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Banca Borsa Mercati finanziari Sentenze

Cassazione civile, sez. II, 15 giugno 2010, n. 14305

Redazionedi Redazione15 Giugno 2010
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iscrizione contemporanea a due albi professionali

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che il consigliere designato ha depositato, in data 8 marzo 2010, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.: Con provvedimento n. 929 dell’11 settembre 2007, il Direttorio della Banca d’Italia ha applicato al consigliere di amministrazione della Banca di Credito Cooperativo XXX le sanzioni amministrative di Euro 9.000 per carenze nell’organizzazione e nei controlli interni e di ulteriori Euro 9.000 per carenze nell’erogazione, gestione e controllo del credito (per un totale quindi di Euro 18.000), accertate in occasione di una ispezione effettuata presso detta Banca dal 25 ottobre 2006 al 22 dicembre 2006.
Contro detto provvedimento l’ingiunto ha proposto opposizione ai sensi del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 145, lamentando la non corretta applicazione, da parte della Banca d’Italia, dei criteri sia oggettivi che soggettivi indicati dalle vigenti disposizioni di legge per la determinazione della sanzione amministrativa.
La Corte d’appello di Roma, con decreto in data 26 marzo 2008, ha rigettato l’opposizione, rilevando che nella determinazione della sanzione in concreto applicabile risulta operata una graduazione tra il minimo ed il massimo edittali, rispettivamente pari ad Euro 2.580 e ad Euro 129.110, cosi come previsti dal T.U. delle leggi in materia bancaria e creditizia, approvato con il D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 144, modificato dalla L. 28 dicembre 2005, n. 262, art. 39.
Per la cassazione del decreto della Corte d’appello il M. ha proposto ricorso, affidato a due motivi. Ha resistito, con controricorso, l’intimata Banca d’Italia.
Il primo motivo è rubricato “motivazione totalmente assente, o quantomeno marcatamente insufficiente, su punto decisivo della controversia”. Il momento di sintesi che lo conclude prospetta che la motivazione del decreto impugnato – secondo cui la Banca d’Italia avrebbe “tenuto conto delle condizioni personali dell’opponente contemperandole con l’obiettiva esigenza disciplinare del provvedimento”- è decisamente insufficiente in quanto essa, priva di qualsiasi riscontro o richiamo al provvedimento sanzionatorio della Banca d’Italia (il quale a, sua volta non contiene alcun riferimento in proposito), non consente in alcun modo di giustificare la decisione di rigetto del motivo di reclamo facente leva sulla omessa considerazione da parte della Banca d’Italia, nella determinazione della sanzione, della personalità e delle condizioni economiche del soggetto sanzionato. Dalla motivazione del decreto impugnato – si sostiene – non si evince come, in concreto, la Banca d’Italia abbia considerato l’elemento soggettivo dedotto (personalità e condizioni economiche del soggetto sanzionato) e dunque come, sempre in concreto, tale considerazione abbia influito nella determinazione della sanzione.
Il secondo motivo (violazione e falsa applicazione della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 11) si conclude con il seguente quesito di diritto: “se, in corretta applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 11, un provvedimento sanzionatorio ex artt. 53 e 144 cit. T.U.B. debba indicare, nella motivazione, di come l’Autorità emanante abbia tenuto conto, per la determinazione della misura della sanzione in concreto irrogata, tra le altre cose, della personalità del soggetto sanzionato e delle sue condizioni economiche, e se dunque risulti viziata – per violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 11, – la decisione della Corte d’appello di Roma che, decidendo sul reclamo D.Lgs. n. 385 del 1993, ex art. 145, abbia respinto il reclamo medesimo, ritenendo immune dal vizio di violazione e falsa applicazione del citato art. 11, un provvedimento sanzionatorio della Banca d’Italia la cui motivazione non contenga alcun riferimento alla avvenuta considerazione, ai fini della determinazione della misura irrogata, della personalità del soggetto sanzionato e delle sue condizioni economiche”.
I due motivi – i quali, stante la loro stretta connessione, possono essere esaminati congiuntamente – sono manifestamente infondati, per la parte in cui non sono inammissibili.
In via preliminare, occorre precisare che, ove la legge indichi un minimo e un massimo di una sanzione amministrativa, è rimesso al potere discrezionale del giudice determinare l’entità della sanzione entro questi limiti, allo scopo di commisurarla alla concreta gravità del fatto concreto, globalmente desunta dai suoi elementi oggettivi e soggettivi; in particolare, il giudice non è tenuto a specificare i criteri seguiti nel commisurare la sanzione Né la statuizione adottata al riguardo è censurabile in sede di legittimità ove siano stati rispettati i limiti suddetti e dal complesso della motivazione risulti che quella valutazione sia stata compiuta (Cass., Sez. 1^, 22 giugno 2001, n. 8532; Cass., Sez. 1^, 24 marzo 2004, n. 5877).
D’altra parte, nel procedimento di opposizione a sanzione amministrativa pecuniaria la motivazione dell’ordinanza – ingiunzione in ordine alla concreta determinazione della sanzione non assume rilievo, risolvendosi semplicemente nell’esposizione dei criteri seguiti dall’autorità ingiungente per pervenire alla liquidazione della somma pretesa, sicché il giudice dell’opposizione, investito della questione relativa alla congruità della sanzione, non è chiamato propriamente a controllare la motivazione dell’atto sul punto, ma a determinare la sanzione applicando direttamente i criteri previsti dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 11, (Cass., Sez. 1^, 10 dicembre 2003, n. 18811).
Tanto premesso, il provvedimento impugnato resiste alle censure del ricorrente.
La Corte di merito – valutando complessivamente le condizioni economiche e la personalità dell’ingiunto e la gravità delle violazioni contestate – ha puntualmente osservato che l’assenza di una stabile retribuzione, oltre che di una specifica professionalità (peraltro neppure richiesta) degli amministratori di una piccola banca di credito cooperativo, non determina alcuna limitazione ai doveri di diligenza, di accortezza e prudenza insiti in quel tipo di attività esercitata; e neppure al rispetto della normativa di vigilanza bancaria, da osservarsi rigorosamente in relazione sia alle specifiche responsabilità connesse con la funzione che l’amministratore si è assunto volontariamente, che alle peculiarità dell’attività di gestione del credito, dalla quale scaturiscono imprescindibili esigenze di vigilanza sulle procedure operative e di controllo del rischio, quale che sia la dimensione della banca.
La Corte d’appello ha precisato che, nello specifico, l’entità e la gravità delle varie infrazioni rilevate e contestate all’intero organo amministrativo (tra cui: omesse valutazioni delle capacità di rimborso della clientela; tolleranza di sconfinamenti; concessione di rilevanti affidamenti senza adeguate valutazioni circa le iniziative finanziate; anticipazioni su fatture; omessi riscontro di linea ed omessi controlli sull’attività di sportello) giustificano la valutazione dell’organo di controllo che, pur nella palese gravità delle infrazioni – frutto di condotta improntata a superficialità, imprudenza ed in palese dispregio della normativa bancaria -, contenendo l’importo della singola sanzione in Euro 9.000, ha tenuto conto anche delle condizioni personali dell’opponente, contemperandole con l’obiettiva esigenza disciplinare del provvedimento.
La Corte territoriale, nel confermare l’importo irrogato dall’amministrazione, di gran lunga inferiore alla metà del massimo della sanzione edittale e prossimo invece al minimo, ha correttamente quantificato la sanzione pecuniaria a carico del ricorrente nel pieno rispetto dei criteri enunciati dalla L. n. 689 del 1981, art. 11, dandone conto nella motivazione del decreto, considerando la gravità della violazione e contemperandola con la personalità dell’agente e con le sue condizioni economiche.
Il ricorso finisce con il sollecitare una nuova ponderazione in fatto dei criteri di cui alla L. n. 689, art. 11, onde pervenire ad un importo della sanzione diverso da quello giudicato congruo, con adeguata motivazione, dalla Corte d’appello; così affidando alla Corte di cassazione un compito di merito che fuoriesce dall’ambito del giudizio di legittimitàà.
Letta la memoria del ricorrente.
Considerato che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione di cui sopra; che proprio la circostanza che la sanzione amministrativa sia stata contenuta, nonostante l’indubbia gravità degli illeciti contestati, in una misura prossima al minimo, sta a dimostrare che si è avuto riguardo alle condizioni personali dell’opponente e che si sono valutati tutti gli elementi indicati nella L. n. 689 del 1981, art. 11; che la determinazione della misura della sanzione amministrativa pecuniaria, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfugge al sindacato di legittimità qualora, come nella specie, non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione; che, pertanto, il ricorso deve essere rigettato: che le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, liquidate in complessivi Euro 1.000, di cui Euro 800 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 13 maggio 2010.
Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2010

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