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Sentenze

Cassazione civile, sez. III, 13 gennaio 2015, n. 295

Redazionedi Redazione17 Febbraio 2015Aggiornato il:17 Febbraio 2015
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Fatto


D.F. convenne in giudizio l’ANAS, dinanzi al Giudice di Pace di Cirò, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni che asseriva di aver subito, quantificati nella complessiva somma di Euro 2.500,00, a seguito di un sinistro verificatosi l’(OMISSIS).
Deducesse D.F. che, mentre percorreva la strada statale 106, alla guida dell’autovettura di proprietà di F.M., a causa di una macchia d’olio presente sul manto stradale, aveva perduto il controllo dell’autovettura.
L’Anas chiese l’integrale rigetto di tutte le domande attrici.
Il Giudice di pace accolse tutte le domande di D.F. condannando l’Anas al risarcimento di tutti i danni da lui subiti e quantificati in Euro 2.500,00 oltre accessori.
L’Anas propose appello dinanzi al Tribunale di Crotone.
Quest’ultimo rigettò l’appello dell’Anas.
Propone ricorso per cassazione l’Anas spa.
Parte intimata non svolge attività difensiva.

Diritto

Con il primo motivo parte ricorrente denuncia “violazione e falsa applicazione di norme di diritto – art. 2051 c.c. -, ed omessa ed insufficiente motivazione – art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”.
Ad avviso della ricorrente la sentenza d’appello ha erroneamente applicato l’art. 2051 c.c., laddove ha ritenuto sussistente la sua responsabilità, quale custode del bene demaniale, senza alcuna verifica della concreta possibilità di esercitare i poteri di custodia sulla medesima res, tenuto conto delle modalità del sinistro e del fattore causale che lo aveva provocato.
Sempre secondo l’Anas, la sentenza d’appello ha in particolare violato l’art. 2051 c.c., laddove ha omesso di considerare come fortuito l’evento dannoso, in quanto il fattore che aveva provocato il sinistro stesso, causato da una macchia d’olio, non era immanente alla cosa in sè, ma costituiva un’alterazione repentina della res, rispetto alla quale alcun potere di custodia era concretamente esercitabile, tenuto conto anche del fatto che il sinistro si era verificato alle 20.20 e che l’ordinaria vigilanza e sorveglianza dell’Anas veniva esercitata dalle 7.00 alle 19.30.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia “violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 2051 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., art. 2697 c.c.) ed omessa ed insufficiente motivazione – art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”.
Ad avviso dell’Anas la sentenza ha erroneamente ritenuto mancante la prova del fortuito.
Con il terzo motivo si denuncia “violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 2043 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., art. 2697 c.c.) ed omessa ed insufficiente motivazione – art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”.
Sostiene la ricorrente che la sentenza impugnata ha violato ed erroneamente applicato l’art. 2043 c.c., poiché ha ritenuto esistente la sua responsabilità, avuto riguardo soltanto al carattere insidioso dell’elemento pericolo (macchia d’olio) e prescindendo sia dal fatto che il sinistro fosse stato causato dal caso fortuito, sia dalla sussistenza o meno del comportamento doloso o colposo dell’Anas medesima.
I motivi sono infondati.
Emerge dall’impugnata sentenza che la responsabilità del sinistro è imputabile esclusivamente all’Anas la quale, come ente tenuto alla custodia e manutenzione della strada, per un verso avrebbe dovuto diligentemente controllare le condizioni della strada stessa ed adottare le cautele tecniche idonee a garantire la sicurezza per gli utenti ed evitare l’insorgenza di situazioni di pericolo (mediante tempestiva rimozione della macchia d’olio), per altro verso non ha minimamente fornito la prova liberatoria del caso fortuito.
Sostiene ancora l’impugnata sentenza che, anche a voler inquadrare la fattispecie nell’ambito applicativo dell’art. 2043 c.c., correttamente il Giudice di Pace ha ritenuto l’esclusiva responsabilità dell’Anas nella causazione del sinistro – costituendo la macchia d’olio un’insidia non visibile e non prevedibile.
La sentenza impugnata, con la prima motivazione (fondata sull’art. 2051 c.c.), si è sostanzialmente uniformata ai principi ormai consolidati nella giurisprudenza di questa Corte, secondo i quali la responsabilità per i danni cagionati da cosa in custodia ha carattere oggettivo. Perché tale responsabilità possa configurarsi in concreto, è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa stessa e il danno arrecato, senza che rilevi al riguardo la condotta del custode e l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza, in quanto la nozione di custodia non presuppone, Né implica uno specifico obbligo di custodire, analogo a quello previsto per il depositario; funzione della norma è, in tal senso, quella di imputare la responsabilità a chi si trova nelle condizioni di controllare i rischi inerenti alla cosa stessa.
Si deve, pertanto, considerare custode chi di fatto controlla le modalità d’uso e di conservazione della cosa. Ne consegue che tale tipo di responsabilità è esclusa solamente dal caso fortuito, fattore che attiene non già ad un comportamento del responsabile, bensì al profilo causale dell’evento, riconducibile non alla cosa che ne è fonte immediata, ma ad un elemento esterno.
In sostanza, in tema di responsabilità da cosa in custodia, la presunzione stabilita dall’art. 2051 c.c., presuppone la dimostrazione, ad opera del danneggiato, dell’esistenza del nesso causale tra cosa in custodia e fatto dannoso. Il comportamento del custode è estraneo alla struttura della menzionata norma codicistica, laddove il fondamento della sua responsabilità va ricercato nel rischio che grava su di lui per i danni prodotti dalla cosa che non dipendano da fortuito.
A tali principi si è attenuto il giudice di merito che, con un accertamento di fatto, ha ritenuto che l’Anas non ha minimamente fornito la prova liberatoria del caso fortuito, mentre le censure del ricorrente sulla violazione dell’art. 2051 c.c. non colgono nel segno perché invocano, in astratto, la non corretta applicazione dei presupposti per la responsabilità, senza tenere presente l’effettiva ratio decidendi della ritenuta mancata prova del fortuito.
Per quanto riguarda poi la seconda motivazione dell’impugnata sentenza, fondata sull’art. 2043 c.c., il dato di fatto che il giudice ha valorizzato è la sicura imprevedibilità della macchia d’olio e la sua non visibilità.
Il ricorrente non contesta la motivazione dell’impugnata sentenza fondata sull’imprevedibilita e non visibilità ma, a fronte di una non certa allegazione di insidia o trabocchetto, la responsabilità dell’Anas rimane comunque fondata sulla custodia.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato mentre in assenza di attività di attività difensiva di parte intimata non v’è luogo a disporre sulle spese del giudizio di cassazione.



P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 29 ottobre 2014.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2015

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