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Condominio Locazioni Sentenze

Cassazione civile, sez. III, 7 febbraio 2008, n. 2932

Redazionedi Redazione7 Febbraio 2008
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iscrizione contemporanea a due albi professionali

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Nel maggio del 1996 G.L., conduttore dal 1982 di un locale ad uso commerciale rilasciato nel 1995 a seguito di ordinanza di convalida di sfratto per finita locazione, agì giudizialmente nei confronti del locatore P.A. chiedendone la condanna alla restituzione delle somme versate in eccesso nel secondo sessennio (L. 400.000, in luogo delle pattuite L. 130.000 mensili).
Il convenuto si difese affermando che nel 1988 le parti avevano concluso un nuovo contratto di locazione, pattuendo il maggior canone versato, e svolse domanda riconvenzionale.
Con sentenza n. 8 del 2002 l’adito tribunale di Rieti – per quanto in questa sede ancora interessa – accolse la domanda del conduttore (nella misura di Euro 16.965,13, considerata la parziale compensazione a seguito del parziale accoglimento della riconvenzionale).
2. La decisione è stata riformata dalla corte d’appello di Roma che, con sentenza n. 1245 del 2004, in parziale accoglimento del gravame del locatore P., ha invece respinto la domanda del conduttore, condannandolo alla restituzione delle somme riscosse (Euro 26.449,93) in esecuzione della sentenza di primo grado.
Ha ritenuto la corte territoriale che nel 1988 le parti avevano “rinegoziato” il canone locativo concordato nel 1982 ed ha considerato che tanto non era vietato dalla L. n. 392 del 1978, art. 32. 3. Avverso la sentenza ricorre per cassazione G.L. affidandosi a tre motivi, cui resiste con controricorso P. A., che ha depositato anche memoria illustrativa.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con i tre motivi di ricorso sono rispettivamente dedotte:
a) violazione e falsa applicazione della L. n. 392 del 1978, artt. 32 e 79, per non avere la corte d’appello fatto applicazione del principio secondo il quale, durante il rapporto locativo, il canone può essere solo aggiornato nei limiti stabiliti dalla prima delle due norme citate, ma non anche rideterminato, essendo mille tutte le pattuizioni che, quand’anche intervenute durante il rapporto locativo, prevedano un canone maggiore di quello originariamente pattuito;
b) violazione e falsa applicazione dell’art. 1230 cod. civ., per avere la corte d’appello ritenuto che il rapporto fosse stato novato per il solo fatto che il conduttore aveva versato un canone maggiore per oltre un anno e per non aver considerato che il contratto comportante novazione avrebbe dovuto rivestire la stessa forma (scritta) di quello originario;
c) omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo, per avere la corte d’appello concluso che le parti avevano concordato un nuovo canone per il solo fatto che il conduttore lo aveva corrisposto, senza considerare che questi poteva aver aderito alla richiesta di aumento del canone al solo scopo di evitare ritorsioni nel corso del rapporto locativo ad opera del locatore, che era pur sempre la “parte contrattualmente più forte”. 2. Il primo motivo è fondato.
2.1. Infondatamente il resistente oppone che si era formato il giudicato sulla questione relativa alla inapplicabilità della L. n. 392 del 1978, art. 79, comma 1, alle pattuizioni di maggiorazione del canone intervenute in corso di rapporto, avendo il tribunale esteso la propria indagine alla questione relativa alla sussistenza di una pattuizione ulteriore (che ha escluso) proprio in ragione delle raggiunte conclusioni in ordine alla portata della norma sopra citata, a suo avviso esclusivamente volta ad evitare elusioni di tipo preventivo dei diritti del locatario; ed essendosi poi determinato ad accogliere parzialmente la domanda sul rilievo che, essendo stato un maggior canone effettivamente corrisposto, si verteva comunque in ipotesi di indebito oggettivo, difettando la causa giustificativa del pagamento di somme maggiori rispetto a quelle pattuite.
Il giudicato interno (art. 2909 cod. civ.) può formarsi, invero, solo su di un capo autonomo della sentenza che risolva una questione avente una propria individualità ed autonomia, tale da integrare una decisione del tutto indipendente. Tanto va escluso quando si tratti di una mera argomentazione, ossia dell’esposizione di una tesi giuridica, quand’anche essa serva a risolvere questioni strumentali rispetto all’attribuzione del bene controverso, in quanto le suddette argomentazioni, anche se non impugnate dal soccombente, non vincolano il giudice d’appello che, nel riesaminare il thema decidendum, deve individuare autonomamente la portata delle norme applicabili (cfr., ex plurimis, Cass., nn. 11672/2007, 27196/2006, 726/2006, 19679/2003).
2.2. La tesi accolta dalla corte d’appello, secondo la quale è da riconoscersi piena validità al patto di maggiorazione del canone intervenuto nel corso del rapporto locativo (secondo quanto originariamente statuito da Cass., 11.11.1993, n. 11402), è stata abbandonata da questa corte di legittimità sin dalla sentenza 27.7.2001, n. 10286, cui s’è allineata la giurisprudenza successiva (cfr., ex multis., Cass., nn. 10728/2002, 15647/2003, 8410/2006). È stato in particolare affermato che, in tema di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello abitativo, ogni pattuizione avente ad oggetto non già l’aggiornamento del corrispettivo ai sensi della L. n. 392 del 1978, art. 32, ma veri e propri aumenti del canone, deve ritenersi nulla ai sensi dell’art. 79, comma 1, della stessa Legge, in quanto diretta ad attribuire al locatore un canone più elevato rispetto a quello legislativamente previsto, senza che il conduttore possa, neanche nel corso del rapporto e non soltanto in sede di conclusione del contratto, rinunciare al proprio diritto di corrispondere aumenti non dovuti. Il diritto del conduttore a non erogare somme eccedenti il canone legalmente dovuto (corrispondente a quello pattuito, maggiorato degli aumenti c.d. Istat se previsti) sorge dunque nel momento della conclusione del contratto, persiste durante tutto il corso del rapporto e può essere fatto valere, in virtù di espressa disposizione legislativa, dopo la riconsegna dell’immobile locato, entro il termine di decadenza di sei mesi.
A tale principio il collegio ritiene anche in questa occasione di conformarsi, non essendo stati addotti argomenti che non siano stati già delibati nelle precedenti occasioni.
La sentenza impugnata – che ha accolto il diverso principio secondo il quale gli aumenti del canone convenuti in corso di rapporto sono validi poiché la sanzione di nullità è diretta solo ad evitare un’elusione di tipo preventivo dei diritti del locatario, ma non esclude la possibilità di disporne una volta che i diritti siano sorti – va dunque cassata.
3. Gli altri due motivi di ricorso restano assorbiti.
4. Alla decisione della causa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., osta la circostanza che il ricorrente non ha chiarito se, in esecuzione della sentenza di secondo grado, egli abbia o meno corrisposto la somma (Euro 26.449,93) che era stato condannato a restituire al conduttore, vittorioso in primo grado (quanto ad Euro 16.965,13, oltre agli interessi).
Il debito del locatore resta definitamene cristallizzato nella somma di cui sopra (Euro 16.965,13) quanto alla sorte, salve le statuizioni in ordine alle eventuali restituzioni ed alla liquidazione delle spese del doppio grado, compensate dalla corte d’appello con la sentenza ora cassata.
A tanto provvederà il giudice del rinvio, che si designa nella corte d’appello di Roma in diversa composizione.
Le spese del giudizio di cassazione possono essere compensate.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla corte d’appello di Roma in diversa composizione, compensa le spese del giudizio di Cassazione.

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