Cassazione civile, sez. III, 30 ottobre 2020, n. 24181
RILEVATO
che:
1.Con atto di citazione notificato il 26/11/2005 B.G.V.R. e B.R., in qualità di fideiussori della società B. di A.R. & Co sas in un contratto di conto corrente stipulato con la Banca Commerciale di Mazara del Valle e di terzi datori di ipoteca in un contratto di mutuo fondiario acceso dalla medesima per finanziare un intervento edilizio, convennero la Banca Popolare di Lodi, incorporante la stipulante, davanti al Tribunale di Marsala rappresentando che la convenuta aveva utilizzato la somma mutuata per ripianare le passività del conto corrente, riducendo sensibilmente la scopertura ma con ciò privando la società dei mezzi finanziari necessari per lo svolgimento della propria attività. Rappresentarono, altresì, che la banca aveva arrecato ulteriore danno alla società segnalando alla Centrale dei Rischi la precaria condizione patrimoniale. Sul presupposto di tale gravissimo inadempimento i B. sollevarono l’exceptio inademplenti non est adimplendum, dichiarando di non essere tenuti a rispondere delle obbligazioni garantite; chiesero di sentir dichiarare risolti sia il negozio costitutivo dl ipoteche sia le fideiussioni; che venisse dichiarato erroneo e parzialmente non dovuto il saldo passivo del conto corrente in conseguenza della violazione, da parte della banca, della normativa antiusura e formularono domanda di risarcimento del danno.
Si costituì in giudizio la Bipielle Società di Gestione del Credito SpA quale procuratrice speciale della Popolare Italiana (già Banca Popolare di Lodi) contestando le domande e chiedendone l’integrale rigetto.
Gli attori chiesero l’ammissione di prove testimoniali, l’ordine di esibizione alla Banca, ex art. 210 c.p.c., degli estratti conto relativi al rapporto di conto corrente e l’assunzione di una CTU per la rideterminazione del saldo passivo.
2. Il Tribunale adito rigettò l’istanza ex art. 210 c.p.c. in base all’argomento che l’ordine di esibizione alla banca non potesse eludere l’onere probatorio, incombente sugli attori, del fatto costitutivo delle loro domande; ammise le prove testimoniali richieste, dispose una CTU e, all’esito dell’istruttoria, con sentenza del 23/3/2010, salvo la dichiarazione di nullità della capitalizzazione trimestrale degli interessi fino all’entrata in vigore della delibera CICR del 9 febbraio 2000 e la rideterminazione del saldo debitorio alla data del 30/10/2010, rigettò ogni altra richiesta degli attori.
3. I B. proposero appello chiedendo la riforma della sentenza di primo grado con particolare riguardo al negato ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. di tutti gli estratti conto a carico della banca. Chiesero altresì il rinnovo della CTU anche sulla documentazione di cui si domandava l’acquisizione. La parte appellata si costituì in giudizio chiedendo il rigetto dell’appello proposto e l’integrale conferma della decisione di primo grado.
La Corte di Appello di Palermo, dopo aver accolto con ordinanza istruttoria la richiesta di ordine di esibizione di tutti gli estratti conto del rapporto di conto corrente, ordine cui la banca non dava alcun seguito, chiedendo la revoca dell’ordinanza, con sentenza del 25/10/2016, ha rigettato l’appello ritenendo, per quanto ancora qui di interesse, che l’ordinanza di ammissione ex art. 210 c.p.c. dovesse intendersi revocata, in quanto gli attori non avevano provato il fatto costitutivo della loro domanda con documentazione che avrebbero dovuto conservare e che, in ogni caso, avrebbero dovuto richiedere alla banca ex art. 119 TUB, di guisa che la documentazione prodotta dalla banca doveva ritenersi inutilizzabile. Sulla base di questo argomento, presi in considerazione i soli estratti conto già presenti agli atti, e ritenuto di non doversi discostare dai risultati della CTU, ha, come riferito, integralmente rigettato l’appello.
4. Avverso la sentenza i B. hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi. Ha resistito il Banco BPM SpA, incorporante il Banco Popolare Soc. Coop. a sua volta incorporante la Banca Popolare di Lodi, con controricorso.
5. La trattazione è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c. ed in vista dell’adunanza i ricorrenti, che si sono costituiti con nuovo difensore, hanno depositato memoria, mentre il Procuratore Generale presso questa Corte non ha depositato conclusioni.
CONSIDERATO
che:
1.Con il primo motivo - deducente violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 119, comma 4 (T.U.B.) e dell’art. 210 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 - i ricorrenti censurano la sentenza per aver negato che la parte potesse far ricorso all’art. 119 T.U.B. anche in corso di causa, costituendo tale disposizione uno dei più rilevanti presidi a tutela della trasparenza dei rapporti bancari che impone agli intermediari un dovere di protezione nei confronti dei clienti. A sostegno di tale tesi citano giurisprudenza recente di questa Corte secondo la quale la richiesta ex art. 119 T.U.B. può essere formulata in qualsiasi momento, anteriore o posteriore l’inizio del giudizio, determinandosi altrimenti l’indebita trasformazione di uno strumento di protezione del cliente in un mezzo di penalizzazione del medesimo.
1.1 Il motivo deve essere accolto.
Viene in rilievo la giurisprudenza di questa Corte ormai consolidata relativamente all’art. 119 T.U.B. nel senso che “Il titolare di un rapporto di conto corrente ha sempre diritto di ottenere dalla banca il rendiconto, ai sensi del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 119 (T.U.B.), anche in sede giudiziaria, fornendo la sola prova dell’esistenza del rapporto contrattuale, non potendosi ritenere corretta una diversa soluzione sul fondamento del disposto di cui all’art. 210 c.p.c., perché non può convertirsi un istituto di protezione del cliente in uno strumento di penalizzazione del medesimo, trasformando la sua richiesta di documentazione da libera facoltà ad onere vincolante.” (così Cass., n. 3785 del 2019; ma già Cass. n. 11554 del 2017 e altri precedenti richiamati dalla citata decisione del 2019). Tale principio di diritto si è giustificato adducendo che la norma del TUB è norma speciale rispetto all’art. 210 c.p.c., che consente al titolare di un conto corrente di ottenere dalla banca il rendiconto anche in sede giudiziaria, fornendo la sola prova dell’esistenza del rapporto contrattuale, non potendosi ritenere corretta una diversa soluzione sul fondamento del disposto di cui all’art. 210 c.p.c., in quanto ciò determinerebbe, come riferito, la conversione di un istituto di protezione del cliente in uno strumento di penalizzazione del medesimo, trasformando la sua richiesta di documentazione da libera facoltà ad onere vincolante. Il diritto del cliente ad avere copia della documentazione - si è detto nella decisione del 2019 ha natura sostanziale e non meramente processuale e la sua tutela si configura come situazione giuridica “finale”, a carattere non strumentale. Non trovano pertanto applicazione, nella fattispecie, i principi elaborati dalla giurisprudenza in tema di ordine di esibizione dei documenti ex art. 210 c.p.c. e non può pertanto negarsi il diritto del cliente di ottenere copia della documentazione richiesta, adducendo a ragione e in linea di principio la natura meramente esplorativa dell’istanza in tal senso presentata. Da rilevare è, inoltre, che la norma dell’art. 119 T.U.B., comma 4 non contempla, o dispone, nessuna limitazione che risulti in un qualche modo attinente alla fase di eventuale svolgimento giudiziale dei rapporti tra correntista e istituto di credito. D’altra parte, non risulta ipotizzabile una ragione che, per un verso o per un altro, possa giustificare, o anche solo comportare, un simile risultato. Da rimarcare, più ancora, è che la richiamata disposizione dell’art. 119 viene a porsi tra i più importanti strumenti di tutela che la normativa di trasparenza - quale attualmente stabilita nel testo unico bancario vigente - riconosca ai soggetti che si trovino ad intrattenere rapporti con gli intermediari bancari. Appare così chiaro come non possa risultare corretta una soluzione che limiti l’esercizio di questo potere alla fase anteriore all’avvio del giudizio eventualmente intentato dal correntista nei confronti della banca presso la quale è stato intrattenuto il conto. D’altra parte, neppure è da ritenere che l’esercizio del potere in questione sia in qualche modo subordinato al rispetto di determinate formalità espressive o di date vesti documentali; Né, tantomeno, che la formulazione della richiesta, quale atto di effettivo esercizio di tale facoltà, debba rimanere affare riservato delle parti del relativo contratto o, comunque, essere non conoscibile dal giudice o non transitabile per lo stesso. Chè simili eventualità si tradurrebbero, in ogni caso, in appesantimenti dell’esercizio del potere del cliente: appesantimenti e intralci non previsti dalla legge e frontalmente contrari, altresì, alla funzione propria dell’istituto.
1.2 Nella citata giurisprudenza, ribadita successivamente al precedente del 2019 da numerose decisioni della Prima Sezione di questa Corte (Cass. nn. 14231 del 2019, 31649 del 2019, 31650 del 2019 e 6975 del 2020), la ricostruzione nei termini indicati della facoltà di chiedere documentazione ex art. 119 T.U.B. è affermata con riferimento alla posizione del “cliente”, senza una espressa contemplazione dell’ipotesi in cui il cliente sia un fideiussore, anche se in due dei precedenti citati la Prima Sezione era investita di censure provenienti sia da clienti correntisti sia da fideiussori.
Il Collegio ritiene ora debba affermarsi espressamente la spettanza del diritto nei termini indicati indicati dalla citata giurisprudenza anche al fideiussore e non solo al correntista, atteso che il generico riferimento del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 119, comma 4 al “cliente” è idoneo a comprendere, ai fini della richiesta di documentazione, anche il fideiussore, il quale a sua volta può in senso lato definirsi un “cliente” della banca non diversamente dal correntista debitore principale. Ciò, in considerazione del fatto che, in ragione dell’accessorietà del rapporto di fidejussione rispetto al contratto di conto corrente e dunque dell’assunzione del contratto di conto corrente dal fideiussore garantito nel profilo dell’oggetto della fideiussione, il diritto del cliente di richiedere in ogni tempo la documentazione degli estratti conto deve ritenersi esteso anche al fideiussore atteso che la fideiussione determina - come è rivelato dalle norme degli artt. 1944 c.c. e ss. “rapporti fra il creditore ed il fideiussore”, i quali certamente e se si vuole sulla base di una lettura lata dell’art. 1945 c.c. implicano che il fideiussore debba potersi “informare”, proprio per esercitare i diritti riconosciuti da dette norme, sullo svolgimento del contratto di conto corrente e, dunque, necessariamente implicando il diritto all’esercizio del potere di cui all’art. 119 T.U.B. Detti rapporti, al di là di quanto implica lo stesso profilo causale della fideiussione, giustificano ampiamente che il fideiussore sia “cliente” agli effetti di quella norma.
Rileva il Collegio che la conclusione qui raggiunta non si pone in alcun modo in contrasto con la risalente giurisprudenza di questa Corte (Cass., 1, n. 23391 del 9/11/2007) che ha escluso l’applicabilità automatica al fideiussore, garante dei crediti bancari, delle disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 385 del 1993 dettate per i contratti relativi alle operazioni ed ai servizi stipulati con il cliente, giacché detta giurisprudenza è relativa alla posizione del cliente e del fideiussore ai fini della stipulazione e dunque del contenuto dei rispettivi rapporti contrattuali (in particolare con riferimento all’operare della norma dell’art. 1938 c.c. per il fideiussore). Nel caso in esame, invece, viene in rilievo una norma che prevede l’esercizio di una facoltà concernente l’informazione sullo stato del rapporto con l’istituto di credito.
1.3 Una volta predicata l’applicabilità dell’art. 119, comma 4 TUB occorre peraltro osservare che la censura di violazione dell’art. 210 c.p.c. sotto il profilo che tale norma è stata utilizzata per negare quell’applicabilità, è relativa ad una norma processuale e soggiace al requisito di ammissibilità di cui all’art. 360-bis c.p.c., n. 2, che, secondo la giurisprudenza di questa Corte sottende la decisività della censura (Cass. n. 22341 del 2017). Nel caso di specie la decisività è, nella sostanza, argomentata dai ricorrenti nelle ultime quattro righe della pagina 13 e nella prima metà della pagina successiva del ricorso dove si considera che, avendo il Giudice già disposto l’ordine di esibizione, revocato sul presupposto erroneo di una limitazione temporale dell’art. 119 T.U.B., si doveva ritenere legittima e ammissibile la richiesta dell’ordine di esibizione.
La sentenza va, pertanto, in parte qua, cassata.
2. Con il secondo motivo - violazione e falsa applicazione dell’art. 1283 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 - si censura la sentenza per avere la Corte ritenuto conforme a diritto la capitalizzazione annuale nel rapporto di conto corrente.
Il secondo motivo resta assorbito, in ragione del fatto che la parte di sentenza cui si riferisce resta caducata.
3. Con il terzo motivo - violazione e falsa applicazione degli artt. 1322,1325,1418 e 1421 c.c. e D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 38 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 - i ricorrenti censurano la sentenza per aver ricondotto l’emissione del mutuo fondiario con concessione di ipoteca alla finalità del ripianamento dell’esposizione debitoria della società nei confronti della banca quando, a dire della ricorrente, la stipulazione del mutuo fondiario aveva quale causa giustificativa interventi edilizi di cui la società necessitava.
3.1 Il motivo presenta un profilo revocatorio là dove imputa alla Corte territoriale di aver erroneamente affermato che non era stato prodotto il contratto di mutuo. In ogni caso si tratta di motivo comunque inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, atteso che in esso non si indica dove e come il documento fosse stato prodotto in appello. Per il resto il motivo sollecita una rivalutazione della quaestio facti censurando l’attendibilità di una testimonianza e solo all’esito di essa argomenta in iure la violazione delle norme indicate nella intestazione. Sicché, si colloca in manifesta contraddizione con i limiti che alla detta rivalutazione segna l’art. 360 c.p.c., n. 5.
4. Con il quarto motivo - violazione e falsa applicazione degli artt. 1418 e 1421 c.c. del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 38, delibera CICR 22/4/1995, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 - i ricorrenti assumono che la Corte d’Appello avrebbe omesso di rilevare la nullità ex art. 1421 c.c. del contratto di mutuo fondiario perché redatto in pretesa violazione del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 38 e della delibera attuativa.
4.1 Il motivo, fondandosi sul contratto di mutuo, una volta che si è consolidata l’affermazione della Corte che quel contratto non era stato prodotto, risulta inammissibile perché si risolverebbe nella proposizione di una questione nuova. L’allegazione del contratto in questa sede, in mancanza di dimostrazione della prova della produzione in appello ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, diventa priva di rilevanza perché inammissibile.
5. Conclusivamente il ricorso va accolto limitatamente al primo motivo, assorbito il secondo, inammissibili il terzo ed il quarto; la sentenza va cassata in relazione e la causa rinviata alla Corte d’Appello di Palermo, in diversa composizione, per nuovo esame ed anche per le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara assorbito il secondo, inammissibili il terzo ed il quarto. Cassa l’impugnata sentenza in relazione e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Palermo in diversa composizione anche per le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione Civile, il 9 luglio 2020.
Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2020