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Civile e procedura civile Commerciale Fallimentare Sentenze

Cassazione civile, sez. III, 6 novembre 2008, n. 26611

Redazionedi Redazione16 Agosto 2016
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iscrizione contemporanea a due albi professionali

Fatto

L’Impresa Edile Deperini Gino s.n.c. di Deperini Carlo & C. conveniva, davanti al tribunale di Pesaro, la società Allsystem Salotti s.n.c. di Allegrucci Luciano, lo stesso A.L. e S.F. chiedendone la condanna, in via solidale, al pagamento della somma di L. 55.713.234, dovuta per canoni non corrisposti dalla Allsystem Salotti s.n.c., quale conduttrice di un immobile sito in (OMISSIS), chiarendo che tale obbligazione era stata garantita dal S. e dall’ A..
Si costituiva il solo S. chiedendo il rigetto della domanda proposta nei suoi confronti.
Il tribunale, con sentenza del 16.12.2004, condannava i convenuti in solido al pagamento, in favore dell’attrice, della somma di Euro 11.066,72, oltre interessi legali.
La sentenza era impugnata dal S. che ne chiedeva la riforma.
Si costituiva la società appellata che, viceversa, ne chiedeva la conferma.
Con sentenza del 9.9.2006, la Corte d’Appello di Ancona rigettava la proposta impugnazione.
Il S. ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi.
Resiste con controricorso l’Impresa Edile Deperini Gino s.n.c..
Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3:
in particolare violazione degli artt. 281 sexies, 429 e 447 bis c.p.c..
Con il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3: in particolare violazione degli artt. 292 e 426 c.p.c..
Con il terzo motivo denuncia la omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo della controversia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.
Con il quarto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3: in particolare, violazione della L. 27 luglio 1978, n. 392, artt. 28 e 29, e dell’art. 1937 c.c..
Con il quinto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3: in particolare, violazione dell’art. 1938 c.c..
Con il sesto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3: in particolare, violazione dell’art. 1406 c.c. e ss., sulla cessione del contratto.
Si tratta di ricorso proposto contro sentenza pubblicata, una volta entrato in vigore il D.Lgs. 15 febbraio 2006, n. 40, recante modifiche al codice di procedura civile in materia di ricorso per cassazione, al quale si applicano, pertanto, le disposizioni dettate nello stesso decreto al Capo 1.
Secondo l’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal Decreto art. 6, i motivi di ricorso debbono essere formulati, a pena di inammissibilità, nel modo lì descritto ed, in particolare, nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., nn. 1), 2), 3) e 4), l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere con la formulazione di un quesito di diritto, mentre, nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.
I motivi – sopra riportati – rispettano i requisiti richiesti dall’art. 366 bis c.p.c..
I quesiti sono posti alle pagg. 17 e 18 del ricorso.
Il ricorso non è fondato.
Ai motivi la Corte ritiene di potere rispondere con i seguenti principi di diritto:
Al primo: “Nel giudizio in esame – retto dal rito locatizio – nessuna violazione è imputabile al giudice del merito che ha applicato la norma dell’art. 281 sexies c.p.c., posto che la stessa norma è applicabile anche al rito del lavoro (e quindi a quello locatizio) a condizione del suo adattamento al rito speciale (v. anche Cass. 12.6.2007 n. 13708; Cass. 18.7.2008 n. 19942).
Nella specie, la trattazione orale della discussione, disposta dal Giudice di primo grado – come correttamente rilevato dalla Corte di merito – non ha alterato lo schema funzionale del rito speciale, Né compromesso il diritto di difesa delle parti”.
Al secondo : “Vero è che l’ordinanza di trasformazione del rito, ai sensi dell’art. 426 c.p.c., deve essere comunicata alla parte contumace, in applicazione di una regola generale che, sebbene non espressamente sancita per tale caso, costituisce, tuttavia, un principio generale del nostro ordinamento, e, perciò, anche un criterio legittimo di ermeneutica, conformemente al disposto dell’art. 14 disp. gen. (Cass. 13.2.1985 n. 1209).
Peraltro, la mancata comunicazione può essere eccepita dal solo soggetto interessato – vale a dire il contumace – e non dalla parte costituita che non vi ha interesse, se non è compromesso – come nella specie – il suo diritto di difesa.
L’attuale ricorrente – come si ricava dalla sentenza impugnata – ha partecipato al giudizio nella fase successiva alla pronuncia dell’ordinanza di conversione senza subire menomazioni del proprio diritto di difesa”.
Al terzo: “L’omissione in sentenza dello svolgimento del processo comporta la nullità della sentenza stessa solo quando riveli un difetto di attività del Giudice, nel senso che a tale omissione corrisponda un vizio di motivazione su di un punto decisivo della controversia, ovvero la mancata pronuncia su di un capo della domanda: ciò che, nella specie, non sussiste.
Come rilevato dalla Corte di merito, tale vizio formale – dal quale risulta affetta la sentenza di primo grado – non determina alcuna conseguenza ai fini della regressione del processo in primo grado ai sensi degli artt. 353 e 354 c.p.c..
Ne consegue che la Corte di merito correttamente si è pronunciata nel merito dell’appello proposto”.
Al quarto: “La violazione denunciata con il quarto motivo, non sussiste, posto che la Corte di merito, interpretando la volontà delle parti interpretazione che spetta al Giudice di merito e non è censurabile in sede di legittimità se – come nella specie – correttamente motivata – ha ritenuto che la fideiussione si estendesse all’intero periodo di durata del rapporto locatizio, compreso, quindi, quello conseguente alla rinnovazione tacita del contratto di locazione.
Ha, infatti, rilevato che la prestata garanzia fideiussoria si estendeva, giusta la volontà delle parti, all’intero ed effettivo arco di svolgimento diacronico del rapporto locatizio, senza che fosse posta alcuna limitazione ad un determinato periodo di vigenza dello stesso rapporto locatizio, naturaliter suscettibile di rinnovazione tacita”.
Al quinto: “Nessuna violazione dell’art. 1938 c.c., è imputabile alla Corte di merito, posto che, nella specie non ricorre un’ipotesi di fideiussione omnibus: e ciò perché, da un lato, non si tratta di obbligazioni future o condizionali, ma di quelle nascenti dal contratto di locazione originariamente concluso, e, dall’altro, le obbligazioni erano determinate (o quantomeno determinabili) con riferimento alle parti ed – in particolare all’entità dei canoni locativi, il cui importo è determinato sulla base delle previsioni contrattuali.
Al sesto: “Nessuna violazione dell’art. 1406 c.c., è imputabile alla Corte di merito, posto che l’eventuale acquisto delle quote sociali da parte di terzi non comporta l’automatico subentro anche nella posizione di fideiussori degli acquirenti, essendo necessaria, al riguardo, che la volontà di prestare fideiussione sia manifestata in modo chiaro ed inequivocabile; e di ciò nella specie – come ha rilevato la Corte di merito – non vi è prova”.
Da ultimo, non può essere esaminata la questione relativa al “frazionamento della domanda”, perché contenuta esclusivamente nella memoria, il cui compito è solo illustrativo, e non suppletivo.
Conclusivamente, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e, liquidate come in dispositivo in favore della resistente, vanno poste a carico del ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese che liquida, in favore della resistente, in complessivi Euro 4.100,00, di cui Euro 4.000,00, per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 6 ottobre 2008.
Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2008

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