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Lavoro Previdenza Sentenze

Cassazione civile, sez. lavoro, 13 agosto 2008, n. 21586

Redazionedi Redazione13 Agosto 2008
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iscrizione contemporanea a due albi professionali

1. La sentenza di cui si chiede la cassazione rigetta l’appello di M.L. e conferma la decisione del Tribunale di Udine n. 92/2003, di rigetto della domanda proposta nei confronti del Comune di San Giorgio di Nogaro per l’accertamento dell’invalidità del recesso dal contratto di lavoro per mancato superamento del periodo di prova e l’emanazione delle consequenziali statuizioni di condanna.
2. I motivi di appello sono giudicati infondati sulla base delle seguenti argomentazioni:
1) la tesi della nullità del patto di prova, perché inserito in un momento successivo alla costituzione del rapporto, non è fondata, atteso che, per il contratto di lavoro alle dipendenze di pubbliche amministrazioni, è prescritta la forma scritta ad substantiam, con conseguente irrilevanza delle prestazioni svolte di fatto prima della sua stipulazione (in data 24.9.2001)” in ogni caso, il patto di prova è previsto da inderogabili disposizioni normative ed era contemplato dal bando di concorso, mentre l’atto di nomina comunicato il 28.6.2001 non poteva essere equiparato al contratto;
2) le mansioni risultavano precisate analiticamente nel patto di prova inserito nel contratto di lavoro ed erano relative al profilo di collaboratore professionale autista di scuolabus, con riguardo a compiti principali e accessori, e, comunque, il mancato superamento della prova era stato motivato essenzialmente con l’inidoneità della condotta di guida, con le difficoltà di inserimento della squadra operai e con il rifiuto di accettare la flessibilità richiesta dalla posizione lavorativa;
3) non era ammissibile, perché questione sollevata per la prima volta in appello, la contestazione della veridicità dei rilievi posti dall’amministrazione comunale alla base del recesso.
3. Il ricorso di M.L. si articola in tre motivi; resiste con controricorso il Comune di San Giorgio di Nogaro.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Preliminarmente, la Corte rileva l’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di valida procura speciale, sollevata nel controricorso.
Costituisce ius receptum il principio secondo cui la procura apposta in calce (come nella specie) o a margine del ricorso per cassazione rispetta il requisito della specialità, senza che occorra per la sua validità alcuno specifico riferimento al giudizio in corso ed alla sentenza contro la quale si rivolge, atteso che il rispetto di quel requisito è con certezza deducibile, in base all’interpretazione letterale, teleologica e sistematica, dell’art. 83 c.p.c., (nella nuova formulazione di cui alla L. n. 141 del 1997) per il fatto che la procura forma materialmente corpo con il ricorso (o il controricorso), essendo la posizione topografica della procura idonea – salvo che dal suo testo si ricavi il contrario – a dar luogo alla presunzione di riferibilità della procura medesima al giudizio cui l’atto accede (vedi, tra numerose, Cass. 21 maggio 2007, n. 11741).
2. Il primo motivo del ricorso denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 2 e 51, in relazione all’art. 1325 c.c., n. 4 e art. 2096 c.c..
Si sostiene che il contratto di lavoro doveva reputarsi validamente stipulato con la comunicazione della nomina in data 28.6.01, all’esito dell’approvazione della graduatoria di concorso, nomina recante tutte le necessarie specificazioni negoziali, ma non il patto di prova, e con l’inizio delle prestazioni in data 1.8.2001, dovendosi escludere la nullità del contratto per mancanza di un elemento accidentale, quale il patto di prova.
2.1. Il motivo non ha fondamento giuridico perché l’art. 2096 c.c., ed i principi elaborati dalla giurisprudenza sulla base di detta norma, non sono applicabili allo “speciale” (vedi Corte Costituzionale, decisioni n. 313/1996; 309/1997, 89/2003, 199/2003) rapporto di lavoro alle dipendenze di pubbliche amministrazioni, risultando l’istituto della prova regolato da diverse, specifiche, disposizioni, secondo la salvezza formulata dal D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 2, comma 2.
Il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 70, comma 13, dispone, infatti, che “in materia di reclutamento, le pubbliche amministrazioni applicano la disciplina prevista dal D.P.R. 9 maggio 1994, n. 487, e successive modificazioni ed integrazioni, per le parti non incompatibili con quanto previsto dagli artt. 35 e 36, salvo che la materia venga regolata, in coerenza con i principi ivi previsti, nell’ambito dei rispettivi ordinamenti. E l’art. 17 della richiamata fonte normativa (Assunzioni in servizio), al comma 1, reca le seguenti disposizioni, candidati dichiarati vincitori sono invitati, a mezzo assicurata convenzionale, ad assumere servizio in via provvisoria, sotto riserva di accertamento del possesso dei requisiti prescritti per la nomina e sono assunti in prova nel profilo professionale di qualifica o categoria per il quale risultano vincitori. La durata del periodo di prova è differenziata in ragione della complessità delle prestazioni professionali richieste e sarà definita in sede di contrattazione collettiva. I provvedimenti di nomina in prova sono immediatamente esecutivi. La regola è poi ripetuta dall’art. 28, comma 1, con riguardo alle assunzioni degli avviati al lavoro dagli uffici di collocamento: Le amministrazioni e gli enti interessati procedono a nominare in prova e ad immettere in servizio i lavoratori utilmente selezionati, anche singolarmente o per scaglioni, nel rispetto dell’ordine di avviamento e di graduatoria integrata.
2.3. Il richiamato quadro normativo rende evidente che tutte le assunzioni alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche sono assoggettate all’esito positivo di un periodo di prova, e ciò avviene ex lege e non per effetto di patto inserito nel contratto di lavoro dall’autonomia contrattuale. L’autonomia contrattuale è abilitata esclusivamente alla determinazione della durata del periodo di prova, ma tale abilitazione è data dalle norme esclusivamente alla contrattazione collettiva (vedi, per questo profilo della regolazione, l’art. 14 bis, del CCNL del 6.7.1995, comparto del personale delle regioni – autonomie locali, introdotto dal CCNL 13 maggio 1996), restando escluso che il contratto individuale possa discostarsene (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, comma 3). Ed anche questa regolamentazione conduce ad escludere il contratto individuale possa validamente stabilire i contenuti del patto di prova.
2.4. Il precisato regime giuridico rende irrilevante, ai fini della decisione della controversia, la fondatezza in diritto della tesi del ricorrenti, secondo cui vi era stata valida assunzione già per effetto dell’atto formale di nomina, contenente tutti gli elementi del contratto, e dell’accettazione implicita nell’esecuzione della prestazione (come, si desume dal testo del cit. D.P.R. n. 487 del 1997, art. 17, comma 1, e come ha ritenuto la giurisprudenza della Corte: vedi Cass. 16 aprile 2008, n. 9977), siccome il condizionamento della stabilizzazione del rapporto al buon esito dell’esperimento deriva direttamente dalla legge.
3. Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2096 c.c., nonché vizio di motivazione per essere mancata l’indagine diretta ad accertare quali fossero le mansioni da svolgere nel periodo di prova, avendo il giudice del merito fatto riferimento a tutti i profili professionali della qualifica funzionale, compresi persino quelli attinenti ai servizi cimiteriali, espressamente depennati nella proposta contrattuale 24.9.2001; in ogni caso, l’esito negativo del periodo di prova era stato riferito alle mansioni di conducente di scuola bus e di addetto alla manutenzione del patrimonio, senza alcuna motivazione sui fatti che avevano portato al giudizio negativo, fatti che, in realtà, dovevano essere identificati esclusivamente nel rifiuto di svuotamento dei cestini e di pulizia della strada (episodio verificatisi il 14.11.2001), certamente estranei alle mansioni per le quali era stato assunto e che dovevano essere svolte nel periodo di prova.
3.1. Al secondo motivo risulta connesso il terzo motivo, che denuncia falsa applicazione dell’art. 437 c.p.c., comma 2, perché era stato dedotto il mancato adempimento dell’obbligo di motivazione del recesso contemplato dal contratto collettivo e questo equivaleva a contestare la veridicità del fatti allegati dall’amministrazione, perché motivare significa giustificare; ed ancora, era stata articolata prova per testi, non ammessa, in relazione alle contestazioni che gli erano state mosse con la lettera di licenziamento.
3.2. Anche questi motivi, da esaminare congiuntamente per la connessione tra le argomentazioni, non possono trovare accoglimento.
2.3. I principi enunciati dalla Corte costituzionale in tema di recesso dal rapporto di lavoro subordinato di diritto comune in prova (Corte costituzionale, 22 dicembre 1980, n. 189) sono certamente applicabili al periodo di prova ex lege dei dipendenti pubblici.
La giurisprudenza della Corte di cassazione precisa, infatti, che, anche nei rapporti di lavoro “privatizzati” alle dipendenze di pubblica amministrazione, il recesso del datore di lavoro nel corso del periodo di prova ha natura discrezionale e dispensa dall’onere di provarne la giustificazione (altrimenti sarebbe equiparato ad un recesso assoggettato alla L. n. 604 del 1966), fermo restando che l’esercizio del potere di recesso deve essere coerente con la causa del patto di prova, che consiste nel consentire alle parti del rapporto di lavoro di verificarne la reciproca convenienza;
cosicché, non sarebbe configurabile un esito negativo della prova ed un valido recesso qualora le modalità dell’esperimento non risultassero adeguate ad accertare la capacità lavorativa del prestatore in prova, ovvero risultasse il perseguimento di finalità discriminatorie o altrimenti illecite, ma è sul lavoratore che incombe l’onere di dimostrare la contraddizione tra recesso e funzione dell’esperimento (vedi Cass. 13 settembre 2006, n. 19558).
In tema, poi, di obbligo di motivare il recesso in periodo di prova, contrattualmente previsto (nella specie, dal contratto collettivo di comparto), con specifico riferimento al lavoro pubblico la giurisprudenza della Corte ammette la verificabilità giudiziale della coerenza delle ragioni del recesso rispetto, da un lato, alla finalità della prova e, dall’altro, all’effettivo andamento della prova stessa, ma senza che resti escluso il potere di valutazione. discrezionale dell’amministrazione datrice di lavoro, non potendo omologarsi la giustificazione del recesso per mancato superamento della prova a quella della giustificazione del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, dovendosi, di conseguenza, escludere che l’obbligo di motivazione possa spostare l’onere della prova sul datore di lavoro (Cass. 5 novembre 2007, n. 23061; 8 gennaio 2008, n. 143).
2.4. Da questi principi non si è discostata la sentenza impugnata.
Vi è l’accertamento di fatto che il M. è stato adibito ai compiti propri del profilo professionale della categoria di assunzione (conducente di scuola – bus e addetto alla manutenzione del patrimonio), al quale il ricorrente si limita a contrapporre l’affermazione che gli sarebbe stato ordinato di svolgere mansioni non confacenti alla categoria di inquadramento, ma omettendo di specificare i fatti sui quali l’indagine sarebbe stata insufficiente o mancata (nel corpo del terzo motivo si parla della mancata ammissione di prova testimoniale, senza specificare, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, l’oggetto della prova mediante riproduzione dei capitoli).
Vi è la verifica dell’esistenza della motivazione e della sua coerenza con la funzione della prova: condotta di guida non consona all’utenza trasportata; difficoltà di inserimento della squadra di lavoro e rifiuto di accettare forme di flessibilità operative.
Resta, di conseguenza, irrilevante la motivazione della sentenza relativa alla novità della deduzione in appello in ordine alla non veridicità dei fatti valutati negativamente ai fini dell’esito della prova. In realtà, si trattava della contestazione di una valutazione discrezionale, sostenendosi che la decisione di recesso non aveva valide giustificazioni, contestazione che, come si è innanzi precisato, non può rilevare ai fini della validità del recesso da rapporto di lavoro in prova.
4. La natura delle questioni trattate, valutata in relazione alla recente formazione della giurisprudenza ordinaria in materia di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, giustifica la compensazione per l’intero delle spese del giudizio di cassazione per giusti motivi.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; compensa per l’intero le spese del giudizio di cassazione.

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