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Sentenze Famiglia Successioni

Cassazione civile, sez. I, 4 ottobre 2023, n. 27945

Avv. Gianluca Lancianodi Avv. Gianluca Lanciano9 Ottobre 2023
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iscrizione contemporanea a due albi professionali

Cassazione civile, sez. I, 4 ottobre 2023, n. 27945

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 506/2020, pubblicata il 16/11/2020, la Corte d’Appello di Perugia ha confermato la statuizione di primo grado che, a seguito dello scioglimento del matrimonio, non aveva ritenuto sussistenti i presupposti per l’attribuzione di un assegno divorzile in favore della ex moglie.
Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione C.I., affidato ad un unico motivo di ricorso.
L’intimato si è difeso con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 380 bis.1 c.p.c.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, ai sensi e per gli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella parte in cui il giudice di merito ha respinto la richiesta di attribuzione dell’assegno divorzile formulata dalla ricorrente.
Quest’ultima ha, prima di tutto, affermato che la sentenza impugnata, reputando irrilevante la situazione di palese disparità reddituale tra gli ex coniugi, ha finito per giustificare (erroneamente) con l’autosufficienza economica della richiedente il rigetto della domanda di attribuzione dell’assegno, mentre invece, tenendo conto della funzione perequativo-compensativa dello stesso, avrebbe dovuto effettuare una valutazione in concreto in ordine all’adeguatezza del reddito della ricorrente, rapportandolo al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare.
Secondo la ricorrente, pur in presenza dei presupposti per l’attribuzione dell’assegno - vale a dire l’impegno familiare conseguente all’abbandono del lavoro professionale extrafamiliare e la durata del matrimonio per più di trent’anni - il giudice di merito ha respinto la relativa domanda, ritenendo non provati requisiti sconosciuti all’istituto in questione.
In particolare, la C. ha dedotto che il giudice di merito ha erroneamente dato rilievo alla ritenuta mancanza di prova del fatto che l’incremento del patrimonio immobiliare del coniuge, avveratosi nel corso di matrimonio, avesse “esclusiva giustificazione” nell’attività familiare della ricorrente, perché la norma non richiede tale esclusività, essendo necessario e sufficiente che sia stato prestato un contributo personale e duraturo alle esigenze della famiglia.
Ha, inoltre, censurato la medesima decisione nella parte in cui ha negato l’assegno a causa della ritenuta assenza di prova del fatto che l’abbandono da parte della donna dell’incarico di amministratore dell’azienda di famiglia, dopo la nascita del secondo figlio, avesse avuto origine in una “scelta forzata” in ragione dell’esigenza di provvedere alle incombenze familiari (come dedotto da parte appellante) e non che fosse stato originato da contrasti interni alla medesima azienda familiare (come, invece, sostenuto da parte appellata). Le ragioni di tale scelta, secondo la ricorrente, non devono essere accertate, perché sono irrilevanti, essendo, invece, decisivo il fatto che la donna avesse dedicato il proprio tempo alle incombenze familiari, a seguito della remissione di incarichi professionali esterni.
Ha, infine, criticato la stessa decisione nella parte in cui il giudice di merito, accertato il contributo della ricorrente alla vita familiare, a seguito della rinuncia all’incarico di amministratore dell’azienda di famiglia, ha rigettato la domanda di attribuzione dell’assegno, in assenza della dimostrazione che il menzionato contributo avesse assunto la connotazione di “dedizione esclusiva”, evidenziando che l’assegno deve essere corrisposto ogni volta in cui risulti l’assunzione di un impegno familiare con sacrificio di quello lavorativo.

2. Il motivo è fondato.
2.1. Com’è noto, la giurisprudenza più recente di questa Corte (Cass., Sez. U, Sentenza n. 18287 dell’11/07/2018) ha stabilito che il riconoscimento dell’assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno.
I criteri attributivi e determinativi dell’assegno divorzile non dipendono, pertanto, dal tenore di vita godibile durante il matrimonio, operando lo squilibrio economico patrimoniale tra i coniugi unicamente come precondizione fattuale, il cui accertamento è necessario per l’applicazione dei parametri di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, prima parte, in ragione della finalità composita assistenziale e perequativo-compensativa di detto assegno (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 32398 del 11/12/2019).
Il giudizio deve essere espresso alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto.
La natura perequativo-compensativa, poi, discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo, volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, ma il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, tenendo conto in particolare delle aspettative professionali sacrificate.
In altre parole, il giudice del merito è chiamato ad accertare la necessità di compensare il coniuge economicamente più debole per il particolare contributo dato, durante la vita matrimoniale, alla formazione del patrimonio comune o dell’altro coniuge, nella constatata sussistenza di uno squilibrio patrimoniale tra gli ex coniugi che trovi ragione nelle scelte fatte durante il matrimonio, idonee a condurre l’istante a rinunciare a realistiche occasioni professionali-reddituali, la cui prova in giudizio spetta al richiedente (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 9144 del 31/03/2023; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 23583 del 28/07/2022; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 38362 del 03/12/2021).
2.2. Con particolare riferimento all’onere della prova, assume fondamentale rilievo la recente pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte la quale, nell’affermare che l’instaurazione di una stabile convivenza di fatto con una terza persona non necessariamente esclude la possibilità per l’ex coniuge di ottenere l’attribuzione di un assegno divorzile, sia pure limitatamente alla componente perequativo-compensativa, ha precisato che, a tal fine, il richiedente deve fornire la prova del contributo offerto alla comunione familiare, dell’eventuale rinuncia concordata ad occasioni lavorative e di crescita professionale in costanza di matrimonio, dell’apporto fornito alla realizzazione del patrimonio familiare e personale dell’ex coniuge (Cass., Sez. U, Sentenza n. 32198 del 05/11/2021).
2.3. Ciò che deve essere dimostrato, dunque, è che il coniuge economicamente più debole abbia sacrificato occasioni lavorative o di crescita professionale per dedicarsi alla famiglia, senza che sia necessario indagare sulle motivazioni strettamente individuali ed eventualmente intime che hanno portato a compiere tale scelta, che, comunque, è stata accettata e, quindi, condivisa dal coniuge.
La parte può aver preferito dedicarsi esclusivamente o prevalentemente alla famiglia per amore dei figli o del coniuge, ma anche per sfuggire ad un ambiente di lavoro ostile o per infinite altre ragioni, ma tali motivi non rilevano, perché l’assegno, sotto l’aspetto in esame, mira a compensare lo squilibrio economico conseguente alla scelta di impiegare le proprie energie e attitudini in seno alla famiglia, piuttosto che in attività lavorative, o in occasioni di crescita professionale, produttive di reddito.
Rileva, pertanto, e deve essere dimostrato, soltanto che l’ex coniuge abbia effettivamente fornito il suo contributo personale alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune o di quello personale dell’altro coniuge, a scapito del tempo e delle energie che poteva potuto dedicare al lavoro o alla carriera.
Si tratta di un “contributo”, che, in quanto tale, non è l’unico apporto alla conduzione familiare e al patrimonio comune o dell’altro coniuge, poiché la condivisione di vita all’interno della famiglia è frutto dei contributi diversificati, per natura ed entità, di tutti i componenti.
Neppure può ritenersi che per giustificare l’attribuzione dell’assegno divorzile il contributo del coniuge deve comportare il sacrificio totale di ogni attività lavorativa per dedicarsi alla famiglia, poiché la legge non richiede una dedizione esclusiva, essendo necessario e sufficiente che il coniuge abbia sacrificato l’attività lavorativa o occasioni di carriera professionale per dedicarsi di più alla famiglia.
L’entità di tale sacrificio è, semmai, rilevante ai fini della quantificazione dell’assegno, sempre se sussistono i presupposti per la sua erogazione.
In altre parole, per ottenere l’attribuzione dell’assegno divorzile, non è necessario che il richiedente dimostri che il coniuge abbia abbandonato il lavoro per dedicarsi esclusivamente alla cura dei suoi cari, assumendo rilievo il semplice sacrificio di attività lavorativa o di occasioni professionali come, ad esempio, la scelta di lavorare part time o quella di optare per un lavoro meno remunerativo rispetto a un altro, che però lascia più tempo per seguire nel quotidiano il coniuge, i figli e la casa, come pure la decisione di rinunciare, per gli stessi motivi, a promozioni, a nuovi incarichi o ad avanzamenti di carriera.
2.4. La pronuncia impugnata non risulta conforme ai principi appena riportati.
La Corte d’appello ha, infatti, ritenuto che non vi fosse la prova che il contributo della moglie alla vita comune avesse comportato serie rinunce ad attività professionali, dipendenti esclusivamente dalla scelta di dedicare maggior tempo ai figli e a lasciare più libero il marito nell’esplicazione della professione medica e di quella parallela di politico (p. 3 della sentenza impugnata).
Come appena evidenziato, tuttavia, è irrilevante quale sia il motivo sotteso alla scelta di dedicarsi maggiormente alla famiglia, operata da uno dei coniugi e accettata dall’altro, né rileva che tale scelta comporti o meno una dedizione totale ed esclusiva al coniuge e ai figli.
La Corte d’appello ha anche fondato la decisione sul fatto che non ha considerato provato che la scelta della ricorrente di lasciare l’incarico di amministratore dell’azienda di famiglia fosse una scelta forzata dalla necessità di provvedere ai bisogni della famiglia, e non fosse determinata da altre ragioni (p. 4 della sentenza impugnata).
Ma, ancora una volta, ai fini dell’attribuzione dell’assegno divorzile, non rilevano le ragioni della scelta del coniuge di dedicarsi alla famiglia a scapito degli impegni o delle occasioni professionali, ma solo il fatto oggettivo del sacrificio dell’attività lavorativa.
Infine, la menzionata Corte d’appello ha ritenuto che non vi fosse la prova che l’incremento del patrimonio immobiliare del controricorrente trovasse esclusiva giustificazione nell’apporto pressoché esclusivo della moglie alla famiglia, dato che quest’ultima ha sempre potuto svolgere attività lavorativa (p. 4 della sentenza impugnata).
Tuttavia, si è in precedenza evidenziato che, ai fini dell’attribuzione dell’assegno in questione, ciò che conta è il sacrificio lavorativo o professionale per dedicarsi alla famiglia, senza che sia necessario che tale sacrificio si sostanzi in un abbandono “totale” del lavoro al di fuori della famiglia, né che il patrimonio familiare e quello dell’altro coniuge siano incrementati “esclusivamente” grazie al contributo del coniuge che ha operato tale sacrificio, essendo sufficiente un contributo di quest’ultimo alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune, a scapito delle sue occupazioni lavorative o di avanzamenti di carriera.
È pertanto evidente che il fatto che il richiedente l’assegno di divorzio abbia sempre potuto continuare a lavorare non assume alcun rilievo, essendo invece necessaria e sufficiente la dimostrazione del sacrificio economico sopportato per aver rinunciato ad attività lavorative o ad occasioni di crescita professionale al fine di dedicarsi maggiormente alla famiglia.

3. Il motivo di ricorso deve, pertanto, essere accolto ed il giudice del rinvio deve attenersi ai principi esposti.
La sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del presente giudizio di legittimità.

4. In caso di diffusione, devono essere omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati nella decisione, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

P.Q.M.

La Corte,
accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.
Dispone che, in caso di diffusione della presente ordinanza, siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati, a norma delD.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile della Corte suprema di Cassazione, il 4 luglio 2023.
Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2023

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