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Cassazione civile, sez. lavoro, 20 marzo 2009, n. 6906

Redazionedi Redazione20 Marzo 2009
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iscrizione contemporanea a due albi professionali

Fatto

1. Il signor C.G.G. ha convenuto in giudizio dinanzi al tribunale di Padova la società Marina s.r.l., e premesso di avere lavorato per conto di essa dal (OMISSIS) al (OMISSIS) come capo-cuoco di (OMISSIS) livello in un albergo di (OMISSIS) con un contratto a termine, e di avere successivamente sottoscritto un contratto di lavoro a tempo indeterminato, lamentava di non essere stato riammesso in servizio alla riapertura stagionale dell’albergo il (OMISSIS) e chiedeva che fosse accertato il proprio diritto alla riammissione nel posto di lavoro ed al pagamento delle differenze retributive quantificate sulla base di una retribuzione mensile di L. quattro milioni.
Si costituiva il contraddittorio e la causa veniva istruita.
Nel corso del giudizio di primo grado il ricorrente dichiarava di essere andato in pensione dal primo gennaio 2000 senza avere più lavorato, e quantificava il credito in Euro 25.538,96 per la perdita degli stipendi dal (OMISSIS) al (OMISSIS), ed in ulteriori Euro 31.930,70 per il danno subito per la perdita del posto di lavoro, avendo optato per il pagamento dell’indennizzo pari a 15 mensilità di retribuzione come previsto dalla L. n. 300 del 1970, art. 18.
Al termine dell’istruttoria il giudice di primo grado accoglieva la domanda.
2. Con sentenza n. 556/05, in data 22 marzo – 8 agosto 2005, la Corte d’Appello di Venezia accoglieva parzialmente l’impugnazione della società e riduceva la condanna ad Euro 25.538,96, oltre accessori.
La Corte di merito riteneva, in sintesi, che il documento sottoscritto consegnato al lavoratore costituisse una assunzione a tempo indeterminato (come da espressa indicazione riportata a mano sul frontespizio dello stampato).
Riteneva anche, peraltro, che il danno subito dal dipendente dovesse essere commisurato esclusivamente al pregiudizio patrimoniale subito dal lavoratore nel corso del periodo di mancata esecuzione del contratto di lavoro a tempo indeterminato in quanto il lavoratore era andato in pensione dal primo (OMISSIS), e che perciò, dopo l’interruzione annuale del (OMISSIS) per il termine della stagione di apertura dell’albergo, fosse escluso un suo ulteriore periodo di servizio nell’anno successivo.
3. Avverso la sentenza di appello, che non risulta notificata, il signor C. ha proposto ricorso per cassazione, articolato su un unico motivo.
La società Marina s.r.l. resisteva con controricorso, e proponeva altresì, contestualmente, ricorso incidentale, articolato su due distinti motivi.
Infine la ricorrente incidentale ha depositato una memoria difensiva.

Diritto

1. I due ricorsi, quello principale e quello incidentale, proposti contro la stessa sentenza, debbono essere riuniti obbligatoriamente ai sensi dell’art. 335 c.p.c..
2. Nell’unico motivo di impugnazione il ricorrente principale deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18.
Una volta affermato che il licenziamento era illegittimo e che il rapporto doveva considerarsi a tempo indeterminato, vi era continuità giuridica del rapporto, e, di conseguenza, il pensionamento non poteva costituire un fatto ostativo alla ripresa del rapporto.
Infatti l’eventuale incompatibilità tra il trattamento pensionistico e la percezione di un reddito di lavoro dipendente, operava su di un piano del tutto diverso, quello previdenziale, rispetto al piano ordinario, che regolava il rapporto di lavoro e le cause di invalidità e/o inefficacia del licenziamento.
L’incompatibilità tra la percezione di un trattamento pensionistico e quella di una retribuzione per lavoro subordinato non costituiva una causa di impossibilità di reintegrazione nel posto di lavoro ma comportava semmai una causa di sospensione dell’erogazione della prestazione pensionistica per il percettore di reddito.
Era legittima, perciò, l’opzione per un’indennità pari a quindici mensilità della retribuzione globale di fatto.
3. Nel primo motivo del proprio ricorso la società Marina incidentale deduce, a sua volta, la violazione delle norme di corretta ermeneutica contrattuale in relazione all’art. 1342 c.c., l’erronea applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, nonché la contraddittorietà della motivazione per travisamento delle risultanze di causa.
La ricorrente incidentale contesta che si fosse instaurato un rapporto di lavoro a tempo indeterminato per la stagione (OMISSIS), sottolineando che nel documento scritto erano state aggiunte a mano le due date, di inizio e di termine, della stagione di apertura dell’albergo nel (OMISSIS).
4. Nel secondo motivo, la ricorrente incidentale ripropone le stesse le stesse richieste contestando la lettura data dalla Corte d’Appello alle prove testimoniali.
Sostiene, inoltre, che il ricorso principale del signor C. avrebbe dovuto essere respinto anche se si fosse ritenuto che la durata del rapporto di lavoro fosse stata prevista a tempo indeterminato, perché il rapporto di lavoro era cessato prima della formulazione della opzione per il conseguimento delle quindici mensilità di retribuzione.
Doveva essere esclusa la fondatezza della pretesa avversaria (originariamente accolta dal giudice di primo grado) di corresponsione, ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 18, dell’indennità sostitutiva della riassunzione nella misura di 15 mensilità dell’ultima mensilità, anche perché il rapporto sarebbe già stato estinto quando il prestatore aveva formulato per la prima volta l’opzione di percepire l’indennità rinunziando ad essere riassunto in servizio.
Infatti durante il giudizio di primo grado il ricorrente C. aveva formulato un ricorso d’urgenza in corso di causa ed aveva chiesto ed ottenuto l’emissione da parte del giudice di un ordine di reintegrazione nel posto di lavoro, la società allora gli aveva dato avviso di riammissione in servizio, ma il C. non lo aveva fatto, ed anzi aveva richiesto il pensionamento. Erano trascorsi oltre trenta giorni e perciò il rapporto era definitivamente cessato.
5. Nel terzo motivo della propria impugnazione la ricorrente incidentale lamenta la nullità della sentenza per omessa pronunzia sulla domanda di restituzione dell’appellante. Il giudice di appello aveva omesso di disporre la restituzione della somma, già riscossa dal prestatore, di Euro 31.930,70, oltre accessori, relativa all’indennità risarcitoria.
Si trattava di una pronunzia dovuta che avrebbe dovuto essere adottata anche di ufficio.
6. Il ricorso principale non è fondato e non può essere accolto, anche se per considerazioni del tutto diverse da quelle sulle quali la Corte d’Appello di Venezia ha fondato il rigetto della medesima richiesta di riconoscimento delle quindici mensilità sostitutive della riassunzione nel posto di lavoro.
È vero, infatti, che il pensionamento non comporta il divieto di svolgere un’attività di lavoro, ma semplicemente la sospensione del pagamento del trattamento. Per la precisione la norma (D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, art. 10, comma 6, come modificato dalla L. n. 537 del 1993, art. 11) stabilisce che “le pensioni di anzianità a carico dell’assicurazione generale dei lavoratori dipendenti e delle forme di essa sostitutive, nonché i trattamenti anticipati di anzianità delle torme esclusive in relazione alle quali trovano applicazione le disposizioni di cui ai commi 1, 3 e 4 del presente articolo, non sono cumulabili con redditi da lavoro dipendente nella loro interezza”.
Questa problematica è già stata affrontata dalla Corte che ha ritenuto che “il conseguimento della pensione di anzianità non integra una causa di impossibilità della reintegrazione nel posto di lavoro del lavoratore illegittimamente licenziato, atteso che la disciplina legale dell’incompatibilità (totale o parziale) tra trattamento pensionistico e percezione di un reddito da lavoro dipendente si colloca sui diverso piano del rapporto previdenziale (determinando la sospensione dell’erogazione della prestazione pensionistica), ma non comporta l’invalidità del rapporto di lavoro.” (Cass. civ., 20 aprile 1999, n. 3907).
La Corte ha osservato a questo proposito (ivi, in motivazione) che “la pensione di anzianità è certamente incompatibile – per i lavoratori pensionati o che maturano i requisiti per il pensionamento dopo il 31 dicembre 1994 – con il reddito di lavoro dipendente (D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 10, commi 6 e 6 bis, come modificato dalla L. n. 537 del 1993, art. 11, comma 9), ma lo svolgimento da parte dei pensionato di anzianità del lavoro subordinato, nonostante la preclusione, non comporta un’interruzione della pensione, che continua a decorrere con applicazione della perequazione automatica e di ogni eventuale miglioramento; ne viene soltanto sospeso il pagamento per tutta la durata del rapporto di lavoro subordinato, alla cessazione del quale riprende il trattamento pensionistico, senza che occorra la riliquidazione”.
Non è previsto un divieto di svolgere un’attività di lavoro, ma, piuttosto, un divieto di percepire contemporaneamente il trattamento di pensione: il signor C. ben avrebbe potuto scegliere l’alternativa della prosecuzione del lavoro anche rinunziando a percepire contemporaneamente il trattamento di pensione.
7. Ciò non toglie che il ricorso principale sia ugualmente infondato, anche se per ragioni differenti, peraltro già espresse dalla società Marina nelle proprie difese.
Ai sensi del comma 5, dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori – vale a dire della stessa norma che attribuisce al lavoratore la facoltà di optare per le quindici mensilità di risarcimento in sostituzione della reintegrazione – “qualora il lavoratore entro trenta giorni dal ricevimento dell’invito del datore di lavoro non abbia ripreso il servizio, né abbia richiesto entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza il pagamento dell’indennità di cui al presente comma, il rapporto di lavoro si intende risolto allo spirare dei termini predetti”.
È quanto è avvenuto nel caso di specie: come sottolinea la ricorrente incidentale, con provvedimento di urgenza in corso di causa il giudice di primo grado ha ordinato alla s.r.l. di riassumere in servizio il signor C., la società allora lo ha invitato riprendere servizio, ma il lavoratore non si è presentato.
Queste circostanze, peraltro, non sono state contestate in alcun modo dal ricorrente principale nonostante la controparte le avesse già dedotte nel giudizio di merito, come risulta dalla sentenza impugnata, che le riporta a pag. 8 come oggetto di uno dei motivi proposti dalla società Marina nel proprio atto di appello.
In mancanza di ogni contestazione le circostanze stesse debbono ritenersi pacifiche.
Essendo decorsi più di trenta giorni, il rapporto è così definitivamente venuto meno, prima che venisse formulata l’opzione per il conseguimento dell’indennità sostitutiva pari a quindici mensilità di retribuzione.
Di conseguenza l’indennità sostitutiva stessa non era più dovuta.
La soluzione accolta sul punto nella sentenza di appello è dunque corretta e deve essere confermata.
8. I primi motivi del ricorso incidentale, strettamente connessi tra loro, debbono essere esaminati congiuntamente.
Sono inammissibili ed infondati.
Sono inammissibili perché si risolvono, in realtà, nella riproposizione di questioni di fatto, relative alla valutazione del contenuto di un documento, o al contenuto di prove testimoniali:
valutazioni di questo tipo, proprio perché ineriscono al fatto, non sono suscettibile di riesame in questa sede di legittimità.
I due motivi sono anche infondati, perché la motivazione della sentenza impugnata – sul fatto che il modulo sottoscritto dalle parti conteneva un contratto di lavoro a tempo indeterminato, e non come semplice garanzia dell’esistenza di trattative in corso – è del tutto completa, congrua ed efficace.
9. Il terzo ed ultimo motivo del ricorso incidentale, invece, è fondato.
Effettivamente il giudice di appello non ha deciso nulla sulla richiesta di restituzione della maggior somma versata in relazione al riconoscimento, non dovuto, dell’indennità sostitutiva della reintegrazione nel posto di lavoro, ancorché la domanda fosse stata formulata espressamente, come risulta dalle conclusioni dell’appellante riportate nel contesto della sentenza di appello.
La censura dunque deve essere accolta, cassando su questo solo punto la sentenza impugnata.
Né è possibile a questa Corte decidere nel merito, perché la liquidazione degli accessori, e specificazione la determinazione in concreto della rivalutazione monetaria, richiede un apprezzamento di fatto che non può essere compiuto che da un giudice di merito.
È necessario, perciò, rinviare la causa per un nuovo esame alla Corte d’Appello di Trieste cui è opportuno demandare anche la liquidazione delle spese di questa fase di legittimità.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale ed i primi due motivi del ricorso incidentale, accoglie il terzo motivo de ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione a motivo accolto, e rinvia, anche per le spese alla Corte d’Appello di Trieste.

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