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Civile e procedura civile Sentenze

Cassazione civile, sez. III, 31 gennaio 2008, n. 2402

Redazionedi Redazione31 Gennaio 2008
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto 16 novembre 1999 D.A. ha convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Udine, sezione distaccata di Palmanova, Z.M..
Esposto che la convenuta il 12 aprile 1999 aveva acquistato un fondo rustico confinante con altro di sua proprietà in comune di (OMISSIS) in violazione del diritto di prelazione di legge, l’attore che chiesto fosse dichiarato il suo diritto di riscatto del fondo acquistato dalla Z. quanto alla parte confinante con la sua proprietà, con offerta del relativo prezzo e dichiarando, comunque, di essere disposto all’acquisto di tutto il fondo oggetto del contratto, limitatamente ai terreni in (OMISSIS).
Costituitasi in giudizio la Z. ha invocato di essere nel possesso dei requisiti di coltivatrice diretta, contestando il diritto dell’attore di riscattare solo una porzione del fondo, atteso che ciò avrebbe determinato un depauperamento economico del valore del bene e facendo presente, comunque, che il prezzo offerto da controparte era incongruo.
Con memoria 7 marzo 2000 l’attore ha ampliato la domanda, estendendola a tutto il fondo oggetto di compravendita nella parte censita nel comune di (OMISSIS).
Svoltasi la istruttoria del caso l’adito tribunale, con sentenza 11 febbraio 2003 ha accolto la domanda attrice e dichiarato il diritto di proprietà dell’attore, a far data del 12 aprile 1999 sulle particelle compravendute confinanti identificate con quelle censite nel comune di (OMISSIS) con condanna dell’attore al pagamento del prezzo determinato in Euro 359.006,53.
Gravata tale pronunzia in via principale dalla Z. e in via incidentale dal D. la Corte di appello di Trieste con sentenza 2 luglio – 10 settembre 2004 ha rigettato l’appello principale e, in accoglimento di quello incidentale, ha corretto il dispositivo della sentenza impugnata ordinando alla Z. il rilascio dell’immobile oggetto del rilascio subordinatamente al pagamento del prezzo, con conferma nel resto della sentenza del primo giudice.
Per la cassazione di tale sentenza, notificata il 20 ottobre 2004, ha proposto ricorso, affidato a tre motivi, Z.M., con atto 26 ottobre 2004.
Resiste, con controricorso, D.A..
Il P.G. ha chiesto la trattazione della causa in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Deduce, in limine, la difesa del controricorrente, nella propria memoria ex art. 378 c.p.c., che “è stata comunicata alle parti la data di fissazione dell’udienza camerale in uno con il parere del P.G. senza che risulti adottato il procedimento previsto dall’art. 380 bis c.p.c.” (con conseguente impossibilità, per l’effetto, di definire la presente controversia con il rito “della Camera di consiglio”).
2. L’assunto è manifestamente infondato.
Come noto in tema di giudizio di cassazione, l’art. 380 bis c.p.c. (sul “procedimento per la decisione in Camera di consiglio”) è stato inserito nel codice di rito, con decorrenza dal 2 marzo 2006, dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 10.
Giusta la testuale previsione dell’art. 27, comma 2, del Decreto da ultimo ricordato, ancora, “le restanti (cioè diverse dagli artt. 1 e 19, comma 1, lett. f), cfr. comma 1 dello stesso art. 27) disposizioni del capo primo (dello stesso decreto, e, pertanto, anche l’art. 10, sopra menzionato) si applicano ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto”.
Essendo il decreto in questione entrato in vigore, come già anticipato, il 2 marzo 2006 (perchè pubblicato sul supplemento ordinario n. 40, del 15 febbraio 2006, della Gazzetta Ufficiale), ed essendo la sentenza ora investita di ricorso per cassazione dalla Z. stata pubblicata, mediante deposito in cancelleria, il 10 settembre 2004 (e quindi quasi due anni prima della entrata in vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006), è di palmare evidenza – contrariamente a quanto invoca la difesa del controricorrente – la impossibilità di fare applicazione, nel presente giudizio, della disciplina di cui all’art. 380 bis c.p.c..
In realtà il presente procedimento è soggetto all’art. 375 c.p.c. (“pronuncia in Camera di consiglio”) nel testo come sostituito dalla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 1, che lungi dal prevedere l’adempimento che parte ricorrente assume in concreto omesso (deposito in cancelleria, da parte del consigliere relatore nominato, di una relazione con la concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei motivi in fatto e diritto in base ai quali ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio), dispone che “le conclusioni del pubblico ministero almeno venti giorni prima dell’adunanza della Corte in Camera di consiglio, sono notificate agli avvocati delle parti, che hanno facoltà di presentare memorie …”.
Certo che nella specie tale adempimento è stato puntualmente posto in essere è evidente – come anticipato – la manifesta infondatezza della eccezione del ricorrente principale.
3. Come esposto in parte espositiva e puntualmente a analiticamente riferisce il ricorrente, nella prima parte del proprio ricorso dedicata al “fatto”, nonché in quella, destinata ai “motivi”, cioè alla illustrazione delle diverse censure mosse alla sentenza impugnata, nella specie:
– D.A. ha evocato in giudizio Z.M. sul rilievo che questa, con contratto 12 aprile 1999 aveva acquistato diversi terreni in comune di (OMISSIS) e di (OMISSIS), tra cui il fondo agricolo, insistente in questo ultimo comune, partita (OMISSIS), F. (OMISSIS), in violazione del diritto di prelazione a lui spettante in qualità di proprietario coltivatore diretto del fondo, nello stesso comune di (OMISSIS), distinto in catasto al F. (OMISSIS), confinante con quello al F. (OMISSIS) acquistato dalla Z.;
– esposto di non avere venduto nell’ultimo biennio fondi e di avere capacità lavorativa e attrezzatura sufficiente come richiesto dalla legge il D. ha chiesto che l’adito giudice, accertato che ad esso concludente spetta il diritto di riscatto sul fondo, partita (OMISSIS), F. (OMISSIS) di ha 7.81.00, R.D. 1.327.700, R.D. 781.000, acquistato dalla convenuta con atto 12 aprile 1999 n. 73506 …. dato atto che l’attore offre formalmente alla convenuta con il presente atto … il prezzo che, per i motivi esposti in narrativa verrà determinato dal tribunale, dichiararsi che l’attore ha legalmente esercitato con il presente atto tale diritto di riscatto;
– nello stesso atto l’attore (come del resto sottolineato anche dalla difesa di parte controricorrente nei propri scritti difensivi in questa sede) ha comunicato alla convenuta, altresì che ove potesse interessarle egli è disposto a rilevare tutto il complesso dei beni trasferiti con l’atto 12 aprile 1999 per il prezzo ivi indicato, includendo nella presente offerta i mappali non oggetto di riscatto;
– avendo eccepito la convenuta che il riscatto riguardava esclusivamente il terreno in mappa al F. (OMISSIS) mentre, in realtà il fondo aveva una estensione ben maggiore, comprendendo sempre in F. (OMISSIS) e che l’accoglimento della pretesa attorea avrebbe determinato una inammissibile divisione del fondo con discendente deprezzamento del medesimo, con memoria 6 marzo 2000 il D. ha ammesso esplicitamente di avere formulato la domanda di riscatto limitatamente al terreno effettivamente e materialmente confinante con la sua proprietà, esponendo però che l’attore non aveva difficoltà ad aderire alla contestazione mossagli e ad estendere sin d’ora la domanda a tutto il compendio agricolo in comune di (OMISSIS) che danti causa avrebbero dovuto offrirgli in prelazione, modificando le conclusioni chiedendo che il tribunale accertasse il suo diritto al riscatto anche in relazione ai fondi in Comune di (OMISSIS) F. (OMISSIS), n.ri (OMISSIS).
4. Accolta dal primo giudice la domanda nei termini come “ampliati” con la ricordata memoria, la soccombente ha censurato nella parte de qua una tale pronunzia denunziando la inammissibilità della emendatici libelli, posta in essere da controparte, atteso che il diritto di riscatto, una volta esercitato, non poteva subire variazioni anche sotto il profilo sostanziale perchè solo la parte e non anche il suo difensore, con una memoria, poteva invocare un diritto di riscatto su altri terreni, diversi da quelli indicati nell’atto di citazione.
La Corte di appello di Trento ha rigettato la censura sulla base del seguente iter argomentativo:
– il D. non è stato messo in grado di conoscere l’esatta estensione dei terreni alienati dal confinante perchè costui non ha eseguito la denuntiatio impostagli dalla L. n. 590 del 1965, art. 8, di talché l’attore appellato non poteva conoscere l’esatta estensione del compendio oggetto della compravendita, e in via alternativa, nell’atto di citazione, ha esercitato il riscatto per i terreni direttamente confinanti e in subordine per l’intero compendio;
– poiché nell’atto a pagina quattro si legge che l’attore “è disposto a rilevare tutto il complesso dei beni trasferiti” appare evidente l’estensione in via subordinata, della domanda principale di riscatto per una parte del compendio, a tutti i beni compravenduti;
– scrupolosamente la parte ha precisato l’oggetto della domanda giudiziale nel rispetto dei termini ex art. 183 c.p.c., con memoria ex art. 180 c.p.c., depositata in data 7 marzo 2000 quindi non può condividersi la tesi della inammissibilità della domanda di riscatto.
5. La ricorrente denunzia, nella parte de qua, la riassunta pronuncia con il primo motivo lamentando “violazione e falsa applicazione di norme di diritto, L. n. 817 del 1971, art. 7, L. n. 590 del 1965, art. 8, in relazione agli artt. 1362 e 1392 c.c. – Carenza di motivazione su un punto decisivo della controversia”.
Nell’ambito della censura sono nettamente distinguibili due profili:
da un lato, infatti, si afferma che era inammissibile una domanda di riscatto limitata al solo terreno in mappa al F. (OMISSIS) atteso che per fondo oggetto di riscatto deve intendersi una estensione di terreno che abbia una propria autonomia culturale e produttiva, dall’altro, ancora, si censura la sentenza nella parte in cui questa ha confermato la pronunzia del primo giudice accogliendo una domanda (di riscatto) diversa rispetto a quella inizialmente introdotta, con violazione, sia delle disposizioni di legge in tema di retratto (che escludono la possibilità di una emendatici libelli quanto all’oggetto del retratto) sia di quelle (artt. 1362 c.c.) sulla interpretazione delle dichiarazioni negoziali (quale è quella di riscatto, ancorché contenuta in un atto giudiziale).
6. Oppone il controricorrente che il ricorso avversario è inammissibile sia perchè non conterrebbe la esposizione dei fatti di causa, sia perchè non censurerebbe la sentenza impugnata e tenderebbe a un giudizio di merito di terzo grado.
7. Rileva la Corte che la invocata inammissibilità del ricorso non sussiste, sotto nessuno dei profili in cui è eccepita.
7.1. In primo luogo l’esposizione del “fatto” come già evidenziato sopra appare più che dettagliata e analitica, risultando da questa, specie se integrata con i riferimenti agli atti dei gradi precedenti contenuti sotto la voce “diritto”, tutti gli elementi per la soluzione della controversia.
7.2. Del tutto apodittico e di stile è l’assunto che il ricorso non investe la sentenza gravata, certo che vengono censurate proprio le affermazioni contenute nella sentenza, cercandone di dimostrarne la illogicità o la violazione da parte loro di norme di diritto.
7.3. Deve escludersi, infine, che si prospetti un mero giudizio di fatto, atteso che la interpretazione della volontà delle parti è sì insindacabile in sede di legittimità, ma solo allorché che non siano violate le norme ermeneutiche, puntualmente descritte nella specie.
8. Oltre che ammissibile in rito il primo motivo di ricorso è, altresì, per quanta riguarda il secondo dei prospettati profili, manifestamente fondato, come evidenziato dal P.G..
Per giustificare l’accoglimento della domanda di retratto in termini “diversi” rispetto a quanto indicato nell’atto introduttivo del giudizio (che fissa in modo irrevocabile il petitum) i giudici del merito hanno, in pratica, invocato tre rationes decidendi.
Nessuna di queste merita consenso.
8.1. Quanto alla prima e al rilievo, in particolare, che il D. sarebbe stato “costretto” a esercitare il retratto con una serie di dichiarazioni successive (anziché con una sola, come imposto dalla legge) perchè “non è stato messo in grado di conoscere la esatta estensione dei terreni alienati dal confinante perchè costui non ha eseguito la denuntiatio … di talché l’attore appellato non poteva conoscere l’esatta estensione del compendio oggetto della compravendita …” l’assunto è palesemente viziato di illogicità.
Pur se, infatti, è certo, da un lato, che è mancata la denuntiatio voluta dalla L. 26 maggio 1965, n. 590, art. 8, è altrettanto indubbio, dall’altro, che il D. ha esercitato il retratto dopo avere preso visione dell’atto notarile di vendita, ritualmente trascritto, nel quale sono puntualmente a analiticamente descritte tutte le porzioni cedute alla Z..
Nel costituirsi in giudizio il D. ha prodotto, ante omnia proprio quel contratto (ampiamente menzionato nella citazione introduttiva).
Esattamente pertanto, la ricorrente denunzia la “contraddittorietà” nella parte de qua della motivazione della sentenza impugnata.
Se, infatti, la sentenza da atto, da un lato, che il D. ha esercitato il retratto sulla base del contratto di acquisto dei terreni in questione da parte della Z., ben noto al retraente, la sentenza stessa, non può contemporaneamente, affermare che, in realtà, al momento in cui ha esercitato il retratto il D. ignorava quali fossero i fondi acquistati con quel contratto dalla Z..
8.2. Assume, ancora, la sentenza gravata che in realtà, la citazione introduttiva contiene una domanda, principale, limitata al retratto dei terreni direttamente confinanti con il fondo di proprietà dell’attore e una domanda subordinata, di retratto dell’intero compendio.
La sentenza non merita consenso neppure nella parte de qua essendo fondata la denunzia di violazione dell’art. 1362 c.c., prospettata dalla ricorrente.
Premesso, in particolare, che la dichiarazione di retratto, ancorché contenuta in un atto giudiziale è una dichiarazione negoziale, si osserva che la interpretazione di questa è rigidamente soggetta alla disciplina di cui all’art. 1362 c.c..
Giusta questa ultima il riferimento al senso letterale delle espressioni usate rappresenta lo strumento di interpretazione fondamentale e prioritario, con la conseguenza che, ove tali espressioni siano chiare e di univoco significato e consentano, quindi, di cogliere la intenzione delle parti, resta superata la necessità del ricorso agli ulteriori criteri ermeneutici (cfr., ad esempio, Cass. 13 dicembre 2006, n. 26690; Cass. 24 ottobre 2000, n. 13991; Cass. 16 dicembre 1999, n. 14135).
Contemporaneamente deve ribadirsi, in conformità a quanto assolutamente pacifico presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice, che il diritto di riscatto previsto in materia agraria dalla L. 26 maggio 1965, n. 590, art. 8, integrando un diritto potestativo, si esercita tramite dichiarazione unilaterale recettizia di carattere negoziale, attraverso la quale si determina autoritativamente, ex lege, l’acquisto del fondo a favore del retraente, atteso che con la stessa il retrente comunica all’acquirente la sua volontà di riscattare il fondo (in questo senso, ad esempio, tra le tantissime, Cass. 27 novembre 2006, n. 25130; Cass. 8 maggio 2001, n. 6391. Non diversamente, per il rilievo che la dichiarazione di retratto deve avere i requisiti di determinatezza, completezza e serietà; in particolare, essa deve contenere un espresso riferimento alla volontà del retraente di pagare lo stesso prezzo convenuto nella compravendita, non essendo sufficiente a tale scopo un semplice richiamo al rogito notarile, Cass. 13 maggio 2003, n. 7287).
Certo quanto sopra deve escludersi, stante il non equivoco tenore letterale della citazione introduttiva, nell’ultima sua parte, che in questa l’attore abbia manifestato la propria volontà, ancorché in via subordinata, di esercitare il retratto non solo per il fondo indicato in mappa al F. (OMISSIS), (OMISSIS), anche per quelli ai nn. (OMISSIS).
Si precisa, infatti, nella parte de qua della citazione che si comunicava alla convenuta che ove potesse interessarle esso attore era “disposto a rilevare tutto il complesso dei beni trascritti .. per il prezzo ivi indicato, includendo nella presente offerta i mappali non oggetto di riscatto”.
La circostanza che non si chiede che l’attore, ancorché in via subordinata, venga riconosciuto proprietario dei terreni in questione (come precisato con la particella per la quale in via esclusiva era stato esercitato il retratto) ma si manifesti esclusivamente la propria disponibilità a rilevare tutto il complesso conduce a ritenere che in realtà, con le riferite espressioni l’attore anziché esercitare un diritto potestativo con gli effetti tipici derivanti dalla manifestazione di riscatto, ha formulato una semplice proposta contrattuale alla controparte “ove potesse interessarle”.
Erroneamente, pertanto, i giudici del merito hanno interpretato l’espressione sopra riferita come domanda subordinata di riscatto di una estensione superiore rispetto a quella riscatta in via principale.
8.3. Da ultimo come osservato sopra la Corte di appello ha affermato che comunque “scrupolosamente la parte ha precisato l’oggetto della domanda giudiziale nel rispetto dei termini ex art. 183 c.p.c., con la memoria ex art. 180 c.p.c., e, che, pertanto, anche sotto tale profilo, correttamente i primi giudici hanno accolto la domanda.
Parte ricorrente censura anche nella parte de qua la sentenza impugnata, denunziando la violazione della L. 26 maggio 1965, n. 590, art. 8.
Anche tale aspetto della doglianza è fondato.
Questa Corte, in particolare, in molteplici occasioni ha affermato che in rapporto alla tipicità della fattispecie regolata dalla L. 26 maggio 1965, n. 590, art. 8, non è applicabile, in materia, la norma di cui all’art. 184 c.p.c., nel senso che una volta proposto l’atto introduttivo del giudizio, il diritto di riscatto non può essere più soggetto a variazione in sorta, cosi come del pari esso è insuscettibile di emendatio, in rapporto alla stessa natura del diritto esercitato, nel senso cioè che la richiesta di riscatto, una volta effettuata, non è suscettibile di mutamenti.
Ne segue che poiché l’offerta di riscatto è immutabile, da questa non può non derivare quale sua conseguenza la non applicabilità dell’art. 184 c.p.c. (ora art. 183 c.p.c.), implicante una mutatio libelli, non essendo la domanda spiegata con l’atto introduttivo suscettibile di variazioni e di emendamenti (così, appunto, Cass. 18 giugno 1987, n. 5361, specie in motivazione) e, pertanto – a maggior ragione – è precluso, in corso di causa “modificare” l’oggetto ed i termini della richiesta (Cass. 21 dicembre 1995, n. 13026).
Non può tacersi – infatti, come già si è osservato nella pronunzia ultimo richiamata (Cass. 21 dicembre 1995, n. 13026, specie in motivazione) – che il retratto agrario previsto dalla L. 26 maggio 1965, n. 590, art. 8, costituisce esercizio del diritto potestativo di subentrare nella qualità di acquirente del fondo con effetti ex tunc, mediante una dichiarazione unilaterale ricettizia rivolta al retrattato (Cass. 26 febbraio 1993, n. 2455, tra le tantissime) ed è palese che la nozione di emendatio libelli, propria del processo, non è trasferibile alle dichiarazioni negoziali. In altri termini la dichiarazione di riscatto, in quanto esercizio di un diritto potestativo con effetti immediati, produce la sostituzione del riscattante nella medesima posizione dell’acquirente originario con effetti ex tunc. Al momento in cui la volontà del riscattante viene portata a conoscenza del riscattato il negozio si perfeziona, operandosi una modificazione soggettiva del negozio con perdita del dominio da parte del riscattato e coerente acquisto in capo al riscattante.
È evidente, pertanto, che il riscattato non può – in un secondo momento – modificare il contenuto dell’originaria dichiarazione, atteso che tale immutazione integra, in pratica, nuova dichiarazione di riscatto, inammissibile se resa oltre i termini tassativi indicati dalla L. 24 maggio 1965, n. 590, art. 8, comma 5 (in questo senso, tra le altre, oltre le pronunzie richiamate sopra, Cass. 22 gennaio 2004, n. 1103; nonché Cass. 16 maggio 2001, n. 6743 e, da ultimo, Cass. 9 gennaio 2007, n. 215, che ha ritenuto applicabile il riferito principio anche alla prelazione urbana prevista dalla L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 39).
Avendo – per contro – la sentenza gravata applicato un principio di diritto opposto a quello sopra indicato, è palese – come denunziato, la violazione – da parte dei giudici del merito – anche della L. 26 maggio 1965, n. 590, art. 8, in sede di esercizio del diritto di retratto.
9. Il primo motivo di ricorso, in conclusione, deve essere accolto con assorbimento degli altri e cassazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha accolto una domanda di retratto (quanto ai terreni diversi da quelli indicati nella citazione introduttiva) mai ritualmente formulata, e rinvio della causa per nuovo esame ad altra sezione della Corte di Appello di Trieste perchè proceda a un nuovo esame della controversia valutando, in primis, se era, o meno, ammissibile una domanda di retratto limitata alla porzione di terreno in mappa al F. (OMISSIS), n. (OMISSIS), atteso che sul punto specifico nessuna indagine, in fatto, è stata condotta.
Il giudice di rinvio provvedere, altresì, sulle spese di questo giudizio di Cassazione.

P.Q.M.

LA CORTE accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti gli altri;
cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, per nuovo esame, anche per le spese di questo giudizio di Cassazione ad altra sezione della Corte di appello di Trieste.

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