponente G. G. dal diritto di chiamare in causa il terzo D.D. M., evocato direttamente nel giudizio dalla G. mediante notifica dell’atto di citazione anche a quest’ultimo, fosse stata sanata, ai sensi degli artt. 156 e 162 c.p.c., per effetto dell’ordinanza del 26.3.2004, con la quale il Tribunale, dichiarata la nullità della notifica dell’atto di opposizione al D.D. alla K., ne disponeva la rinnovazione, così – di fatto – autorizzando anche la chiamata in causa del primo.
2.2. Assume, al riguardo, il ricorrente che – poiché l’evocazione di un terzo nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, secondo un costante indirizzo della giurisprudenza di legittimità, deve essere effettuata, a pena di decadenza, chiedendo la relativa autorizzazione al giudice – siffatta decadenza, maturatasi nella specie per avere la G. citato direttamente il D.D. in causa senza autorizzazione del giudice, non potrebbe essere in alcun modo sanata ex artt. 156 e 162, mediante un successivo – e ormai tardivo – provvedimento autorizzativo implicito del Tribunale.
2.3. La censura è fondata.
2.3.1. Secondo il consolidato insegnamento di questa Corte, infatti, ed al quale si intende dare continuità in questa sede, nel procedimento per ingiunzione, per effetto dell’opposizione, non si verifica alcuna inversione della posizione sostanziale delle parti nel giudizio contenzioso, nel senso che il creditore mantiene la veste di attore, l’opponente quella di convenuto; ciò che esplica i suoi effetti, non solo nell’ambito dell’onere della prova, ma anche in ordine ai poteri ed alle preclusioni di ordine processuale rispettivamente previsti per ciascuna delle due parti. Ne consegue che il disposto dell’art. 269 c.p.c., che disciplina le modalità della chiamata di terzo in causa, non si concilia con il procedimento instaurato tramite l’opposizione al decreto, dovendo in ogni caso l’opponente citare unicamente il soggetto che ha ottenuto detto provvedimento, non potendo le parti originariamente essere altri che il soggetto istante per l’ingiunzione di pagamento ed il soggetto nei cui confronti la domanda è diretta.
2.3.2. Per il che l’opponente (cui è altresì preclusa, nella qualità di convenuto sostanziale, la facoltà di chiedere lo spostamento dell’udienza, nonché quella di notificare l’opposizione a soggetto diverso dal creditore procedente in ingiunzione) deve necessariamente chiedere al giudice, con lo stesso atto di opposizione a pena di decadenza, l’autorizzazione a chiamare in giudizio il terzo al quale ritiene comune la causa sulla base dell’esposizione dei fatti e delle considerazioni giuridiche contenute nel ricorso per decreto ingiuntivo, non potendo formulare l’istanza direttamente in prima udienza (cfr. Cass. 8718/2000;
1185/2003; 132727/2004; 4800/2007; 10610/2014).
2.3.3. Né può dubitarsi del fatto che la tardività della chiamata in causa del terzo, per violazione dei termini fissati dall’art. 269 c.p.c., sia rilevabile anche d’ufficio, stante l’inderogabilità di tale norma (Cass. n. 4680/1978). La tempestività della richiesta di chiamata di un terzo in causa attiene, infatti, alle esigenze di concentrazione e speditezza del processo, configurandosi quindi come un principio di ordine pubblico, la cui violazione è rilevabile dal giudice anche d’ufficio. L’esigenza di garantire la celerità e la concentrazione dei procedimenti civili è – per vero – posta a tutela dell’interesse non solo del singolo ma anche della collettività (Cass. 10610/2014), e vi è indubbia correlazione tra la detta esigenza pubblicistica ed il regime delle preclusioni che, a tale stregua, è – di conseguenza – indisponibile (v. Cass. 7270/2008).
2.3.4. Orbene, facendo applicazione di tali consolidati principi al caso concreto, la decadenza in questione, una volta verificatasi – per non avere la G. richiesto l’autorizzazione ad evocare in giudizio il terzo D.D., ma avendo provveduto a citarlo direttamente, notificandogli l’opposizione al decreto ingiuntivo – non avrebbe potuto essere in alcun modo sanata, come, al contrario, ha ritenuto la Corte di Appello. Secondo l’insegnamento di questa Corte, infatti, il principio – sancito dall’art. 156 c.p.c. – di non rilevabilità della nullità di un atto per avvenuto raggiungimento dello scopo si riferisce esclusivamente all’inosservanza di “forme” in senso stretto e non di termini perentori, stabiliti a pena di decadenza, per i quali vigono apposite e separate norme (cfr., ex plurimis, Cass. 4894/1997; 14068/2000; 20183/2004).
2.3.5. E tuttavia, quand’anche volesse accedersi alla tesi seguita dalla Corte territoriale, facendo applicazione del diverso principio espresso dalla minoritaria decisione citata dal giudice di appello – a tenore della quale, nel caso in cui una delle parti abbia esteso la domanda ad un terzo citandolo direttamente in giudizio senza l’autorizzazione del giudice, la nullità della chiamata in causa dovrebbe ritenersi sanata dalla costituzione in giudizio del terzo, il quale non abbia sollevato al riguardo alcuna eccezione nel primo atto difensivo (Cass. 2977/2006) – la conseguenza non potrebbe comunque essere, nel caso di specie, la sanatoria della decadenza verificatasi. Ed Infatti, dalla stessa sentenza di appello (p. 11) si evince che il terzo chiamato, D.D.M., nella memoria di costituzione eccepiva la decadenza dell’opponente dalla chiamata in causa del terzo, per non avere chiesto tempestivamente, nello stesso atto di opposizione, al giudice la relativa autorizzazione. A seguito di tale eccezione, la Corte di Appello, con ordinanza del 26.3.2004, anziché prendere atto di tale eccezione e dichiarare la decadenza dell’opponente, autorizzava invece inammissibilmente, sia pure di fatto e comunque del tutto tardivamente, la chiamata in causa del D. D., onerando l’opponente G.G. di rinotificare al medesimo l’atto di opposizione. E, d’altro canto, anche se tale autorizzazione fosse stata specifica ed espressa, essa sarebbe stata da considerarsi comunque inammissibile, per le ragioni suesposte.
2.4. Il mezzo in esame, poiché pienamente fondato, va, pertanto, accolto.
3. Dall’accoglimento della suesposta censura deriva l’assorbimento di tutte le altre, con (e quali il D.D. denuncia: 1) la nullità della procura rilasciata dalla G. in calce al decreto ingiuntivo opposto; 2) la tardività dell’iscrizione a ruolo del decreto ingiuntivo; 3) la nullità della rinotifica dell’atto di opposizione effettuata – dopo che la prima notifica era stata dichiarata nulla – presso il difensore della K. e non a quest’ultima personalmente, sebbene l’opposta fosse stata dichiarata contumace; 4) il difetto di una specifica procura, idonea a legittimare il difensore della G. a chiamare in causa un terzo; 5) l’omessa pronuncia sull’eccezione, da lui proposta, di genericità dei motivi di appello della G.; 6) il vizio di extrapetizione nel quale sarebbe incorso il giudice di secondo grado, per avere il medesimo ritenuto fondata l’opposizione sulla base di “ragioni affatto diverse da quelle svolte dalle parti”; 7) il malgoverno delle risultanze istruttorie da parte della Corte di Appello; 8) il mancato rilievo del giudicato interno sull’accertamento del versamento di una somma eccedente quella dovuta, da parte del D.D. e della K.. Si tratta, invero, com’è del tutto evidente, di questioni processuali da ritenersi assorbite dalla disposta estromissione del D.D. dal presente giudizio, per la rilevata nullità della sua chiamata in causa, derivante dalla decadenza della G. dal diritto di evocarlo in giudizio.
4. Passando, quindi, ad esaminare il ricorso proposto da K. M., va rilevato che, con il primo e secondo motivo – che, per la loro evidente connessione, vanno esaminati congiuntamente – la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 12 preleggi, artt. 291 e 292 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
4.1. Avrebbe, invero, errato la Corte Appello nel ritenere che non fosse affetta da nullità la rinotifica dell’atto di opposizione effettuata dalla G. nei confronti della K. – disposta dal Tribunale a causa dell’invalidità della prima notifica, effettuata a quest’ultima presso il suo domicilio e non presso il difensore nominato nel ricorso per ingiunzione – in quanto effettuata, questa volta, presso il difensore dell’opposta e non a quest’ultima personalmente. Ed infatti, ad avviso della ricorrente sarebbe stato necessario effettuare la notifica presso il domicilio reale della K., ai sensi degli artt. 291 e 292 c.p.c., essendo stata la medesima, sia pure erroneamente, dichiarata contumace dal giudice istruttore.
4.2. Le censure sono infondate.
4.2.1. A norma dell’art. 645 c.p.c., comma 1, infatti, l’opposizione a decreto ingiuntivo si propone con atto di citazione notificato al ricorrente nei luoghi di cui all’art. 638 c.p.c., cioè o presso il procuratore del ricorrente o, quando è ammessa la costituzione di persona, nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto. Ne consegue che la notificazione dell’opposizione effettuata – come nella specie – nel domicilio reale della parte opposta integra una notificazione nulla, e non inesistente, che può costituire oggetto di rinnovazione ex art. 291 c.p.c. (cfr. Cass. 1442/1990; 6410/1998;
9233/2000).
4.2.2. Nel caso concreto, dichiarata in limine litis la contumacia sia dell’opposta K.M. che del terzo D.D.M., con successiva ordinanza del 26.3.2004, il giudice dichiarava la nullità della notifica dell’atto di opposizione nei confronti della K., perché effettuata presso il domicilio reale della medesima e non presso il difensore costituito in fase monitoria, ai sensi degli artt. 645 e 638 c.p.c., assegnando termine all’opponente per la rinnovazione dell’opposizione, ai sensi dell’art. 291 c.p.c.. La citazione in opposizione veniva, quindi, notificata alla K. presso il proprio difensore. Quest’ultima eccepiva, peraltro, la nullità del giudizio di opposizione, giacché la rinnovazione in parola era stata notificata al procuratore dell’opposta, e non alla medesima personalmente, come si sarebbe dovuto fare, trattandosi di una parte dichiarata contumace.
4.2.3. E tuttavia, del tutto evidente che la declaratoria di nullità della notifica dell’opposizione all’opposta, e l’assegnazione di un termine per la sua rinnovazione, implicano la revoca implicita della dichiarazione di contumacia della medesima, dovendo considerarsi tale declaratoria affetta da nullità derivata o conseguenziale. È – per vero – indubitabile che una declaratoria di contumacia in presenza di una nullità della notifica dell’atto di citazione viene ad essere affetta dal medesimo vizio, ai sensi dell’art. 159 c.p.c., comma 1, trattandosi di un provvedimento legato da un evidente nesso di dipendenza logico-giuridica all’atto che lo precede. Per il che, è di chiara evidenza che la notifica dell’opposizione non avrebbe potuto essere, in alcun caso, effettuata, nella specie, alla parte personalmente.
4.2.4. Né può revocarsi in dubbio che tutte le ordinanze emesse nel corso del processo, in esse compresa quella dichiarativa della contumacia di una parte, comunque motivate, non possono mai pregiudicare la decisione del merito e possono essere, anche implicitamente, modificate o revocate dal giudice cha l’ha emesse (Cass. 4641/1976; 1696/1978).
4.3. Per tali ragioni, dunque, i motivi suesposti vanno disattesi.
5. Con il terzo motivo di ricorso, K.M. denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
5.1. La Corte territoriale, a parere della ricorrente, avrebbe fatto ricorso, ai fini di motivare la pronuncia con la quale ha dichiarato la validità della notifica dell’opposizione e decreto ingiuntivo, effettuata all’opposta K. presso il proprio difensore, ad un’argomentazione, ovverosia l’avvenuto “annullamento” dell’ordinanza dichiarativa della contumacia della medesima, mai prospettata nel giudizio dalla parte interessata, avendo la G. fatto questione solo di “revoca” di tale ordinanza. Ne discenderebbe, secondo la istante, che l’impugnata sentenza sarebbe nulla, poiché affetta da ultrapetizione o extrapetizione, in violazione dell’art. 112 c.p.c..
5.2. La censura è infondata.
5.2.1. Il vizio di extrapetizione o di ultra petizione ricorre, invero, solo quando il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti e pronunciando oltre i limiti del “petitum” e delle eccezioni “hinc et inde” dedotte, ovvero su questioni che non siano state sollevate e che non siano rilevabili d’ufficio, attribuisca alla parte un bene non richiesto, e cioè non compreso nemmeno implicitamente o virtualmente nella domanda proposta. Ne consegue che tale vizio deve essere escluso qualora il giudice, contenendo la propria decisione entro i limiti delle pretese avanzate o delle eccezioni proposte dalle parti, e riferendosi ai fatti da esse dedotti, abbia fondato (a decisione stessa sulla valutazione unitaria delle risultanze processuali, pur se in base ad argomentazioni o considerazioni non prospettate dalle parti medesime (cfr. Cass. 21745/2006; 2297/2011).
5.2.2. È, inoltre, fin troppo evidente che, nel caso concreto, si sia in presenza di una mera improprietà terminologica della sentenza di appello, che intendeva evidentemente fare riferimento alla revoca della declaratoria di contumacia, in conseguenza dell’accertata nullità della notifica dell’atto di opposizione.
5.3. Il mezzo in esame va, pertanto rigettato.
6. Con il quarto motivo di ricorso, K.M. denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 112, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
6.1. La ricorrente si duole, invero, del fatto che la Corte di Appello abbia affermato che non sussisteva la prova agli atti del pagamento, da parte del D.D. e della K., del maggior corrispettivo della compravendita azionato dai medesimi in via monitoria, sulla base di “ragioni affatto diverse da quelle svolte dalle parti”, andando a ricercare e reperire aliunde i motivi sui quali fondare il proprio convincimento.
6.2. Al riguardo è sufficiente rinviare a quanto si è poc’anzi osservato circa il fatto che le argomentazioni e considerazioni del giudice, non prospettate dalle parti, non possono dare luogo, di per sè, ad extrapetizione. Anche tale motivo va, di conseguenza, disatteso.
7. Con il quinto motivo di ricorso, la K. denuncia la violazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
7.1. In ordine al medesimo capo di sentenza suindicato, concernente la prova di un maggior pagamento, effettuato dal D.D. e dalla K., rispetto al prezzo pattuito per la vendita in discussione, la istante assumendo – nella sostanza – che la Corte territoriale non abbia fatto un buongoverno delle risultanze processuali, di carattere documentale, che avrebbero dovuto indurla a ritenere provata la pretesa creditoria azionata in monitorio da K.M., deduce la violazione del disposto di cui all’art. 115 c.p.c..
7.2. La censura è inammissibile.
7.2.1. Deve essere – per vero – osservato, al riguardo, che la scelta dei mezzi Istruttori utilizzabili per il doveroso accertamento dei fatti rilevanti per la decisione è rimessa all’apprezzamento discrezionale, ancorchè motivato, del giudice di merito, ed è censurabile, quindi, in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione e non – come ha fatto il ricorrente – sotto quello della violazione di legge (Cass. 21603/2013).
7.2.2. Il motivo non può, pertanto, trovare accoglimento.
8. Con il sesto motivo di ricorso, K.M. denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
8.1. Ancora con riferimento al medesimo capo di della sentenza di appello, la Corte territoriale, nell’affermare che non sussisteva la prova agli atti del pagamento, da parte del D.D. e della K., del maggior corrispettivo della compravendita azionato in via monitoria, sarebbe incorsa in violazione del giudicato interno che si sarebbe formato su tale questione. La G. non avrebbe, infatti, impugnato – ad avviso della ricorrente – il capo della decisione di primo grado, nel quale il Tribunale aveva accertato che la K. aveva versato alla G. la somma di L. 215.000.000, in luogo della minor somma dovuta, pari a L. 168.000.000.
8.2. La censura è infondata.
8.2.1. Non può, invero, ritenersi che si sia formato il giudicato sulla statuizione di prime cure che aveva ritenuto provato – per la mancata dimostrazione, da parte dell’opponente della sussistenza di un accordo simulatorio sul prezzo effettivamente versato – l’effettivo avvenuto versamento della maggior somma di L. 215.000.000, anziché di quella di L. 168.000.000, indicata nel rogito, per omessa impugnazione di tale statuizione da parte dell’appellante G..
8.2.2. Come si evince, infatti, dalla stessa sentenza di appello (p. 5), l’appellante G.G. aveva richiesto la riforma della sentenza di primo grado con conseguente revoca del decreto ingiuntivo, allegando – in maniera generica ed onnicomprensiva – che la pretesa fatta valere dalla K. con il monitorio non era comprovata. Il gravame, per l’ampiezza dell’effetto devolutivo che ne è conseguito, vale, senza dubbio, a ricomprendere la questione del versamento della maggiore somma suindicata.
8.3. Il mezzo va, di conseguenza, rigettato.
9. Di conseguenza, l’intero ricorso proposto da K.M., va rigettato.
10. L’accoglimento del secondo motivo di ricorso del D.D. comporta la cassazione della sentenza in parte qua. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto la Corte, nell’esercizio del potere di decisione nel merito di cui all’art. 384 c.p.c., comma 2, dichiara la nullità della chiamata in causa del D.D..
11. Dalle pronunce che precedono, di estromissione del D.D. dal giudizio e di rigetto del ricorso della K., consegue l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato della G., con il quale quest’ultima – denunciando l’omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia – ha censurato la sentenza di appello, nella parte in cui ha ritenuto non provata la simulazione parziale del prezzo dell’immobile oggetto di causa.
12. Le spese affrontate dalla G. del presente giudizio vanno poste a carico della soccombente K.. Concorrono giusti motivi, tenuto conto delle ragioni della decisione, per una integrale compensazione delle spese nel rapporto tra la G. ed il D. D..
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione;
accoglie il secondo motivo del ricorso proposto da D.D. M. e rigetta il primo, assorbiti gli altri; cassa in parte qua la sentenza di appello in relazione ai motivo accolto e, decidendo nel merito, dichiara la nullità della chiamata in causa del D. D.; rigetta il ricorso proposto da K.M.; dichiara assorbito il ricorso incidentale proposto da G.G.;
condanna la K. alle spese del presente giudizio nei confronti della G., che liquida in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie ed accessori di legge; dichiara integralmente compensa tra le parti le spese nel rapporto tra la G. ed il D.D..
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Prima Sezione Civile, il 30 settembre 2015.
Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2015