Cassazione civile, sez. III, 25 novembre 2021, n. 36723
RITENUTO
che:
1. I.M. e M.R., nella qualità di esercenti la responsabilità genitoriale sul figlio Io.Ma., convennero, con atto di citazione del 5/12/2013, dinanzi al Tribunale di Cosenza l’Associazione (omissis), titolare della scuola materna frequentata dal piccolo Ma., per sentirla condannare al risarcimento dei danni subiti dal minore presso i locali della scuola durante l’orario scolastico quando, richiamato dall’insegnante per recarsi in bagno, sfuggì al controllo e subì un incidente riportando un taglio sul mento, causato dal violento impatto con un oggetto dalla forma tagliente ed affilata.
L’Associazione si costituì in giudizio chiedendo il rigetto della domanda assumendo che l’incidente si fosse prodotto a causa di un evento improvviso che non avrebbe potuto essere evitato dal controllo dell’insegnante.
2. Il Tribunale di Cosenza, all’esito di una CTU medica e dell’espletamento di prove testimoniali, con sentenza n. 1888/2016, rigettò la domanda, ritenendo che, dagli elementi acquisiti in giudizio, doveva desumersi che l’insegnante non avesse potuto impedire il fatto in considerazione del comportamento anomalo, improvviso ed imprevedibile del bambino.
3. La Corte d’Appello di Catanzaro, adita dai soccombenti, ha disposto il rinnovo di una CTU e, all’esito, con sentenza n. 1407 del 2019, in riforma della impugnata sentenza, ha accolto la domanda ritenendo, per quanto ancora qui di interesse, che l’evento dannoso si fosse verificato per l’esclusiva responsabilità dell’insegnante, la quale non aveva adeguatamente vigilato sul minore e non aveva pertanto adottato tutte le misure idonee ad evitare il verificarsi dell’evento.
Conclusivamente ha condannato l’appellata alle spese del doppio grado di giudizio.
4. Avverso tale sentenza, l’Associazione (omissis) ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi. I.M. e M.R. hanno resistito con controricorso.
5. La trattazione è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 1.
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo motivo di ricorso - violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 - parte ricorrente assume che la Corte territoriale abbia omesso di pronunciarsi sull’eccezione di passaggio in giudicato di alcuni capi della sentenza di primo grado (meglio specificati a pag. 18 del ricorso), sollevata nella propria comparsa di costituzione e risposta in appello.
1.1 Il motivo è inammissibile: esso si fonda sul contenuto della sentenza di primo grado e sul tenore dell’appello avversario, ma non localizza né l’una né l’altro, così violando l’art. 366 c.p.c., n. 6. Si astiene, infatti, dall’indicare se e dove tali atti siano esaminabili in questa sede, posto che, per un verso omette di dire se sono stati prodotti, e, per altro verso, omette - come consente Cass., Sez. Un., n. 22726 del 2011, al solo fine di sottrarre all’onere di deposito a pena di improcedibilità di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 - di precisare di voler fare riferimento alla loro presenza nel fascicolo di ufficio del giudizio di appello o, eventualmente, in quello della controparte. In chiusura del ricorso la ricorrente si limita a dire che il tenore del ricorso in appello sarebbe accessibile a questa Corte trattandosi di denuncia di vizio di norma del procedimento: l’assunto non considera che l’onere di indicazione specifica degli atti su cui si fonda il motivo, che comprende anche l’indicazione del se e dove essi siano esaminabili, concerne anche i vizi di violazione di norme del procedimento e, dunque, implica che si debba precisare se e dove gli atti processuali rilevanti siano esaminabili nel giudizio di legittimità (da ultimo, ex multis, Cass. (ord.) n. 342 del 2021; ma vedi comunque la citata S.U.).
Il motivo è, comunque, ulteriormente inammissibile, là dove lamenta che la corte territoriale nulla abbia detto sull’eccepito giudicato interno, in quanto omette di precisare se, in sede di precisazione delle conclusioni, l’eccezione sia stata mantenuta.
2. Con il secondo motivo di ricorso - violazione dell’art. 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 - parte ricorrente, per un verso, prospetta la violazione delle norme sull’onere della prova, e ciò in quanto gli appellanti non avrebbero adeguatamente provato la sussistenza del nesso di causalità tra l’evento e il danno; per altro verso, lamenta la violazione del principio della disponibilità delle prove, in quanto il giudice di merito avrebbe “omesso di considerare dati fondamentali, quali la riconosciuta e confermata assenza del gabbiotto in alluminio che avrebbe cagionato il danno al piccolo Ma.” (cfr. pag. 20, ricorso).
2.1 Il motivo è assorbito dalla inammissibilità del motivo precedente quanto alla deduzione basata sulle censure richiamate nella comparsa di costituzione di appello circa il giudicato interno, ed è del tutto generico quanto all’assunto dell’omesso esame di quelle che vengono definite “risultanze emergenti dagli atti del giudizio”. Il ricorrente non rispetta le condizioni poste da questa Corte in ordine alla necessaria specificità e completezza del motivo di ricorso, ribadite anche in relazione agli “errores in procedendo” denunciabili ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (Cass., 3, n. 4741 del 4/3/2005; Cass., S.U. n. 7074 del 2017). Questa valutazione è giustificata dal tenore delle ultime due proporzioni della p. 20 del ricorso.
3. Con il terzo motivo di ricorso - violazione dell’art. 2048 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 - parte ricorrente si duole del fatto che la Corte territoriale abbia ritenuto accertata la responsabilità dell’Associazione nonostante non sia stata raggiunta la prova in ordine alla responsabilità dell’insegnante ed al nesso di causalità tra l’omessa sorveglianza ed il sinistro. In particolare, muovendo da una generale contestazione della dinamica del fatto così come ricostruita nell’impugnata sentenza, assume che la struttura non avrebbe potuto essere ritenuta responsabile dell’occorso, in considerazione della repentinità del fatto e dell’assenza di prova in ordine al difetto di vigilanza dell’insegnante nonché in ordine all’omessa adozione, in via preventiva, di misure organizzative e disciplinari idonee ad evitare una situazione di pericolo.
3.1 Il motivo è inammissibile in quanto si sofferma a criticare la impugnata sentenza in modo del tutto parziale e lacunoso limitandosi a contestare una parte soltanto della motivazione (p. 8), ignorando la ulteriore e complessa congerie di argomenti spesi a sostegno della decisione di accoglimento dell’appello (pp. 9-12). Il motivo non si correla all’effettiva e complessiva motivazione della sentenza impugnata. Inoltre, riproduce ed argomenta su un contenuto della sentenza di primo grado (prima metà della pag. 23), che, come si è già detto, non viene localizzata in questo giudizio di legittimità.
4. Con il quarto motivo di ricorso - violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1218 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 - parte ricorrente assume che la Corte territoriale sia incorsa in un vizio di sussunzione, avendo ricondotto la fattispecie concreta, così come accertata, nell’ambito della previsione di cui all’art. 2048 c.c., anziché in quello della responsabilità contrattuale, regolata dall’art. 1218 c.c..
4.1 Il motivo è inammissibile.
In tema di danno cagionato dall’alunno a se stesso, questa Corte ha già avuto modo di chiarire che la responsabilità dell’istituto scolastico e dell’insegnante non ha natura extracontrattuale bensì contrattuale, atteso, quanto all’istituto scolastico, che l’accoglimento della domanda di iscrizione, con la conseguente ammissione dell’allievo alla scuola, determina l’instaurazione di un vincolo negoziale dal quale sorge a carico dell’istituto l’obbligazione di vigilare sulla sicurezza e l’incolumità dell’allievo nel tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni, anche al fine di evitare che l’allievo procuri danno a se stesso; e che, quanto al precettore dipendente dell’istituto scolastico, tra insegnante e allievo si instaura, per contatto sociale, un rapporto giuridico nell’ambito del quale l’insegnante assume, nel quadro del complessivo obbligo di istruire ed educare, anche uno specifico obbligo di protezione e vigilanza, onde evitare che l’allievo si procuri da solo un danno alla persona. Ne deriva che, nelle controversie instaurate per il risarcimento del danno da cd. autolesione nei confronti dell’istituto scolastico è applicabile il regime probatorio desumibile dall’art. 1218 c.c., sicché, mentre l’attore deve provare che il danno si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto, sull’altra parte incombe l’onere di dimostrare che l’evento dannoso è stato determinato da causa non imputabile né alla scuola, né all’insegnante (cfr., sul punto, Cass., Sez. U., n. 9346/2002, costantemente ribadita).
Tanto premesso - pur dovendo questo giudice di legittimità, facendo uso dei poteri correttivi consentitigli dall’art. 384 c.p.c., comma 2, precisare che nella specie si sarebbe dovuto fare applicazione non della norma di cui all’art. 2048 c.c., ma dei principi in materia di responsabilità contrattuale per stabilire della fondatezza o meno della pretesa risarcitoria avanzata dai sigg. I. - osserva questa Corte che, anche rispetto alla diversa qualificazione giuridica che occorre dare all’azione esperita, la decisione di accoglimento non è censurabile, in quanto risulta acquisita agli atti di causa, secondo l’espresso accertamento compiuto dal giudice del merito, la prova dell’esclusiva responsabilità dell’insegnante nella causazione dell’evento dannoso, oltreché della mancata adozione, in via preventiva, di misure disciplinari e organizzative tali da evitare il sorgere della situazione di pericolo. Infatti, la Corte territoriale, sulla base delle deposizioni testimoniali, ha ritenuto accertato che l’insegnante non si fosse avvicinata per prendere la mano del minore, né si fosse attivata prontamente per fermare la sua corsa, a fronte di un comportamento del bambino altamente prevedibile in considerazione della sua tenera età e delle sue condizioni psico-fisiche. Pertanto, la decisione sul punto è conforme a legge ed è sorretta da adeguata e logica motivazione, rispetto alla quale parte ricorrente non evidenzia vizi logici, ma sostanzialmente richiede in questa sede l’inammissibile riesame del materiale probatorio per farne derivare una conclusione diversa da quella cui è pervenuta la Corte territoriale.
Proprio in virtù del fatto che, ai fini del regime probatorio applicabile, è indifferente che venga invocata la responsabilità extracontrattuale per omissione delle cautele necessarie ovvero la responsabilità contrattuale per negligente adempimento dell’obbligo di sorveglianza (cfr., da ultimo, Cass., Sez. VI-3, ord. n. 3081/2015), il motivo incorre nella declaratoria di inammissibilità per difetto di interesse, dovendo all’uopo essere richiamato il principio secondo cui il motivo di impugnazione con cui si deduca la violazione di norme giuridiche priva di qualsivoglia influenza in relazione alle domande proposte, e che sia diretta, quindi, all’emanazione di una pronuncia senza rilievo pratico, risulta inammissibile (cfr., da ultimo, Cass., Sez. ord. n. 12678/2020).
5. Conclusivamente il ricorso è dichiarato inammissibile e la ricorrente va condannata a pagare, in favore della parte resistente, le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo. Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, del cd. raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente a pagare, in favore di parte resistente, le spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 1.800 (oltre Euro 200 per esborsi), più accessori di legge e spese generali al 15%. Ai sensi delD.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, a norma delD.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 25 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2021