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Home»Aree tematiche di MioLegale.it»Civile e procedura civile
Civile e procedura civile Sentenze

Cassazione civile, sez. I, 1 febbraio 2008, n. 2463

Redazionedi Redazione1 Febbraio 2008
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 30 marzo 1983 S.A. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Patti il Comune di Falcone per sentirlo condannare al risarcimento dei danni per l’illegittima occupazione di un suo fondo limitatamente alle particelle (OMISSIS) e (OMISSIS) utilizzate la per la costruzione di una strada intercomunale di collegamento tra la contrada (OMISSIS) e la contrada (OMISSIS) del Comune di TRIPI. Il Comune contestava la fondatezza della domanda e ne chiedeva il rigetto in base alla considerazione che la strada in questione aveva interessato il fondo dell’attore limitatamente alle particene (OMISSIS) e (OMISSIS).
Il tribunale rigettava la domanda.
Quindi la Corte d’Appello di Messina, con sentenza del 12 gennaio 1996, riformava la sentenza impugnata e condannava il Comune di Falcone al pagamento della somma di L. 95.576.000, corrispondente al valore del terreno globalmente occupato, essendo stata realizzata l’opera pubblica in assenza di decreto di espropriazione, oltre all’indennità di occupazione legittima, al risarcimento del danno per l’ulteriore occupazione senza titolo e alla per dita di valore della parte residua del fondo.
La pronuncia veniva impugnata e la Corte di Cassazione, con sentenza del 12 giugno 1998, n. 5893, disponeva la riliquidazione di tutte le voci creditorie esposte dall’attore, da commisurarsi alla natura agricola del terreno, con conseguente disapplicazione dei criteri introdotti dalla L. 8 agosto 1992, n. 359, art. 5 bis, comma 7 bis.
Il giudizio veniva riassunto dinanzi alla Corte d’Appello di Catania, indicata quale giudice di rinvio, e il giudice della riassunzione, con sentenza del 22 novembre 2202 – 14 gennaio 2003, condannava il Comune di Falcone al pagamento delle somme rispettive: di Euro 36.462,00, a titolo di risarcimento del danno per l’occupazione illegittima di mq. 8.83 0 di terreno dell’attore; di Euro 1.187,85, a titolo di indennità per l’occupazione legittima della superficie di mq. 2.029; di Euro 315,05, a titolo di risarcimento del danno per l’ulteriore occupazione senza titolo; di Euro 5.081.94, a titolo di risarcimento del danno per l’originaria occupazione illegittima della restante porzione di terreno di mq. 6.801, il tutto con interessi e rivalutazione.
Premetteva la Corte – per quanto ancora rileva ai fini del presente giudizio – che il Comune di Falcone aveva chiesto che venisse disposta una nuova consulenza tecnica d’ufficio per una corretta rinnovata liquidazione delle somme spettanti al S. avendo accertato, dopo la pronuncia di cassazione, che i terreni di proprietà dell’attore avevano un’estensione inferiore a quella posta a fondamento della sentenza impugnata poiché in data anteriore alla notificazione della citazione introduttiva del giudizio parte dei terreni occupati erano stati trasferiti a terzi e che ciò consentiva di ipotizzare un dolo della parte in danno del Comune ovvero la presenza di un errore di fattor revocatorio. Ciò premesso, osservava che la domanda non poteva trovare ingresso nel giudiziosi rinvio, risolvendosi in una vera e propria censura contro la pronuncia del giudice del merito che era inammissibile nel giudizio di rinvio nel quale non era consentito alcun riesame o modifica della situazione di fatto, ancorché erroneamente accertata o presupposta, sulla base della quale era stato enunciato il principio di diritto che era vincolante nei limiti segnati dalla pronuncia di annullamento, la quale circoscriveva l’operato del giudice di rinvio alla mera liquidazione delle somme effettivamente spettanti all’attore sulla base delle superfici indicate dal giudice del merito, che non avevano formato oggetto di censura con il ricorso per cassazione;
considerava, inoltre, che il Comune di Falcone non aveva proposto alcuna domanda ma solo ipotizzato la necessità di un’ulteriore accertamento tecnico in ordine all’estensione della proprietà dell’attore.
Contro la sentenza ricorre per cassazione il Comune di Falcone con un unico motivo.
Resiste con controricorso S.A..
Entrambe le parti hanno depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di ricorso viene denunciata la violazione e la falsa applicazione dell’art. 394 c.p.c., e art. 395 c.p.c., nn. 1 e 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, e si sostiene che il Comune di Falcone non avrebbe avuto alcun onere di impugnare per revocazione la sentenza della Corte d’Appello di Messina in quanto l’errore sulla reale estensione dei terreni dell’attore era rimasto accertato dopo l’annullamento della sentenza suddetta a seguito di accertamenti da esso disposti al fine di una risoluzione bonaria della vertenza.
La censura non può trovare accoglimento poiché i vizi revocatori non possono essere denunciati nel giudizio di cassazione e meno che mai nel giudizio di rinvio, che è un giudizio chiuso, limitato al riesame dei soli punti che la sentenza di appello non aveva esaminato o che la corte di cassazione ha indicato come meritevoli di nuova considerazione nel caso di annullamento della sentenza impugnata per vizio di motivazione; il giudice di rinvio non può pertanto estendere le proprie indagini su altri punti o altre questioni sollevate dalle parti per la prima volta nel giudizio di rinvio, ma può soltanto prendere in esame fatti impeditivi, modificativi o estintivi intervenuti in un momento successivo a quello della loro possibile allegazione nelle pregresse fasi processuali, come, ad esempio, la sopravvenuta formazione di un giudicato esterno o de, la cessazione della materia del contendere a seguito di definizione transattiva della vertenza (Cass. – 24 febbraio 2004, n. 3621), ma tra essi non rientrano i vizi revocatori, per la cui deduzione è previsto uno specifico mezzo di impugnazione.
L’errore di fatto e il dolo della parte potranno quindi essere dedotti, sussistendone i presupposti, con l’impugnazione per revocazione contro la sentenza del giudice di rinvio qualora tali vizi continuino ad inficiare la portata delle statuizioni che definiscono la vertenza tra le parti.
Alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso non può trovare accoglimento e deve essere respinto.
Le spese giudiziali seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte:
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese giudiziali che li guida in complessivi Euro 3.100,00, di cui Euro 3.000,00, per onorari, oltre al rimborso delle spese generali ed accessori di legge.

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