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Home»Aree tematiche di MioLegale.it»Diritto urbanistico Edilizia
Diritto urbanistico Edilizia Sentenze

Cassazione civile, sez II, 20 agosto 2015, n. 17043

Redazionedi Redazione3 Settembre 2015
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iscrizione contemporanea a due albi professionali

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione notificata il 20.9.2002 V. I. e L. E., comproprietari di un fabbricato sito in Ronco di Omegna, convenivano in giudizio, innanzi al Tribunale di Verbania, A. A., per sentirlo condannare a demolire il fabbricato che egli aveva costruito in appoggio al loro, in forza di una concessione che sostenevano essere illegittima. Deducevano, a sostegno, che tale opera, assentita nel 1998 come demolizione e ricostruzione di un preesistente fabbricato rustico in disuso, integrava, in realtà, una nuova costruzione, che a sua volta violava la distanza prescritta dall’art. 21 delle norme tecniche d’attuazione (NTA) del piano regolatore generale (PRG) del comune. Col medesimo atto convenivano in giudizio, altresì, S. A. e Al. G. A. per sentirli condannare a rimuovere un’autovettura e dei vasi di piante che questi ultimi avevano collocato sulla corte comune ai due suddetti immobili. Domandavano, inoltre, il risarcimento dei danni.
Resistendo tutti i convenuti, il Tribunale condannava A. A. ad arretrare la costruzione a cinque metri dal confine, e S. A. e Al. G. A. a rimuovere quanto collocato sulla corte comune; rigettava, invece, la domanda volta ad accertare l’illegittimità dell’appoggio della nuova costruzione, ai sensi dell’art. 877 c.c. e la domanda di risarcimento dei danni.
Provvedendo sull’appello principale di A. A., S. A. e Al. G. A., e incidentale di V. I. e L. E., la Corte d’appello di Torino, con sentenza pubblicata il 24.11.2008, in parziale riforma della decisione di primo grado, respingeva la domanda demolizione del fabbricato costruito da A. A. e compensava integralmente tra le parti le spese del doppio grado di merito.
Osservava la Corte territoriale, per quanto ancora rileva in questa sede di legittimità, che la costruzione realizzata dall’A., che per il mantenimento del filo esterno di allineamento all’edificio preesistente poteva qualificarsi come ristrutturazione edilizia, presentava una volumetria, al netto della franchigia della parte accessoria, maggiore del 30% rispetto a quella del fabbricato oggetto della ristrutturazione; e che tale “maggiore volumetria risulta(va) ottenuta in elevazione, con una maggiore altezza di cm. 120/140”. Tale manufatto, pertanto, violava le prescrizioni dell’art. 21 delle NTA del PRG sia nella formulazione vigente all’epoca del provvedimento di assenso all’opera (1998), sia in quella successiva, approvata nel 2001. Non di meno, però, la violazione non comportava la demolizione del fabbricato, in quanto le norme locali che limitavano entro determinate misure l’incremento di volume, superficie e altezza del nuovo edificio rispetto a quello preesistente, non erano integrative dell’art. 873 c.c. in materia di distanze e non conferivano al vicino, pertanto, il diritto di ottenere la demolizione delle costruzioni realizzate in violazione delle stesse.
Quanto all’illegittimo appoggio della nuova fabbrica all’edificio degli attori, la Corte torinese riteneva esistente l’appoggio (per difetto di autonomia statica del fabbricato in contestazione rispetto a quello degli attori), ma non il suo carattere illegittimo, non essendo pertinente il richiamo all’art. 877 c.c. Ciò in quanto l’A. era comproprietario del muro divisorio tra i due edifici, e dunque ben poteva utilizzarlo al fine della ricostruzione.
Per la cassazione di tale sentenza V. I. e L. Frandelli propongono ricorso, affidato a due motivi.
Resistono con, controricorso A. A. ad arretrare la costruzione a cinque metri dal confine, e S. A. e Al. G. A.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Col primo motivo, assistito da quesito di diritto ex art. 366-bis c.p.c., applicabile ratione temporis, i ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 31 legge n. 457/78 dei punti 3.2.3. delle NTA del PRG del comune di Omegna del 1989 e dell’art. 21 delle NTA del PRG del 2001.
Deducono al riguardo che la costruzione in oggetto, essendo stata realizzata con un’eccedenza volumetrica del 30% rispetto al pregresso, non è qualificabile né come demolizione e ricostruzione, ai sensi delle NTA del 1989, né come ristrutturazione edilizia, ai sensi dell’art. 21 NTA del 2001, sicché essa non va esente dal rispetto delle distanze dal confine, previsto per le nuovo costruzioni in cinque metri tanto dalla precedente, quanto dall’attuale disciplina urbanistica locale. Richiama, a sostegno, la giurisprudenza amministrativa sul concetto di ristrutturazione edilizia ai sensi dell’art. 31, comma 1, lett. d) legge n. 457/78, e ad ulteriore conforto l’art. 3, comma 1, lett. a) del D.P.R. n. 380/01, recante il T.U. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia,

2. – Il secondo motivo, anch’esso corredato da quesito di diritto ex art. 366-bis c.p.c., espone la violazione dell’art 877 c.c. Poiché nessuna delle parti aveva mai sostenuto che le due costruzioni erano divise da un muro, sia pure solo presuntivamente comune, la Corte territoriale, una volta accertata la non autonomia statica del fabbricato di proprietà A., avrebbe da ciò dovuto ricavare la violazione del divieto di appoggio e disporre, di conseguenza, le demolizioni del caso.

3. – Il primo motivo è fondato.
Il concetto normativo di ristrutturazione edilizia è disciplinato dall’art. 31, 1° comma, lett. d) della legge n. 457/78, applicabile ratione temporis alla fattispecie (il D.P.R. n. 280/01, recante il T.U. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, è entrato in vigore il 30.6.2003), e in base al 2° comma dello stesso articolo tale norma prevale sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi (ferme restando le sole disposizioni e competenze previste dalle leggi nn. 1089/39 e 1497/39 e successive modificazioni ed integrazioni).
Esso è stato puntualizzato da questa Corte, da ultimo con ordinanza S.U. n. 21578/11, osservando che — anche alla luce dei criteri di cui all’art. 31, primo comma lettera d), della legge 5 agosto 1978, n. 457 — la semplice “ristrutturazione” si verifica ove gli interventi, comportando modificazioni esclusivamente interne, abbiano interessato un edificio del quale sussistano e rimangano inalterate le componenti essenziali, quali i muri perimetrali, le strutture orizzontali, la copertura, mentre è ravvisabile la “ricostruzione” allorché dell’edificio preesistente siano venute meno, per evento naturale o per volontaria demolizione, dette componenti, e l’intervento si traduca nell’esatto ripristino delle stesse operato senza alcuna variazione rispetto alle originarie dimensioni dell’edificio, e, in particolare, senza aumenti della volumetria. In presenza di tali aumenti, si verte, invece, in ipotesi di “nuova costruzione”, come tale sottoposta alla disciplina in tema di distanze vigente al momento della medesima.
E detta pronuncia ha concluso, dunque, che la semplice constatazione dell’aumento di superficie e di volumetria è quindi sufficiente a rendere l’intervento edilizio non riconducibile al paradigma normativo della ristrutturazione e all’esonero dall’osservanza delle distanze legali previsto per detto tipo di interventi.
Analogamente, questa Corte si era espressa con sentenza n. 3391/09, nel senso che qualora siano venute meno, per eventi naturali o per demolizione, le preesistenti strutture edilizie, si ha “mera ricostruzione” se l’intervento si traduca nell’esatto ripristino delle strutture precedenti, senza alcuna variazione rispetto alle originarie dimensioni dell’edificio e, in particolare, senza aumenti della volumetria né delle superfici occupate in relazione alla originaria sagoma di ingombro; in presenza di tali aumenti, si verte, invece, in ipotesi di “nuova costruzione”, come tale sottoposta alla disciplina in tema di distanze vigente al momento della medesima.
Ed ancora, in precedenza, essa aveva affermato il medesimo principio con le del tutto analoghe sentenze nn. 9637/06 e 14128/00.

3.1. – Principio da cui la Corte torinese si è discostata sotto due profili.
In primo luogo, lì dove ha esaminato la questione della riconducibilità della costruzione in oggetto alla previsione della ristrutturazione edilizia, sulla base non della disciplina legislativa ma di quella regolamentare, assumendone i parametri dell’allineamento all’edificio preesistente e della franchigia volumetrica del 30% in più rispetto ad esso per effetto della sopraelevazione. In secondo luogo, allorché, riscontrato il rispetto del primo ma non anche del secondo parametro, ha escluso la tutela ripristinatoria in quanto le norme locali che vietavano d’incrementare volumi e superfici dei fabbricati preesistenti non erano integrative dell’art. 873 c.c. in materia di distanze.
Il che dimostra la sostanziale inutilità del ragionamento giuridico svolto nella sentenza impugnata.
Assunto (erroneamente) a criterio decisivo il rispetto di norme regolamentari non dirette (né comunque legittimate) a integrare l’art. 873 c.c., è vano scrutinare se ed in qual misura esse siano state osservate. Secondo la stessa logica eletta, il giudizio di valore derivabile sarebbe stato in ogni caso privo di effetti ai fini della domanda di condanna alla rimessione in pristino.
Al contrario, applicata — come avrebbe dovuto essere applicata — la predetta norma legislativa e non quella regolamentare, la semplice constatazione dell’aumento plano-volumetrico rispetto al ricostruito espunge l’opera in oggetto dall’ambito della ristrutturazione edilizia, configurandola come nuova costruzione. In presenza della quale si riespande la tutela ripristinatoria, mediante demolizione o arretramento (cfr. Cass. n. 7809/14), non essendo concesso ai regolamenti locali di incidere, neppure indirettamente attraverso la previsione di soglie massime d’incremento edilizio, sulle anzi dette nozioni normative e sui rimedi esperibili nei rapporti interprivati.

4. – L’accoglimento del primo mezzo d’annullamento assorbe l’esame del secondo motivo

5. – Conseguentemente, la sentenza impugnata va cassata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Torino, che nel riesaminare il merito si atterrà al seguente principio di diritto: “la ristrutturazione edilizia mediante ricostruzione di un edificio preesistente venuto meno per evento naturale o per volontaria demolizione, si attua, nel rispetto dell’art. 31, 1° comma, lett. d) della legge n. 457/78, mediante interventi che comportino modificazioni esclusivamente interne dell’edificio preesistente, senza aumenti di superficie o di volume. In presenza dei quali, invece, si configura una nuova costruzione, sottoposta alla disciplina in tema di distanze, vigente al momento della medesima, e alla relativa tutela ripristinatoria, non essendo concesso ai regolamenti locali di incidere, neppure indirettamente attraverso la previsione di soglie massime d’incremento edilizio, sulle anzi dette nozioni normative e sui rimedi esperibili nei rapporti interprivati”.

6. – Al giudice di rinvio si rimette, ai sensi dell’art. 385, 3° comma c.p.c., anche il regolamento delle spese di cassazione.

P. Q. M.

La Corte accoglie il primo motivo, assorbito il secondo, e cassa la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Torino, che provvederà anche sulle spese di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 22.4.2015.
DEPOSITATO IN CANCELLERIA Roma, 20 AGO 2015

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