Fatto
Nel gennaio 2009 L.G.F. proponeva ricorso, ai sensi del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 152, comma 2, nei confronti della Banca Intesa Sanpaolo S.p.a. deducendo che: in data 30 settembre 2005 il predetto istituto di credito aveva segnato il suo nominativo presso la Centrale rischi della Banca d’Italia per l’importo di Euro 142.500,00 facendo riferimento, nella detta segnalazione, al fatto che il suo patrimonio era gravato da una garanzia reale, concessa in favore di P.A.; tale segnalazioni non corrispondeva al vero, non avendo ella mai costituito la predetta garanzia; nel mese di novembre 2005 la banca Woolich aveva rigettato la sua richiesta di mutuo ed era stata, pertanto, costretta a vendere tre immobili di sua proprietà, subendo un danno patrimoniale di Euro 200.000,00; nel mese di giugno 2008, sempre a causa della predetta indebita segnalazione, la Unipol Banca S.p.a. aveva rigettato la sua richiesta di mutuo e non aveva, quindi, potuto onorare un contratto preliminare di compravendita, stipulato il 26 luglio 2004 con C.R.C. ed avente ad oggetto un immobile di cui quest’ultima era proprietaria; a seguito di tale inadempimento, la promittente venditrice aveva rifiutato di stipulare il contratto definitivo ed aveva trattenuto la caparra confirmatoria già versata dalla promittente acquirente, per l’importo di Euro 90.000,00 e tanto costituiva danno emergente; l’immobile oggetto del preliminare aveva, al momento della proposizione del ricorso, un valore di Euro 399.000,00 e tale somma doveva considerarsi quale lucro cessante; a causa del ricordato illecito, l’istante aveva subito un danno non patrimoniale pari ad Euro 1.700.704,00; il suo nominativo era stato cancellato dalla Centrale rischi della Banca d’Italia in data 30 aprile 2008 e la sua posizione era stata rettificata con effetti retroattivi il 4 dicembre 2008.
Si costituiva la Banca Intesa Sanpaolo S.p.a. che riconosceva di aver effettuato la segnalazione del nominativo della ricorrente per errore ma contestava l’effettiva sussistenza di un danno e, in via subordinata, deduceva l’eccessività di quest’ultimo così come quantificato dalla L..
Il Tribunale di Torino, con sentenza del 31 gennaio 2011, in parziale accoglimento della proposta domanda, condannava la resistente al pagamento della somma di Euro 90.000,00, oltre rivalutazione monetaria ed interessi come indicato in dispositivo nonché alla rifusione delle spese di lite.
Avverso tale decisione Intesa Sanpaolo S.p.a. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi.
L.G.F. ha resistito con controricorso contenente ricorso incidentale articolato in sei motivi, cui ha resistito, con controricorso, la ricorrente principale, che ha pure depositato memoria.
Diritto
1. Ragioni di ordine logico inducono ad esaminare anzitutto il primo motivo del ricorso incidentale, con cui la L. eccepisce l’inammissibilità del ricorso principale per omessa ed errata esposizione dei fatti in causa, in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 3.
1.1. Il motivo, che non può propriamente definirsi tale, risolvendosi in una eccezione di rito in relazione al ricorso principale, va disatteso, in quanto l’eccezione proposta con lo stesso è infondata, consentendo il ricorso principale al giudice di legittimità di avere, in relazione ai motivi proposti, una chiara e completa cognizione dei fatti che hanno originato la controversia e dell’oggetto dell’impugnazione, senza dover ricorrere ad altre fonti o a ulteriori atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass., sez. un., 18 maggio 2006, n. 11653).
Ricorso principale:
2. Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2050 c.c., e del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 15, nonché contraddittoria e omessa motivazione su un punto controverso e decisivo per il giudizio.
Lamenta la ricorrente che il Tribunale, pur avendo presente che la L. era stata segnalata quale terzo datore di garanzia reale, nel verificare la sussistenza dei requisiti costitutivi della responsabilità risarcitoria invocata dall’attrice, ha invece affermato che la banca avrebbe attribuito alla L. “una posizione di sofferenza” e in tal modo il giudice del primo grado, contraddicendo la sua stessa premessa in fatto, avrebbe fondato il suo esame su un evidente errore di qualificazione della fattispecie sottoposta al suo giudizio e avrebbe applicato al caso di specie principi ad esso estranei, senza alcuna motivazione in relazione alla detta assimilazione di due diverse situazioni.
2.1. Il motivo all’esame, con riferimento alla dedotta violazione di legge, è inammissibile, in quanto la qualificazione della posizione di rischio attiene alla ricognizione della fattispecie concreta ed inerisce ad una valutazione del giudice di merito, incensurabile in questa sede sotto il profilo prospettato.
2.2. Non sussistono i lamentati vizi motivazionali, avendo il Tribunale correttamente valutato la posizione di rischio attribuita alla L., individuata in quella di prestatore di garanzia reale, e a tale posizione (v. sentenza p. 5) ha ricollegato causalmente le conseguenze giuridiche e risarcitorie tratte.
3. Con il secondo motivo si lamenta vizio di motivazione per omesso esame di documenti determinanti ai fini della decisione nonché violazione degli artt. 1223, 2043 e 2056 c.c., in tema di nesso di causalità.
Assume la ricorrente che il Tribunale avrebbe omesso di esaminare i documenti depositati dalla UGF Banca S.p.a. (già Unipol Banca S.p.a.) il 31 marzo 2013 in ottemperanza dell’ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c., contenuti nel fascicolo afferente alla richiesta di mutuo formulata da L.G.F. e da C.A. Q. e rigettata con lettera del 29 luglio 2008.
Secondo la ricorrente, da tale fascicolo emergerebbe la prova documentale dell’assenza del nesso causale necessario all’accoglimento della pretesa attorea, sicché la mancata valutazione del suo contenuto sarebbe stata determinante ai fini della decisione, incidendo in maniera manifesta sul rapporto in contestazione al punto da indurre il Tribunale ad una decisione opposta a quella cui sarebbe, invece, pervenuto a seguito di un suo esame. Assume, infatti, Intesa Sanpaolo che, consultando il fascicolo in parola, il Tribunale avrebbe potuto agevolmente convincersi che il rinvenimento in Centrale rischi delle garanzie prestate a favore di tale P.A. riconducibili alla L. non poteva essere stato la causa del rigetto del mutuo trentennale di Euro 160.000,00, per l’assorbente ragione che la predetta e il C. non disponevano comunque dei requisiti per accedervi a causa dei modesti redditi dichiarati e degli impegni già assunti. In conclusione, ad avviso della ricorrente, la mancata erogazione del mutuo non sarebbe stata una conseguenza dell’erronea iscrizione del nominativo della L. in Centrale rischi; il diniego opposto ai richiedenti non si sarebbe presentato come effetto normale della rilevazione di una dazione di ipoteca, secondo il principio della cosiddetta regolarità causale tanto è vero che altre e più stringenti erano le concrete motivazioni, pur se non esplicitate dal direttore nella dichiarazione scritta rilasciata all’attrice.
3.1. Il motivo è infondato, risultando dalla comunicazione di diniego del mutuo sottoscritta dal direttore della Filiale di (OMISSIS) della Banca Unipol che tale diniego era stato determinato dal rilievo in Centrale rischi delle garanzie prestate a P. A. e riconducibili alla L.. Tale circostanza è stata pure confermata dal detto direttore, escusso come teste, sicché i documenti – la ritualità dell’acquisizione dei quali è stata peraltro contestata dalla controricorrente – cui fa riferimento generico la ricorrente (“documenti inseriti nel fascicolo Unipol”) sarebbero stati comunque irrilevanti.
4. Con il terzo motivo si deduce, in tema di data certa del preliminare e della prova del danno, violazione degli artt. 2704, 1223, 2043 e 2056 c.c., nonché omessa e contraddittoria motivazione.
Lamenta la ricorrente che il Tribunale abbia ritenuto prova valida ed opponibile alla banca il preliminare apparentemente datato 26 luglio 2004, facendo riferimento, per la prova della data del detto contratto, ad una contabile bancaria, priva di causale, attestante il versamento di Euro 90.000,00. Ad avviso della ricorrente, dovrebbe escludersi che la prova della data certa del preliminare non registrato possa essere desunta, nei confronti di soggetto terzo, dalla data certa di un bonifico, laddove non vi sia prova che esso si riferisca proprio a quel preliminare e non ad altri rapporti e operazioni immobiliari che si collocano in quel periodo di tempo e che possono rappresentare una plausibile causa del versamento.
Sostiene altresì la banca che nei capi della sentenza destinati alla valutazione dei lamentati danni, l’iter motivazionale seguito dal Tribunale evidenzierebbe una manifesta contraddittorietà.
4.1. Tutte le censure contenute nel mezzo all’esame sono infondate, sotto ogni profilo prospettato.
4.2. Per quanto attiene alle doglianze relative alla data certa del contratto preliminare, va evidenziato che l’art. 2704 c.c., non contiene una elencazione tassativa dei fatti in base ai quali la data di una scrittura privata non autenticata deve ritenersi certa rispetto ai terzi e lascia al giudice di merito la valutazione, caso per caso, della sussistenza di un fatto, diverso dalla registrazione, idoneo, secondo l’allegazione della parte, a dimostrare la data certa e tale valutazione non può essere rimessa in discussione in questa sede e comunque va rilevato che detta disposizione, che stabilisce l’inopponibilità della data della scrittura non autenticata nella sua sottoscrizione Né registrata, opera quando dalla scrittura si vogliano, in relazione alla sua data, conseguire gli effetti negoziali propri della convenzione contenuta nell’atto, non già nel caso – come quello all’esame – in cui la conclusione del contratto e la scrittura privata che lo certifica rilevino come semplici fatti storici (Cass., ord., 29 gennaio 2010, n. 2030).
4.3. Non sussistono i vizi logici unicamente lamentati dalla ricorrente in tema di valutazione dei danni, essendo sul punto la sentenza motivata ed essendo tale motivazione priva di contraddizioni.
5. Con il quarto motivo si lamenta violazione dell’art. 92 c.p.c., per aver il Tribunale posto interamente a carico della banca le spese processuali nonostante la domanda risarcitoria dell’attrice sia stata accolta in misura percentuale prossima al 4% anziché disporre la compensazione delle spese.
5.1. Il motivo è infondato.
In materia di spese processuali, la compensazione totale o parziale delle spese del giudizio costituisce una facoltà discrezionale del giudice di merito, al cui prudente apprezzamento è rimessa la valutazione della ricorrenza delle ragioni per disporla, fatto salvo il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa.
6. Il ricorso principale, alla luce di quanto precede, va rigettato.
Ricorso incidentale (prosieguo):
7. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto ed omessa ed insufficiente motivazione in relazione al mancato riconoscimento della sussistenza del reato di cui al D.Lgs. n. 196 del 2003, artt. 23 e 167, nonché del reato di falso ideologico di cui all’art. 479 c.p.c., e di mendacio bancario ai sensi del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 137, comma 2, da parte di Banca Intesa Sanpaolo in riferimento alla sussistenza dei danni non patrimoniali ex art. 2059 c.c., e D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 15, comma 2. Sostiene la L. che il Tribunale non avrebbe correttamente applicato le norme di legge e non avrebbe fornito al riguardo un’adeguata motivazione, “escludendo”, conseguentemente, la domanda di risarcimento dei danni non patrimoniali.
8. Con il quinto motivo si lamenta falsa applicazione delle norme di cui all’art. 2059 c.c., e D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 15, comma 2, in riferimento al mancato riconoscimento del danno non patrimoniale morale per le ipotesi di cui al D.Lgs. n. 196 del 2003, artt. 23 e 167, falso mendacio bancario o altra norma ritenuta applicabile nonché vizio di motivazione per illogica ed omessa valutazione di circostanze rilevanti e decisive sulla sussistenza dei danni non patrimoniali.
La L. censura la valutazione del giudice del merito che ha negato la sussistenza del danno non patrimoniale, per non aver ella dimostrato di aver subito, a causa dell’indebita segnalazione, un pregiudizio alla propria immagine, non derivando, dalla violazione della normativa del trattamento dei dati personali, automaticamente un danno risarcibile e spettando, perciò, al danneggiato di provare la sussistenza di un danno, e per aver, altresì, il primo giudice ritenuto insussistente anche il danno morale da reato.
La controricorrente ricorrente incidentale censura la valutazione richiamata sotto entrambi profili ricordati e deduce che la sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 26973 del 2008 ha affermato che il danno non patrimoniale può essere provato anche in via presuntiva e richiama l’attenzione sull’art. 15, comma 2 del codice della privacy, il quale prevede espressamente che il danno non patrimoniale deve essere risarcito nel caso di violazione dell’art. 11 dello stesso codice, con ciò includendo testualmente nel novero dei casi di risarcimento del danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 c.c., anche quello che deriva dalla violazione delle norme sul trattamento dei dati personali laddove il pregiudizio viene considerato come in re ipsa, essendo espressamene indicato dal legislatore.
9. Il motivi terzo e quinto, che, essendo strettamente collegati, possono essere congiuntamente esaminati, sono infondati.
La controricorrente ricorrente incidentale contesta sostanzialmente la qualificazione del fatto operata dal giudice del merito ma la contesta operando una ricostruzione dello stesso, il che non è consentito in sede di legittimità; tende, altresì, ad una rivalutazione delle risultanze istruttorie, pure inammissibile in questa sede.
Inoltre, il Tribunale, con motivazione congrua e immune da vizi logici e giuridici, 1) ha affermato che il danno non patrimoniale deve essere allegato e provato; 2) ha reputato che la L. non ha dimostrato di aver subito, a causa dell’indebita segnalazione, un pregiudizio alla propria immagine, evidenziando che dalla violazione della normativa, sul trattamento dei dati personali non deriva automaticamente un danno risarcibile, come invece erroneamente sostenuto dalla L. (v. Cass. 5 settembre 2014, n. 18812, secondo cui l’illecito trattamento di dati personali giustifica l’accoglimento della pretesa risarcitoria azionata ai sensi del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 15, solo a condizione che sia dimostrata dall’interessato l’esistenza di un pregiudizio di natura non patrimoniale sofferto in sua conseguenza; sulla inconfigurabilità del danno in re ipsa v., in tema di danno non patrimoniale, Cass. ord., 24 settembre 2013, n. 21865; in particolare, in caso di lesione di diritti inviolabili, v. Cass. 13 maggio 2011, n. 10527; in tema di danno da reato v. Cass., ord., 12 aprile 2011, n. 8421) e che, nella specie, la Leandro non ha neppure allegato gli elementi di fatto su cui si fonda la propria richiesta, essendosi la stessa limitata a riportare indici non idonei, di per sè, a dimostrare l’effettiva sussistenza di una lesione; 3) ha ritenuto che non risulta che la resistente abbia posto in essere una condotta penalmente rilevante, indicando, in relazione alle singole norme invocate dalla L., le ragioni per le quali ha ritenuto non sussistenti le ipotesi delittuose prese dalla stessa in considerazione, così escludendo il risarcimento del danno morale.
8. Con il terzo motivo si lamenta violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, con riferimento al mancato riconoscimento di lucro cessante per violazione dell’art. 2056 c.c., in riferimento agli artt. 1223, 1226 e 1227 c.c., sulla determinazione del danno patrimoniale.
La ricorrente incidentale contesta la contraddittorietà della motivazione laddove il Tribunale ha correttamente riconosciuto la sussistenza del danno emergente pari alla caparra confirmatoria di Euro 90.000,00 mentre ha irragionevolmente escluso l’altra componente di danno ovverossia il lucro cessante, pari a Euro 399.000,00 identificabile nel valore del bene immobile perduto e oggetto di perizia, pur essendo identici i fatti costitutivi dell’illecito, l’evento causativo del danno, il nesso causale e pur essendo stato tale danno accertato in concreto.
Assume la controricorrente ricorrente incidentale che la sentenza impugnata, oltre ad essere inficiata da un vizio di ragionamento e perciò contraddittoria, risulterebbe contraria alle risultanze probatorie sull’esito positivo dell’erogazione del mutuo.
8.1. Il motivo va rigettato, risultando corretta e priva di vizi logici la motivazione della sentenza impugnata sul punto censurato e tendendo il mezzo all’esame, nel suo complesso, sostanzialmente ad una rivalutazione del merito, inammissibile in questa sede.
9. Con il quarto motivo si lamenta vizio di omessa ed insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in riferimento al mancato riscontro dell’istanza di accesso dell’interessata D.Lgs. n. 196 del 2003, ex art. 7, inoltrata con raccomandata del 25 luglio 2008, quale evento causativo del danno patrimoniale ex art. 2050 c.c., e D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 15, in riferimento all’art. 2056 e agli artt. 1223, 1226 e 1227 c.c..
Assume la ricorrente che la decisione del Tribunale sarebbe viziata da “omessa pronuncia su un punto decisivo per il riconoscimento del danno patrimoniale ed in particolare del danno emergente”, essendo la condotta omissiva dell’attuale ricorrente, che non ha mai dato riscontro alla ricordata raccomandata, anch’essa causa determinante dell’evento dannoso.
Rivestendo detta richiesta e i relativi obblighi, totalmente disattesi dalla banca, un “ruolo fondamentale nella valutazione del rapporto causale tra l’omesso riscontro della raccomandata da parte dell’attuale ricorrente principale e il mancato acquisto dell’immobile di cui al già ricordato preliminare nel termine essenziale del 10 agosto 2008, ad avviso della L., il Tribunale avrebbe dovuto riconoscere il danno patrimoniale da lucro cessante pari a Euro 399.000,00, importo corrispondente al valore del bene detto.
9.1. Il motivo è inammissibile, in parte per difetto di interesse, avendo il Tribunale riconosciuto alla L. la somma di Euro 90.000,00 da lei richiesta a titolo di danno emergente, in parte perché la predetta non ha spiegato la rilevanza di tale mancato riscontro alla sua istanza alla luce delle motivazioni con cui il Tribunale (v. p. 8 della sentenza impugnata) ha rigettato la domanda volta ad ottenere la condanna della banca al pagamento, a titolo di risarcimento del danno da lucro cessante, della somma di Euro 399.000,00.
10. Con il sesto motivo si lamenta violazione di legge in relazione alla ritenuta non sussistenza della lite temeraria ex art. 96 c.p.c..
Deduce la L. che il giudice del merito avrebbe “omesso di analizzare i presupposti costitutivi tipici della lite temeraria” che si rinvenivano chiaramente dall’esame della condotta processuale della Banca Intesa Sanpaolo che, “nonostante le evidenti responsabilità, ha resistito in giudizio con argomentazioni, inconferenti, offensive, false e artificiose e supportate da documenti falsi e non ritualmente acquisiti”.
10.1. Il motivo è infondato e va, pertanto, rigettato.
Il Tribunale ha espressamente motivato il rigetto della domanda ex art. 96 c.p.c., sul rilievo che, essendo stata la domanda della L. accolta solo in parte, non vi fossero le condizioni per la chiesta pronuncia di condanna al risarcimento dei danni per responsabilità aggravata.
La ricorrente controricorrente incidentale, pur riportando testualmente nel motivo all’esame la motivazione della sentenza sul punto, non ha tuttavia in alcun modo censurato tale ratio decidendi, limitandosi a sostenere al riguardo che “con tale ragionamento il Giudice ha omesso di analizzare i presupposti costitutivi tipici della lite temeraria” ed evidenziando la condotta processuale della controparte da cui, a suo dire, risulterebbe la temerarietà della lite.
Il Tribunale ha fatto corretto applicazione del principio già affermato da questa Corte, secondo cui la condanna al risarcimento dei danni a titolo di responsabilità aggravata per lite temeraria in sede di appello presuppone la totale soccombenza della parte in relazione all’esito del singolo grado di giudizio, aggiungendosi essa, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 1, alla condanna alle spese, la quale è, invece, correlata all’esito finale della lite (Cass. 7 agosto 2002, n. 11917 e Cass. 27 agosto 2013, n. 19583), sicché il medesimo giudice ha correttamente escluso la ricorrenza dei presupposti per l’accoglimento della domanda ex art. 96 c.p.c..
11. Anche il ricorso incidentale, quindi, va rigettato.
12. Tenuto conto della reciproca soccombenza, le spese del presente giudizio di cassazione vanno compensate per intero tra le parti.
13. Va rigettata la domanda ex art. 96 c.p.c., proposta dalla L. con riferimento al presente giudizio di legittimità, non ricorrendone i presupposti, evidenziandosi che, oltre alla soccombenza totale e non parziale, la condanna per responsabilità aggravata postula che l’istante deduca e dimostri la concreta ed effettiva esistenza di un danno in conseguenza del comportamento processuale della controparte, nonché la ricorrenza, in detto comportamento, del dolo o della colpa grave, cioè della consapevolezza o dell’ignoranza derivante dal mancato uso di un minimo di diligenza, dell’infondatezza delle proprie tesi, ovvero del carattere irrituale o fraudolento dei mezzi adoperati per agire o resistere in giudizio.
P.Q.M.
La Corte, pronunciando sui ricorsi riuniti, rigetta il ricorso principale e quello incidentale e compensa per intero tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 25 novembre 2014.
Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2015