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Sentenze Civile e procedura civile

Cassazione civile, sez. III, 17 ottobre 2019, n. 26335

Redazionedi Redazione21 Gennaio 2020
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Premesso che:

P.C. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Prato S.A. e Pa.Sa., quale venditori dell’unità immobiliare, e B.M. e C.A.U., quali rispettivamente tecnico certificante l’abitabilità dell’unità immobiliare e progettista-direttore dei lavori, chiedendo la risoluzione della compravendita per carenza dei requisiti essenziali per l’abitabilità dell’unità immobiliare, nonché il risarcimento del danno, ed in subordine la riduzione del prezzo. Il Tribunale adito accolse la domanda, dichiarando la risoluzione del contratto e condannando i venditori alla restituzione del prezzo pagato e tutti i convenuti in solido al risarcimento del danno nella misura di Euro 20.000,00. Avverso detta sentenza proposero distinti atti di appello S.A. e Pa.Sa., da una parte, e B.M. e C.A.U., dall’altra. Riuniti i giudizi, con sentenza di data 11 gennaio 2018 la Corte d’appello di Firenze accolse l’appello, rigettando la domanda.

Osservò la corte territoriale, ritenuta superflua la CTU in ragione di quanto detto nel prosieguo della motivazione, che, dato che integrava l’ipotesi dell’aliud pro alio il difetto assoluto della licenza di abitabilità ovvero l’insussistenza delle condizioni necessarie per ottenerla in dipendenza della presenza di insanabili violazioni della legge urbanistica (Cass. n. 2294 del 2017), la mancanza di certificato di abitabilità era facilmente superabile, con riferimento all’assenza di canna fumaria, attraverso i lavori di apertura di fori a parete (in sostituzione del sistema che prevedeva i fori al tetto), come dimostrato dal successivo rilascio del certificato per gli appartamenti adiacenti a quello dell’appellato. Aggiunse che la fattispecie ricadeva nell’alveo della garanzia per i vizi della cosa venduta, rispetto alla quale emergeva, in relazione alla domanda di risoluzione, la scarsa importanza dell’inadempimento sulla base delle seguenti circostanze: gli appellanti più volte avevano invitato il P. a rendere disponibile l’immobile per l’esecuzione dei lavori per l’apertura di fori a parete con spese a carico dei tecnici stessi; tali lavori erano stati eseguiti negli appartamenti degli altri condomini con il conseguimento nuovamente del certificato di abitabilità; la sentenza del TAR di inammissibilità del ricorso avverso il provvedimento del Comune che aveva autorizzato i detti lavori; il rifiuto frapposto dal P. all’esecuzione dei lavori. Osservò inoltre che il P. aveva l’onere di riproporre in appello la domanda di riduzione del prezzo proposta in via subordinata e che, essendosi l’appellato limitato a chiedere la conferma della sentenza del Tribunale, la domanda doveva intendersi rinunciata. Aggiunse infine che era intervenuta la decadenza dall’azione risarcitoria, in relazione al termine di otto giorni dalla scoperta di cui all’art. 1495 c.c., perché, come emerso dalle testimonianze, il P. era entrato nel possesso dell’immobile immediatamente dopo la conclusione del contratto preliminare, per essergli state le chiavi consegnate prima della conclusione del contratto definitivo (nel febbraio 2010), e nel corso del sopralluogo con l’arredatore nel novembre 2009 doveva presumersi che avesse avuto conoscenza della mancanza della canna fumaria, circostanza di facile percezione. Da ultimo la corte considerò assorbita la questione relativa al difetto di titolarità con riferimento a Pa.Sa..

Ha proposto ricorso per cassazione P.C. sulla base di cinque motivi e resistono con unico controricorso S.A. e Pa.Sa., che hanno proposto altresì ricorso incidentale sulla base di un motivo. È stato fissato il ricorso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c.. Il pubblico ministero ha depositato le conclusioni scritte. È stata presentata memoria.

Considerato che:

con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1453,1455,1490 e 1497 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva il ricorrente che secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità l’assenza del certificato di abitabilità integra gli estremi della vendita di aliud pro alio e che il giudice non può escludere quest’ultima ipotesi solo perché a suo parere il certificato di abitabilità era conseguibile mediante certi lavori che non sono stati fatti.

Il motivo è infondato. L’orientamento di questa Corte è nel senso che nella vendita di immobili destinati ad abitazione, pur costituendo il certificato di abitabilità un requisito giuridico essenziale ai fini del legittimo godimento e della normale commerciabilità del bene, la mancata consegna di detto certificato costituisce un inadempimento del venditore che non incide necessariamente in modo dirimente sull’equilibrio delle reciproche prestazioni delle parti comportando l’inidoneità del contratto a realizzare la funzione economico – sociale che gli è propria ed escludendo rilievo alla causa effettiva dell’omissione, giacché la mancata consegna può anche dipendere da circostanze che non escludano in modo significativo la oggettiva attitudine del bene a soddisfare le aspettative dell’acquirente. Infatti, soltanto nel caso in cui non ricorrano le condizioni per l’ottenimento del certificato in ragione di insanabili violazioni di disposizioni urbanistiche può ipotizzarsi nella mancata consegna del documento un inadempimento ex se idoneo alla risoluzione della compravendita, mentre nelle altre ipotesi l’omissione del venditore non si sottrae a tale fine ad una verifica dell’importanza e gravità dell’inadempimento in relazione alle concrete esigenze del compratore di utilizzazione dell’immobile (Cass. n. 30950 del 2017, n. 13231 del 2010, n. 6548 del 2010, n. 3851 del 2008, n. 17140 del 2006, n. 24786 del 2006). Pertanto il mancato rilascio del certificato di abitabilità può non dare necessariamente luogo alla risoluzione del contratto, come quando il giudice ritenga di scarsa importanza l’inadempimento, essendo provato che l’immobile presenta tutte le caratteristiche necessarie per l’uso che gli è proprio e che la licenza possa essere agevolmente ottenuta (Cass. n. 24786 del 2006 e n. 3687 del 1995).

Il giudizio di fatto del giudice di merito è stato nel senso che il certificato di abitabilità era facilmente conseguibile mediante lavori di apertura di fori a parete. In tal modo la corte territoriale ha riconosciuto, in base al proprio apprezzamento di merito, che l’immobile, sulla base della mera apertura dei fori a parete, consentisse il conseguimento del certificato in discorso. Sulla base di tale giudizio di fatto l’esclusione dei presupposti della risoluzione del contratto appare conforme alla giurisprudenza sopra richiamata.

Con il secondo motivo si denuncia omesso esame del fatto decisivo e controverso ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Osserva il ricorrente che la corte territoriale ha omesso di esaminare i seguenti fatti: in sede di ATP si era dato atto che non era presente la canna fumaria, mentre i tecnici del venditore avevano falsamente attestato che la canna vi fosse al fine del conseguimento del certificato di abitabilità; come affermato dal Tribunale, l’immobile aveva un certificato di abitabilità basato su circostanze non veritiere; il Comune di Prato aveva rilevato la mancata installazione nelle cucine del condominio delle canne fumarie di esalazione dei fumi e dei vapori di cottura; con provvedimento del 30 maggio 2017 il Comune di Prato aveva nuovamente revocato l’abitabilità dell’intero immobile, concessa in data 7 gennaio 2015.

Con il terzo motivo si denuncia omesso esame del fatto decisivo e controverso ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Osserva il ricorrente che nel prosieguo della motivazione non era stato spiegato perché non fossero stati ammessi i mezzi istruttori e che la CTU era necessaria per accertare se effettivamente potessero sussistere le condizioni per il rilascio del certificato di abitabilità. Aggiunge che la corte territoriale non ha considerato se sia l’esistenza delle false dichiarazioni che il provvedimento di revoca del 30 maggio 2017 potessero configurare un grave inadempimento.

I motivi secondo e terzo, da valutare unitariamente in quanto connessi, sono inammissibili. Va rammentato che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U. n. 8053 del 2014).

La circostanza della mancanza della canna fumaria era incontroversa ed è stata contemplata dal giudice di merito, sicché la circostanza è carente di decisività. Quanto all’asserita esistenza di false dichiarazioni ai fini del conseguimento del certificato di abitabilità il motivo è carente dei requisiti di ammissibilità, non solo sotto il profilo della localizzazione processuale della circostanza, ma anche sotto quella della sua decisività una volta che il giudice di merito abbia accertato che il certificato di abitabilità era facilmente conseguibile mediante lavori di apertura di fori a parete. Assente è anche l’indicazione relativa alla localizzazione processuale del provvedimento del 30 maggio 2017 del Comune di Prato. In violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 il ricorrente ha omesso anche di indicare lo specifico contenuto del provvedimento, esigenza tanto più avvertita ove si consideri che nel controricorso si afferma che il provvedimento in discorso avrebbe avuto un oggetto diverso, e cioè la revoca del certificato di abitabilità del garage condominiale per non conformità alle norme sulla prevenzione degli incendi. Infine quanto alla denunciata carenza di motivazione va precisato che il rinvio alla motivazione successiva aveva ad oggetto esclusivamente il giudizio di superfluità della CTU. A questo proposito la censura difetta anche di specificità perché non si comprende perché la successiva motivazione non sia in grado di dare conto del giudizio espresso in ordine alla non opportunità della consulenza.

Con il quarto motivo si denuncia violazione degli artt. 99,343 e 346 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osserva il ricorrente che, non essendo imposta la proposizione dell’appello incidentale, il giudice di appello era tenuto ad esaminare la domanda di riduzione del prezzo proposta in via subordinata.

Il motivo è inammissibile. La censura è estranea alla ratio decidendi. La corte territoriale non ha rilevato, come si afferma nel motivo, la mancata proposizione dell’appello incidentale, ma ha rilevato la mancata riproposizione ai sensi dell’art. 346 c.p.c. della domanda proposta in via subordinata e rimasta assorbita, essendosi limitato l’appellato a chiedere la conferma della sentenza del Tribunale (laddove l’art. 346 impone che la domanda sia “espressamente” riproposta).

Con il quinto motivo si denuncia violazione degli artt. 1495 e 2722 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, omesso esame del fatto decisivo e controverso ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Osserva il ricorrente che sulla base dell’atto pubblico di vendita, avente efficacia di piena prova, il possesso dell’immobile veniva trasferito alla data del rogito e che il giudice di appello, violando l’art. 2722, ha ritenuto il contrario quanto alla trasmissione del possesso. Aggiunge che ricorreva l’ipotesi di cui all’art. 1495, comma 2, perché per un verso il venditore aveva riconosciuto l’esistenza del vizio, per l’altro l’aveva occultato, in quanto l’immobile era dotato di certificato di abitabilità fondato su false attestazioni.

Il motivo è inammissibile. La denuncia di violazione dell’art. 2722 c.c. (in realtà art. 2700, stante il riferimento all’atto pubblico) è priva di decisività in quanto, alla stregua dell’accertamento del giudice di merito, non rileva la qualifica di “possesso”, ma la circostanza che il P. abbia effettuato un sopralluogo con l’arredatore nel novembre 2009 e che doveva presumersi che avesse avuto conoscenza in quell’occasione della mancanza della canna fumaria trattandosi di circostanza di facile percezione. Il denunciato contrasto con quanto dichiarato nell’atto non è in grado di neutralizzare la circostanza fattuale del sopralluogo in questione, la cui verificazione è stata accertata dal giudice di merito, indipendentemente dalla qualifica dello stato di fatto del soggetto rispetto all’immobile.

Infine, quanto alla denunciata violazione dell’art. 1495 c.c., comma 2, a parte l’incomprensibilità del contemporaneo richiamo al riconoscimento ed all’occultamento del vizio, la censura presuppone circostanze di fatto non accertate dal giudice di merito e dunque non è scrutinabile in sede di legittimità.

Con il ricorso incidentale si denuncia violazione degli artt. 100,112 e 81 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Osserva la parte ricorrente in via incidentale che con l’atto di appello era stata denunciata la mancanza di legittimazione passiva di Pa.Sa., essendo la stessa receduta dalla cooperativa, laddove il Tribunale aveva accertato che la stessa era socia occulta della cooperativa medesima, in violazione dell’art. 112 non essendo mai stato richiesto tale accertamento. Aggiunge che la corte territoriale non ha statuito sul punto.

Il rigetto del ricorso principale determina l’assorbimento di quello incidentale.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1 – quater al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente in via principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale. Dichiara assorbito il ricorso incidentale. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 26 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2019

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