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Famiglia Successioni Sentenze

Cassazione civile, sez. I, 14 febbraio 2011, n. 3572

Redazionedi Redazione14 Febbraio 2011
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iscrizione contemporanea a due albi professionali

Svolgimento del processo

1. La sig.ra M.M.L., con ricorso a questa Corte notificato il 18 dicembre 2009 al Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Genova, ha impugnato il decreto della Corte d’appello di Genova, depositato il 19 ottobre 2009, con il quale è stato rigettato il reclamo avverso il provvedimento del tribunale per i minorenni di Genova del 26 febbraio 2008 con il quale è stato dichiarato efficace, ai sensi e con gli effetti della L. n. 184 del 1983, art. 44, lett. d), e succ. mod., il provvedimento di adozione pronunciato in data 23 giugno 2006 dal tribunale di secondo grado del distretto di Columbia (USA), della minore M.V.L., nata a (OMISSIS), in conformità del provvedimento di adozione emesso dal tribunale regionale di Lipetsk (Federazione Russa) in data 1 novembre 2005.

Motivi della decisione

1.1. La ricorrente con un primo motivo denuncia la violazione della L. n. 184 del 1983, artt. 35, 36 e 27, nel testo vigente a seguito dell’emanazione della L. n. 476 del 1998, e della L. n. 218 del 1995, artt. 64 e 66, nonché vizi motivazionali. Deduce al riguardo che la L. n. 184 del 1983, art. 36, comma 4, dispone che l’adozione pronunciata dalla competente autorità di un paese straniero a istanza di cittadini italiani, che dimostrino al momento della pronuncia di avere soggiornato continuativamente nello stesso e di avervi avuto la residenza da almeno due anni, è riconosciuta a ogni effetto in Italia con provvedimento del tribunale per i minorenni, purché conforme ai principi della Convenzione dell’Aja del 29 maggio 1993. Deduce che, in base a tale norma, l’adozione effettuata nel paese terzo, secondo le norme e le procedure del paese di appartenenza, può essere riconosciuta in Italia previa verifica della sua conformità ai principi della su detta Convenzione. Secondo la ricorrente la Corte d’appello, in forza di tale norma, avrebbe dovuto riconoscere – e avrebbe errato nel non farlo – efficacia legittimante in Italia all’adozione, in base all’esame delle procedure seguite, che nel caso di specie dimostrerebbero la conformità dell’adozione della quale si chiede il riconoscimento ai principi della Convenzione. Deduce che, avendo l’adozione “de qua” effetto legittimante negli ordinamenti russo e statunitense, uguale effetto dovrebbe avere in Italia, tenuto anche conto che l’art. 23 della Convenzione dell’Aja per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale del 29 maggio 1993, ratificata e resa esecutiva con legge n. 476 del 1998, “prevede il riconoscimento di pieno diritto negli altri stati contraenti dell’adozione conforme alla Convenzione”, mentre “la L. n. 184 del 1983, all’art. 35 dispone che l’adozione pronunciata all’estero produce gli effetti di cui all’art. 27 (adozione legittimante)”.
Con un secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 2 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, art. 3 Cost., degli artt. 6, 10 e 24 della Convenzione di Strasburgo del 1967 sull’adozione dei minori, ratificata con la L. n. 357 del 1974.
Deduce in proposito che, una volta avvenuta l’adozione legittimante sia con riferimento al paese di origine: del minore, sia a quello di residenza, non si possono smembrare gli effetti dell’adozione straniera in sede di riconoscimento nello Stato italiano, con conseguenze confuse e contraddittorie circa lo “status” dell’adottato nei vari ordinamenti, una volta che questi ammettano l’adozione da parte del “single”, apparendo ciò in contrasto con gli artt. 6, 10 e 24 della Convenzione di Strasburgo che ammettono l’adozione da parte del “single” solo con effetti legittimanti ed ai quali deve ritenersi essersi conformata la legge italiana.
2.1. Per ragioni di ordine logico il secondo motivo deve essere esaminato per primo.
In proposito va considerato che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 183 del 1994, ha affermato, con autorevole interpretazione recepita da questa Corte nella sentenza n. 6078 del 2006, che l’art. 6 della Convenzione di Strasburgo del 24 aprile 1967, in materia, di adozioni, di minori, ratificata con L. n. 357 del 1974. “non conferisce immediatamente ai giudici italiani il potere di concedere l’adozione di minori a persone; singole al di fuori dai limiti entro ì quali tale potere è attribuito dalla legge nazionale, e nemmeno può essere interpretata nel senso di vincolare il legislatore italiano ad ammettere senza limiti l’adozione da parte del singolo”. Trattasi, pertanto, di norma non autoapplicativa, che attribuisce al legislatore nazionale la facoltà – e non l’obbligo – di prevedere la possibilità di adozione anche per persone singole, cosicché perché tale adozione possa avere luogo in Italia è necessaria l’interposizione di una legge interna che determini i presupposti di ammissione e gli effetti dell’adozione da parte della persona singola. Di tale facoltà il legislatore italiano si è avvalso, con la legge n. 184 del 1983, entro limiti ristretti, ammettendo tale adozione in particolari circostanze (art. 25, commi 4 e 5), ovvero “in casi particolari” (art. 44) senza effetto di adozione piena. Limite questo che non contrasta con il disposto dell’art. 10 della Convenzione, prevedendo espressamente l’art. 24 della Convenzione stessa la previsione da parte della legislazione nazionale di forme di adozione diversificate, purché ad almeno una di esse vengano applicate le disposizioni dei paragrafi 1-2-3 e 4 dell’art. 10 e dei paragrafi 2 e 3 dell’art. 12, senza derogare quella del n. 5 dell’art. 10, non derogata per le “adozioni in casi particolari” prevista dalla L. n. 184 del 1983, art. 44, in forza dei richiami contenuti nell’art. 55 di tale legge.
Ne deriva l’infondatezza del motivo in relazione alla dedotta violazione della Convenzione di Strasburgo, mentre esso è inammissibile per la sua genericità, sia riguardo ai profili riguardanti la dedotta violazione dell’art. 2 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, sia riguardo alla questione di legittimità costituzionale prospettata in udienza, relativa L. n. 184 del 1983, art. 55, tenuto anche conto di quanto già stabilito dall’ordinanza n. 347 del 2005 della Corte costituzionale circa l’idoneità dell’adozione in casi particolari a soddisfare adeguatamente situazioni analoghe a quella in esame.
3.1. Venendo all’esame del primo motivo, va considerato che la sentenza impugnata ha respinto il gravame dinanzi ad essa proposto anche in relazione alla violazione della L. n. 184 del 1983, art. 36, comma 4, come modificata dalla L. n. 476 del 1998, facendo riferimento a quanto statuito da questa Corte nella sentenza n. 6078 del 2006, con ciò errando, essendosi questa Corte, in quella sentenza, occupata di un caso – come ampiamente illustrato nei primi paragrafi della sentenza medesima – in cui l’art. 36, comma 4, su detto non era applicabile, con la conseguenza che nessun principio era stato affermato riguardo alla normativa contenuta in tale norma.
Pronunciando sul motivo, peraltro, va osservato quanto segue.
Oggetto del decidere è se sia corretto – in relazione al disposto della L. n. 184 del 1983, art. 36, comma 4, come modificata dalla L. n. 476 del 1998, nonché artt. 27 e 35 di detta legge, L. n. 218 del 1995, artt. 64 e 66, – che, come statuito dalla Corte d’appello, essendo l’adottante “single”, la dichiarazione d’efficacia nello Stato italiano del provvedimento del tribunale di secondo grado del distretto di Columbia, di riconoscimento del provvedimento di adozione pronunciato nella Federazione russa, possa avvenire unicamente ai sensi della L. n. 184 del 1983, art. 44, e succ. mod., con gli effetti dell’”adozione in casi particolari” ma non con effetto legittimante, come richiesto dalla ricorrente. Sia il tribunale che la Corte d’appello hanno preso in esame, infatti, ai fini della declaratoria di esecutività, unicamente detto provvedimento e non anche – senza che sul punto sia stato proposto gravame – il provvedimento di adozione pronunciato nella Federazione Russa.
3.2. Il motivo è infondato, innanzitutto quanto al profilo relativo alla violazione della L. n. 218 del 1995, artt. 64 e 66, per l’assorbente ragione che a norma, dell’art. 41, comma 2, di tale legge, dette disposizioni non si applicano in materia di adozione di minori, applicandosi in tale materia le disposizioni speciali vigenti, quali sono quelle stabilite dalla L. n. 476 del 1998, di ratifica della Convenzione dell’Aja del 29 maggio 1993 (Cass. 18 marzo 2006, n. 6079).
3.3. In relazione ai restanti profili va considerato che la L. n. 184 del 1983, art. 35, nel testo modificato contestualmente alla legge di ratifica della Convenzione; su detta, in materia di riconoscimento da parte di cittadini italiani residenti in Italia di adozioni pronunciate in uno Stato estero dispone: “1. L’adozione pronunciata all’estero produce nell’ordinamento italiano gli effetti di cui all’art. 27. 2. Qualora l’adozione sia stata pronunciata nello Stato estero prima dell’arrivo del minore in Italia, il tribunale verifica che nel provvedimento dell’autorità che ha pronunciato l’adozione risulti la sussistenza delle condizioni delle adozioni internazionali previste dall’art. 4 della Convenzione. 3. Il tribunale accerta inoltre che l’adozione non sia contraria ai principi fondamentali che regolano nello Stato il diritto di famiglia e dei minori, valutati in relazione al superiore interesse del minore e se sussistono la certificazione di conformità alla Convenzione di cui alla lett. i) e l’autorizzazione prevista dalla lett. h) dell’art. 39, comma 1, ordina la trascrizione del provvedimento di adozione nei registri dello stato civile”.
Stabilisce poi al comma 6: “Fatto salvo quanto previsto nell’art. 36, non può comunque essere ordinata la trascrizione nei casi in cui: a) il provvedimento di adozione riguardi adottanti non in possesso dei requisiti previsti dalla legge italiana sull’adozione; b) non sono state rispettate le indicazioni contenute nella dichiarazione di idoneità; c) non è possibile la conversione in adozione produttiva degli effetti di cui all’art. 27; d) l’adozione o l’affidamento stranieri non si sono realizzati tramite le autorità centrali a un ente autorizzato, e) l’inserimento del minore nella famiglia adottiva si è manifestato contrario al suo interesse”.
La L. n. 184 del 1983, art. 36, nel testo modificato contestualmente alla legge di ratifica della Convenzione su detta, dispone al comma 4, che “l’adozione pronunciata dalla competente autorità di un Paese straniero a istanza di cittadini italiani che dimostrino al momento della pronuncia di aver soggiornato continuativamente nello stesso e di avervi avuto la residenza da almeno due anni, viene riconosciuta ad ogni effetto in Italia con provvedimento del tribunale per i minorenni, purché conforme ai principi della Convenzione”.
Tale disposizione, in considerazione della particolarità della loro situazione, per i cittadini italiani i quali dimostrino che al momento della pronuncia dell’adozione del minore soggiornavano continuativamente nel paese dove questa sia stata emessa e vi avevano la residenza da almeno due anni, introduce una disciplina speciale per il riconoscimento dell’adozione. Peraltro dall’esame del precedente art. 35 – il quale al citato comma 3 ribadisce che la trascrizione dell’adozione nei registri dello stato civile italiano non può avere mai luogo ove “contraria ai principi fondamentali che regolano nello Stato il diritto di famiglia e dei minori” – e dal collegamento testuale contenuto nell’art. 35, comma 6, della deroga di cui all’art. 36 alle sole disposizioni del medesimo art. 35, comma 6, si evince che con la disposizione speciale dell’art. 36, comma 4, applicabile ai cittadini italiani che non risiedano in Italia e si trovino nelle condizioni in esso indicate, non è stata introdotta alcuna deroga al su detto principio generale, enunciato nell’art. 35, comma 3, (e ribadito al comma 4 dello stesso articolo per le adozioni da perfezionarsi dopo l’arrivo del minore in Italia), secondo il quale la trascrizione dell’adozione nei registri dello stato civile italiano non può avere mai luogo ove “contraria ai principi fondamentali che regolano nello Stato il diritto di famiglia e dei minori”.
Interpretazione questa confortata dalla considerazione che la disposizione dell’art. 36, comma 4, pur consentendo deroghe alla disciplina generale sul riconoscimento delle adozioni pronunciate all’estero, deve pur sempre essere inquadrata nel sistema, tenendosi conto dei principi essenziali relativi alla materia “de qua” attualmente espressi nella legislazione vigente.
Conseguentemente deve considerarsi che a proposito dell’adozione legittimante la L. n. 184, art. 6, pone il principio conformatore dell’istituto secondo il quale tale adozione è consentita solo “a coniugi uniti in matrimonio”, avendo finora ritenuto il legislatore tale statuizione opportuna e necessaria nell’interesse generale dei minori: solo in presenza del quale l’art. 25, una volta che l’affidamento preadottivo abbia avuto già corso in conformità del principio stabilito dall’art. 6 ponendo in essere di fatto vincoli genitoriali con una coppia unita in matrimonio, autorizza l’adozione nonostante il sopravvenire della morte o della separazione di uno dei coniugi nel corso del procedimento.
Deve quindi escludersi che in contrasto con tale principio generale, allo stato della legislazione vigente, soggetti singoli possano ottenere, ai sensi dell’art. 36, comma 4 in questione, il riconoscimento in, Italia dell’adozione di un minore pronunciata all’estero con gli effetti legittimanti anziché ai sensi e con gli effetti di cui alla L. n. 184 del 1983, art. 44, secondo quanto disposto dalla sentenza impugnata. Fermo restando che, come questa Corte ha già rilevato (Cass. 18 marzo 2006, n. 6078) con riferimento al disposto della sopra menzionata disposizione dell’art. 6 della Convenzione di Strasburgo del 1967, il legislatore nazionale ben potrebbe provvedere, nel concorso di particolari circostanze, ad un ampliamento dell’ambito di ammissibilità dell’adozione di minore da parte di una singola persona anche con gli effetti dell’adozione legittimante.
Ne deriva che il ricorso deve essere rigettato. Nulla va statuito sulle spese.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso.

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