Cassazione civile, sez. II, 22 febbraio 2001, n. 2611
Svolgimento del processo
Con citazione del 14-15 giugno 1991, E. I. conveniva in giudizio G. V. I., A. V. I., E. I., A. I., L. I., G. I. e G. V. per sentire dichiarare l’invalidità delle deliberazioni, che l’assemblea della comunione ereditaria del defunto L. I., cui tutti loro concorrevano, aveva adottato il 15 giugno 1991 al fine di gestire le quote sociali della Immobiliare Generano s.r.l. (partecipazione dell’80%) e dell’Immobiliare S. Emiliano s.r.l. (partecipazione del 92%), intestate al defunto.
Nel contraddittorio dei convenuti, l’adito Tribunale di Lecce, con sentenza del 22 gennaio-25 marzo 1996, dichiarava la nullità di quelle delibere.
Avverso tale sentenza, G. V. I., A. V. I., E. I., A. I., L. I. e G. I. proponevano gravame.
L’appellato E. I. resisteva al gravame, mentre G. V. restava contumace.
Con sentenza 27 giugno-21 luglio 1997, la Corte d’appello di Lecce rigettava il gravame.
Preliminarmente, osservava che la cognizione era circoscritta alla questione della configurabilità giuridica dell’eredità giacente pro quota, non avendo l’appellato riproposto in sede di gravame gli altri motivi di nullità delle contestate delibere assembleari del 15 giugno 1991. Dava quindi risposta positiva alla questione ed evidenziava che quelle delibere erano state adottate da un’assemblea illegittimamente costituita per la mancata nomina e partecipazione del curatore dell’eredità giacente, tale dovendosi considerare pro quota quella del chiamato E. I., che, diversamente dalle controparti, non aveva accettato all’epoca l’eredità del de cuius L. I.. Osservava, altresì, che nessuna apprezzabile rilevanza era da attribuirsi, ai fini in oggetto, alla sopravvenuta accettazione della eredità da parte del chiamato.
Per la cassazione di questa sentenza, G. V. I., A. V. I., A. I., E. I., L. I. e G. I. hanno proposto ricorso in forza di due motivi, illustrati anche con successiva memoria.
E. I. ha resistito con controricorso e l’altra intimata G. V. non ha svolto alcuna difesa.
Motivi della decisione
Con il primo motivo, i ricorrenti si dolgono che la Corte di merito, in violazione degli artt. 485, 486 e 528 c.c., e con motivazione peraltro contraddittoria, abbia ritenuto possibile l’esistenza di un’eredità giacente pro quota, per l’ipotesi - quale quella di specie - del concorso all’eredità di più soggetti, alcuni già eredi per averla accettata ed altro soltanto chiamato, quando invece l’istituto dell’eredità giacente presuppone sia la non intervenuta accettazione dell’eredità da parte del chiamato ovvero di alcuno dei chiamati e sia la mancanza in questi del possesso di beni ereditari.
Con il secondo motivo, si dolgono che la Corte di merito, in violazione dell’art. 460 c.c., abbia accertato l’invalidità delle contestate delibere del 15 giugno 1991 sul presupposto che la convocazione della relativa assemblea fosse stata effettuata nei confronti del chiamato all’eredità non ancora accettante, E. I., in quanto tale ritenuto privo del diritto di concorrere pro quota all’amministrazione dei beni ereditari, quando invece, per il disposto del citato art. 460 c.c. (attributivo al chiamato di poteri di conservazione e di amministrazione dei beni ereditari, in alternativa a quelli attribuiti al curatore dell’eredità giacente) e per le finalità concrete della convocazione di quella assemblea (necessità di redazione dei bilanci e delle dichiarazioni fiscali in scadenza per le società Immobiliare Generano e Immobiliare S.
Emiliano, di cui il de cuius era amministratore unico, nonché titolare dell’80% del capitale della prima e del 92% della seconda), lo stesso E. I. era investito in prima persona dei poteri per partecipare all’assemblea della comunione ereditaria e per contribuire a formarne i deliberati.
Il primo motivo va accolto, con conseguente assorbimento del secondo.
L’impugnata sentenza è infatti fondata sulla configurabilità di un’eredità giacente pro quota, che non si ritiene invece possibile per l’ipotesi appunto considerata del concorso di più chiamati all’eredità, alcuni accettanti (eredi quindi) ed altri non ancora.
La questione di un tal tipo di eredità giacente, che questa Corte ha affrontato solo incidenter tantum in altro giudizio, dandone soluzione negativa (v. sent. n. 5113 del 19.4.2000), risulta essere stata specificamente affrontata dalla dottrina e da alcune magistrature di merito con diversità di risultati, che spaziano dalla più radicale affermazione o negazione in assoluto dell’eredità giacente pro quota alla possibilità di una giacenza siffatta nell’ipotesi in cui non operi il diritto di accrescimento tra i coeredi.
Il legislatore, in verità, nel prevedere l’istituto dell’eredità giacente, non ne definisce il concetto, Né espressamente raffigura l’ipotesi del concorso di più chiamati all’eredità, ma si limita a disporne la disciplina, prevedendo la nomina di un curatore dell’eredità “quando il chiamato non ha accettato l’eredità e non è nel possesso di beni ereditari” (art. 528 c.c.) e statuendo poi la cessazione della curatela dell’eredità giacente “quando l’eredità è stata accettata” (art. 532 c.c.).
Se la lettera della legge, quale criterio ermeneutico fondamentale, non è dunque risolutiva in sè della questione in oggetto, prestandosi il dato letterale a diverse interpretazioni sul punto, tale non è invece se esaminata nel concorso del sussidiario criterio interpretativo dell’intenzione del legislatore.
Ed è, in tale contesto d’interpretazione letterale e logica della legge, che assume un particolare significato la funzione che il legislatore attribuisce all’istituto dell’eredità giacente, di cui agli artt. 528-532 c.c., e che, peraltro, ne evidenzia la diversità dai contigui istituti dell’amministrazione del patrimonio ereditario, di cui agli artt. 641-643 c.c., pur assimilati nella disciplina (art. 644 c.c.).
L’eredità giacente, che nella più lata e romanistica accezione individua la situazione in cui l’eredità viene a trovarsi nel tempo di vacatio tra delatio e aditio, è segnatamente considerata e disciplinata dal legislatore non già in sè, quale condizione giuridica del patrimonio ereditario nell’intervallo tra delazione ed accettazione, bensì quale situazione meritevole di tutela le volte in cui ricorrano determinati presupposti, e, per l’appunto, allorquando manchi il chiamato accettante l’eredità o il chiamato nel possesso di beni ereditari, che possano essi stessi avere cura effettiva del patrimonio ereditario in attesa della sua definitiva devoluzione: il primo in quanto con l’accettazione ha acquistato l’eredità, assumendo la qualità di erede (art. 459 c.c.), ed il secondo perché dotato di poteri di amministrazione del patrimonio ereditario e di rappresentanza della eredità (artt. 485 e 486 c.c.).
Il dato positivo dei citati artt. 528-532 c.c. esprime, infatti, ove ricorrano gli anzidetti presupposti, che si dia luogo ad un particolare sistema di amministrazione per ufficio pubblico (del curatore) dell’eredità, così realizzando una funzione tipicamente transitoria e strumentale di gestione del patrimonio ereditario altrimenti privo di tutela, che, in quanto tale, non può che investire per l’intero quel patrimonio, non già una sua parte.
Tale funzione, quindi, raccordata che si sia con i previsti presupposti della giacenza dell’eredità, quali la mancanza di accettazione dell’eredità da parte del chiamato ovvero la mancanza del possesso di beni ereditari in capo al chiamato, contribuisce a chiarire quel che la lettera della legge in sè non evidenzia specificamente con riguardo alla discussa applicabilità dell’istituto per l’ipotesi di giacenza dell’eredità pro quota.
Ed invero, se funzione dell’eredità giacente è - come è - quella innanzi descritta di conservazione ed amministrazione del patrimonio ereditario nel suo complesso (e non in una parte) in attesa di sua devoluzione definitiva a chi ne abbia titolo, e se tale istituto non opera - come previsto - quando il chiamato abbia accettato l’eredità ovvero abbia il possesso di beni ereditari, sia cioè esso stesso legittimato alla gestione del patrimonio ereditario, non può che conseguire la preclusione ordinamentale di un’eredità giacente pro quota, al limitato fine di amministrazione parziale del patrimonio ereditario, per la parte eventualmente spettante (posto che potrebbe non essere accettata) al mero e concorrente chiamato all’eredità.
Il risultato di negazione dell’eredità giacente pro quota, cui si è perviene per quanto innanzi illustrato, è, del resto, tutt’affatto coerente con lo stato di erede, che, indipendentemente dalla quota d’eredità attribuitagli, succede pur sempre nell’universum ius del de cuius, e che, soprattutto, avendo diritto di amministrare la sua quota indivisa dell’eredità, non può non coinvolgere nell’esercizio di tale diritto anche la quota degli altri coeredi o di eventuale spettanza di chi sia solo chiamato non accettante, per il quale ultimo - peraltro - neppure si pone un problema di comunione ereditaria, insorgendo essa comunione soltanto tra i coeredi e non tra i meri chiamati (v. sent. n. 5443 del 6.6.1994).
Resta in tal modo evidenziato che, nel concorso di più chiamati all’eredità, alcuni accettanti ed altri non ancora, come avvenuto nella specie (secondo il conforme e non contestato accertamento della Corte di merito), non sia configurabile un’eredità giacente pro quota, che giustifichi la nomina di un curatore, ai sensi e per gli effetti degli artt. 528-532 c.c..
L’impugnata sentenza, che si è discostata dal principio di diritto innanzi enunciato, deve essere quindi annullata con rinvio per un nuovo esame della controversia, da condursi appunto alla stregua di tale principio.
Il giudice del rinvio, designato in altra sezione della Corte d’appello di Lecce, provvederà anche al regolamento delle spese del giudizio di cassazione.
p.q.m.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiarato assorbito il secondo, e cassa la sentenza impugnata con rinvio, anche per le spese, ad altra sezione della Corte d’appello di Lecce.
Così deciso il 4.10.2000, in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile.