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Home»Aree tematiche di MioLegale.it»Civile e procedura civile
Civile e procedura civile Sentenze

Cassazione civile, sez. II, 19 novembre 2015, n. 23666

Redazionedi Redazione27 Novembre 2015Aggiornato il:27 Novembre 2015
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RITENUTO IN FATTO
1. – B.C.F. – beneficiaria di un legato disposto in suo favore dal defunto Co.Gi. e non adempiuto dal di lui figlio Co.An. – convenne in giudizio, innanzi al Tribunale di Milano, C.L. (erede di Co.An. nella qualità di coniuge), Co.Lu. (erede di C. A. nella qualità di figlio) e C.W. (figlio della C.), chiedendo la declaratoria di simulazione assoluta dell’atto di compravendita immobiliare stipulato il 6.6.1988 tra C. L. e Co.Lu. (in qualità di venditori), da un lato, e C.W. (in qualità di acquirente), dall’altro, e – in subordine – la declaratoria di inefficacia di tale atto nei suoi confronti ai sensi dell’art. 2901 c.c..
I convenuti C.L. e C.W. resistettero alle domande, chiedendone il rigetto; mentre Co.Lu. rimase contumace.
Il Tribunale adito rigettò le domande proposte dalla B. C. e compensò le spese del giudizio.
2. – Sul gravame proposto dall’attrice, la Corte di Appello di Milano, con sentenza del 2.4.2010, rigettò l’impugnazione e confermò la pronuncia di primo grado.
3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre B.C. F. sulla base di tre motivi.
Resistono con controricorso C.L. e C.W.; mentre P.D., intimata nella qualità di erede di Co.
L., non ha svolto attività difensiva.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – Col primo motivo di ricorso, si deduce l’omessa insufficiente motivazione della sentenza impugnata relativamente al rigetto della declaratoria di simulazione assoluta del contratto di compravendita stipulato tra i convenuti. Si deduce, in particolare, che la Corte territoriale avrebbe errato nel valutare gli elementi di prova acquisiti e nell’escludere che fosse stato provato, sia pure per via presuntiva, l’accordo simulatorio tra le parti. A dire della ricorrente, i giudici di merito avrebbero valutato i singoli indizi singolarmente, senza procedere – come dovuto – ad una valutazione unitaria di essi, valutazione che, a suo dire, avrebbe condotto a ritenere provata la simulazione assoluta del contratto.
La censura è inammissibile, in quanto investe un giudizio di fatto, incensurabile in sede di legittimità, se motivato in modo non illogico.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte suprema, condivisa dal Collegio, in tema di simulazione assoluta del contratto, nel caso in cui la relativa domanda sia proposta da terzi estranei al negozio, spetta al giudice del merito valutare l’opportunità di fondare la decisione sulla prova per presunzioni e l’idoneità degli elementi presuntivi a consentire illazioni che ne discendano secondo l’id quod plerumque accidit, restando il relativo apprezzamento incensurabile in sede di legittimità, se sorretto da adeguata e corretta motivazione sotto il profilo logico e giuridico (Sez. 1, Sentenza n. 28224 del 26/11/2008, Rv. 605871; Sez. 3, Sentenza n. 903 del 18/01/2005, Rv. 578762). Sempre in tema di prova per presunzioni della simulazione assoluta di un contratto, questa Corte ha affermato che è compito del giudice del merito valutare in concreto l’efficacia sintomatica dei singoli fatti noti, non solo analiticamente ma anche nella loro convergenza globale, accertandone la pregnanza conclusiva; il suo apprezzamento, se sostenuto da adeguata e corretta motivazione sotto il profilo logico e giuridico, non è sindacabile in sede di legittimità (Sez. 1, Sentenza n. 1404 del 01/02/2001, Rv. 543561; Sez. 3, Sentenza n. 22801 del 28/10/2014, Rv. 633188).
Nella specie, i giudici di merito hanno ritenuto che gli indizi acquisiti non fossero univoci nell’attestare la simulazione assoluta del contratto di compravendita de quo, non solo perché il rapporto di parentela (madre-figlio) era relativo ad uno solo dei venditori, ma anche perché il prezzo corrisposto, per un verso, non si discostava molto da quello accertato in una consulenza tecnica di epoca poco anteriore alla stipulazione del contratto, per l’altro non poteva non essere stato determinato in considerazione del fatto che la venditrice avrebbe continuato ad abitare l’immobile.
Trattasi di motivazione non illogica, che resiste alle censure della ricorrente sul punto.
E peraltro, come questa Corte ha più volte sottolineato, compito della Corte di cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici del merito (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 3267 del 12/02/2008, Rv. 601665), dovendo invece la Corte di legittimità limitarsi a controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il ragionamento probatorio, da essi reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che, come dianzi detto, nel caso di specie è dato riscontrare.

2. – Con il secondo e col terzo motivo di ricorso, che possono essere esaminati unitariamente, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 c.c., nonché il vizio di motivazione della sentenza impugnata, con riferimento al rigetto della domanda di revocatoria dell’atto di compravendita stipulato tra i convenuti. Si deduce che la Corte territoriale sarebbe incorsa in errore nel ritenere che il credito spettante all’attrice e discendente dal legato fosse sorto nel 2004, quando cioè la sentenza della Corte di cassazione ebbe a definire il giudizio relativo all’an e al quantum del legato; così opinando, la Corte milanese non avrebbe considerato che il credito della B. era sorto fin dall’anno 1982, in occasione della pubblicazione del testamento e, comunque, la sua esistenza era stata giudizialmente accertata con la sentenza non definitiva del Tribunale di Milano del 23.10.1986. Si sarebbe trattato, perciò di un credito anteriore rispetto all’atto di disposizione patrimoniale (atto di compravendita stipulato il 6.6.1988), cosicché erroneamente la Corte territoriale avrebbe ritenuto necessaria – ai fini dell’accoglimento della domanda ex art. 2901 c.c. – la dolosa preordinazione dell’atto a pregiudicare le ragioni della B., dovendo invece ritenersi sufficiente la mera consapevolezza dei venditori e dell’acquirente di arrecare pregiudizio alle ragioni della creditrice, rendendo più ardua la soddisfazione del suo credito. Secondo la ricorrente, la Corte di Appello avrebbe poi errato nel valutare le risultanze probatorie e gli indizi acquisiti, essendovi in atti la prova che entrambe le parti contraenti della compravendita erano pienamente consapevoli del danno che l’alienazione cagionava alla B..
Queste censure sono fondate nei termini che seguono.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte dalla quale non v’è ragione di discostarsi, l’art. 2901 c.c., ha accolto una nozione lata di credito, comprensiva della ragione o aspettativa, con conseguente irrilevanza dei normali requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità. Ne consegue che anche il credito eventuale, nella veste di credito contestato o litigioso, è idoneo a determinare l’insorgere della qualità di creditore che abilita all’esperimento dell’azione revocatoria ordinaria avverso l’atto di disposizione compiuto dal debitore (Sez. 3, Sentenza n. 1893 del 09/02/2012, Rv.
621220; Sez. 3, Sentenza n. 1968 del 27/01/2009, Rv. 606331; Sez. 3, Sentenza n. 9855 del 07/05/2014, Rv. 630998; Sez. 3, Sentenza n. 9855 del 07/05/2014, Rv. 630998; Sez. 3, Sentenza n. 1968 del 27/01/2009, Rv. 606331). È questa la ragione per la quale il giudizio promosso con l’azione revocatoria ai sensi dell’art. 2901 c.c. (c.d. azione pauliana) non è soggetto a sospensione necessaria a norma dell’art. 295 c.p.c., per il caso di pendenza di controversia avente ad oggetto l’accertamento del credito per la cui conservazione è stata proposta la domanda revocatoria, in quanto la definizione del giudizio sull’accertamento del credito non costituisce l’indispensabile antecedente logico-giuridico della pronuncia sulla domanda revocatoria, essendo d’altra parte da escludere l’eventualità di un conflitto di giudicati tra la sentenza che, a tutela dell’allegato credito litigioso, dichiari inefficace l’atto di disposizione e la sentenza negativa sull’esistenza del credito (Sez. U, Ordinanza n. 9440 del 18/05/2004, Rv. 572929); conflitto reso impossibile dal fatto che la sentenza dichiarativa dell’inefficacia dell’atto dispositivo nei confronti del creditore, a seguito dell’accoglimento della domanda revocatoria, non costituisce titolo sufficiente per procedere ad esecuzione nei confronti del terzo acquirente, essendo a tal fine necessario che il creditore disponga anche di un titolo sull’esistenza del credito, che può procurarsi soltanto nella causa relativa al credito e non anche in quella concernente esclusivamente la domanda revocatoria, nella quale la cognizione del giudice sul credito è meramente incidentale (Sez. 3, Sentenza n. 5246 del 10/03/2006, Rv. 588258; Sez. 3, Sentenza n. 9855 del 07/05/2014, Rv.
630998, che precisa che l’eventuale sentenza dichiarativa dell’atto revocato non può essere portata ad esecuzione finchè l’esistenza di quel credito non sia accertata con efficacia di giudicato).
Nella specie, la Corte milanese ha ritenuto che il credito dell’attrice – quale presupposto dell’azione revocatoria di cui all’art. 2901 c.c., – fosse sorto al momento del passaggio in giudicato (formatosi nel 2004 con la pronuncia della Corte di cassazione) della sentenza, emessa nel separato giudizio nel quale la B. aveva agito per il riconoscimento e per l’esecuzione del legato in suo favore, con la quale alla medesima attrice era stato liquidato l’ammontare del credito corrispondente al controvalore del legato.
Con ciò i giudici di merito sono incorsi in una evidente violazione del richiamato principio di diritto, avendo essi – per stabilire il momento del sorgere del credito ai fini dell’azione revocatoria – preso in considerazione il momento in cui il credito della B. è divenuto liquido ed esigibile, e non – come avrebbero dovuto – quello ben precedente in cui era insorto il diritto della medesima quale legataria, ossia il momento dell’apertura della successione del defunto Co.Gi..
Conseguente a tale errore di diritto è stata l’affermazione della Corte territoriale della necessità della dolosa preordinazione – nella specie ritenuta non provata – dell’atto di disposizione patrimoniale al fine di pregiudicare il soddisfacimento del diritto della B..
E infatti, la Corte di Appello, avendo erroneamente collocato l’atto di disposizione patrimoniale dei convenuti in un momento anteriore al sorgere del credito dell’attrice, ha finito poi per ritenere necessaria, ai fini dell’accoglimento della domanda di revocazione, la prova che venditori e acquirente avessero dolosamente preordinato l’atto di compravendita al fine di pregiudicare l’eventuale futuro credito della B..
E invece, dovendosi l’atto di disposizione patrimoniale dei convenuti collocare in un momento successivo al sorgere del credito della B., sarebbe stata sufficiente – ai fini dell’accoglimento della domanda di revocazione – la consapevolezza del pregiudizio recato alle ragioni del creditore (c.d. “scientia damni”), tale consapevolezza essendo sufficiente anche quanto l’accertamento definitivo del credito sia avvenuto in sede giudiziale successivamente alla stipula dell’atto pregiudizievole per il creditore (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 1968 del 27/01/2009, Rv. 606331).
Sul punto, va ricordato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, ai fini dell’azione revocatoria ordinaria, quando l’atto di disposizione sia successivo al sorgere del credito e sia a titolo oneroso, è sufficiente la consapevolezza, del debitore alienante e del terzo acquirente, della diminuzione della garanzia generica per la riduzione della consistenza patrimoniale del primo, non essendo necessaria la collusione tra gli stessi, Né occorrendo la conoscenza, da parte del terzo, dello specifico credito per cui è proposta l’azione, invece richiesta qualora quest’ultima abbia ad oggetto un atto, a titolo oneroso, anteriore al sorgere di detto credito. (Sez. 1, Sentenza n. 16825 del 05/07/2013, Rv. 627046; Sez. 6-1, Ordinanza n. 25614 del 03/12/2014, Rv. 633812). La prova di tale consapevolezza può essere fornita con ogni mezzo, a che per presunzioni, il cui apprezzamento è devoluto al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità ove congniamente motivato (Sez. 3, Sentenza n. 27546 del 30/12/2014, Rv. 633992; Sez. 3, Sentenza n. 3676 del 15/02/2011, Rv. 616597).
Alla luce dei richiamati principi di diritto, risulta inconferente il giudizio della Corte territoriale relativo alla sussistenza della “dolosa preordinazione”, risultando – nella specie – sufficiente accertare se le parti dell’atto di compravendita in data 6.6.1988 avessero mera “consapevolezza” del pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni della creditrice.

3. – Per quanto precede, in accoglimento del secondo e del terzo motivo di ricorso, va cassata la sentenza impugnata, con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Milano per nuovo giudizio, che dovrà essere formulato alla stregua dei seguenti principi di diritto:
1) “Ai fini dell’esercizio dell’azione revocatoria ai sensi dell’art. 2901 c.c., il credito – a tutela del quale la detta azione è apprestata – va inteso in senso lato, comprensivo della ragione o aspettativa, con conseguente irrilevanza dei normali requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità; anche il credito eventuale scaturente da un legato del quale è discussa la validità è idoneo, quale credito litigioso, a determinare l’insorgere della qualità di creditore che abilita all’esperimento dell’azione revocatoria ordinaria avverso l’atto di disposizione compiuto dal debitore, dovendosi ritenere il credito del legatario insorto nel momento dell’apertura della successione del de cuius”;
2) “Quando l’atto di disposizione patrimoniale a titolo oneroso è successivo al sorgere del credito, ai fini dell’azione revocatoria ordinaria, è sufficiente la consapevolezza, da parte del debitore alienante e del terzo acquirente, della diminuzione della garanzia generica per la riduzione della consistenza patrimoniale del primo, non essendo necessaria la collusione tra gli stessi, Né occorrendo la conoscenza, da parte del terzo, dello specifico credito per cui è proposta l’azione. La prova di tale consapevolezza può essere fornita con ogni mezzo, anche per presunzioni, la cui valutazione è riservata all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità ove giustificata con motivazione esente da vizi logici e giuridici”.
Il giudice di rinvio provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE rigetta il primo motivo; accoglie il secondo e il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, ad altra sezione della Corte di Appello di Milano.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 15 luglio 2015.
Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2015

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