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Civile e procedura civile Lavoro Previdenza Sentenze

Cassazione civile, sez. unite, 11 maggio 2009, n. 10674

Redazionedi Redazione11 Maggio 2009
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iscrizione contemporanea a due albi professionali

Fatto

1. – Con ricorso depositato il 13 gennaio 2003, G.A., dipendente del Ministero della Giustizia assunto come coadiutore giudiziario e successivamente inquadrato nella qualifica di operatore giudiziario “(OMISSIS)”, si rivolgeva al Tribunale di Salerno, in funzione di giudice del lavoro, chiedendo che, accertate le mansioni da lui effettivamente svolte a decorrere dal (OMISSIS), specificamente in relazione ai compiti di tenuta del campione fallimentare, venisse ordinato al predetto Ministero di inquadrarlo nella area funzionale “(OMISSIS)”, ovvero in una diversa area comunque superiore a quella “(OMISSIS)” attribuitagli, e di corrispondergli le relative differenze retributive. Il Ministero si costituiva in giudizio e resisteva alla domanda eccependo la carenza di giurisdizione del giudice ordinario per il periodo anteriore al 30 giugno 1998, la prescrizione dei crediti anteriori al quinquennio decorrente dalla notifica della richiesta del tentativo di conciliazione, l’inesistenza dei caratteri di autonomia e responsabilità idonei a configurare lo svolgimento di superiori mansioni.
2. – Con sentenza del 11 aprile 2006 il Tribunale, rilevata la propria carenza di giurisdizione in ordine alle pretese maturate anteriormente al 30 giugno 1998 ed escluso il diritto al diverso inquadramento in assenza di pubblico concorso, accoglieva parzialmente la domanda e condannava il Ministero a corrispondere al G. le differenze retributive maturate dal 1 luglio 1998 al 9 giugno 2002, corrispondenti alle superiori mansioni di area “(OMISSIS), posizione (OMISSIS)”, espletate in via di fatto.
3. – Proponevano appello dinanzi alla Corte d’appello di Salerno sia il Ministero, per ribadire le proprie contestazioni in ordine all’effettivo svolgimento delle mansioni proprie dell’area “(OMISSIS), sia, in via incidentale, il G., per lamentare il mancato riconoscimento delle differenze retributive anche per il periodo anteriore al 30 giugno 1998, nonché la mancata condanna del Ministero alla rivalutazione monetaria ai sensi dell’art. 429 c.p.c..
Con sentenza del 9 ottobre 2007 la Corte d’appello respingeva entrambe le impugnazioni, rilevando: quanto all’appello proposto dal Ministero, che la prova dell’espletamento delle mansioni superiori era desumibile da uno specifico ordine di servizio dell’ (OMISSIS) e da una successiva relazione ispettiva, riguardante l’intero periodo cui si riferivano le rivendicazioni del dipendente, nonché da altra pertinente documentazione e dalla prova per testi espletata al riguardo; quanto all’appello del dipendente, che la devoluzione alla giurisdizione del giudice amministrativo delle pretese relative al periodo del rapporto lavorativo anteriore al 30 giugno 1998 scaturiva dal regime transitorio dettato dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 45, comma 17, come interpretato dalla giurisprudenza di legittimità, mentre il riconoscimento della rivalutazione monetaria era escluso in applicazione della disciplina sul divieto di cumulo fra interessi e rivalutazione, di cui alla L. n. 724 del 1994.
4. – Contro questa sentenza ricorre per cassazione il Ministero della Giustizia, deducendo due motivi di impugnazione. Il G. resiste con controricorso e propone ricorso incidentale deducendo, a sua volta, un motivo di impugnazione.

Diritto

1. – In via preliminare, i due ricorsi devono essere riuniti, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., in quanto proposti avverso la stessa sentenza.
2. – Il ricorso principale si articola in due motivi.
2.1. – Con il primo motivo il Ministero della Giustizia denuncia “violazione e falsa applicazione delle norme di diritto e dei contratti ed accordi collettivi nazionali di lavoro: nella specie, violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, del D.P.R. n. 1219 del 1984, del CCNL del Comparto Ministeri sottoscritto il 16.2.1999 e dell’Accordo collettivo integrativo sottoscritto il 5.4.2000, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, e chiede alla Corte, con il quesito di diritto formulato ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c.: “se in base alle norme sopra citate spetti al ricorrente il differenziale retributivo tra la qualifica di (OMISSIS) ed il livello di inquadramento ((OMISSIS)) posseduto”; “se i compiti svolti dall’interessato nell’ambito dell’ufficio giudiziario di appartenenza siano propri dapprima della qualifica (OMISSIS) dell’operatore amministrativo e poi della posizione economica (OMISSIS) figura professionale dell’operatore giudiziario, ovvero in subordine dell’assistente giudiziario ((OMISSIS) qualifica funzionale) ora cancelliere posizione economica (OMISSIS)”.
2.2. – Con il secondo motivo, denunciando “motivazione omessa e/o insufficiente su un fatto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, il Ministero lamenta che la sentenza impugnata abbia ritenuto lo svolgimento delle mansioni superiori, da parte del G., valorizzando solo alcuni riferimenti testimoniali ed omettendo di valutare, invece, altre significative circostanze, allegate in giudizio, che avrebbero escluso la sussistenza di una diretta responsabilità del dipendente nella tenuta del campione fallimentare; lamenta, altresì, che la Corte di merito abbia disatteso, senza motivare, l’eccezione secondo cui nel calcolo delle differenze retributive non andavano computati i giorni di assenza e abbia disapplicato il principio giurisprudenziale secondo cui lo svolgimento di fatto di mansioni superiori non implica necessariamente l’automatico riconoscimento del corrispondente trattamento stipendiale, potendo invece dar luogo al pagamento di una indennità.
3. – Con l’unico motivo del ricorso incidentale il G. denuncia “violazione, falsa ed erronea applicazione del D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 45, comma 17, del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1 e 3” e, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., chiede alla Corte “se, come nel caso di specie, avanzata successivamente al 30.6.1998, da parte di pubblico dipendente, richiesta di corresponsione delle differenze retributive cui si ha diritto a seguito dello svolgimento delle mansioni superiori, in un unico arco temporale, sia anteriore, sia successivo al 30.6.1998 e senza soluzione di continuità, la relativa controversia rientri integralmente nella giurisdizione del giudice ordinario”.
4. – Il primo motivo del ricorso principale è inammissibile perché, avverso sentenza pubblicata il 9 ottobre 2007, per la quale trova applicazione la disciplina introdotta dal D.Lgs. n. 40 del 2006, l’illustrazione della censura non si conclude con la formulazione di un quesito di diritto rispettoso della prescrizione dettata dall’art. 366 bis c.p.c., primo periodo.
Al riguardo, queste Sezioni unite hanno già affermato che il quesito deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la Corte di cassazione in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regula juris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata; ciò vale a dire che la Corte di legittimità deve poter comprendere dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, remore di diritto asseritamene compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare: in conclusione, l’ammissibilità del motivo è condizionata alla formulazione di un quesito, compiuta e autosufficiente, dalla cui risoluzione scaturisca necessariamente il segno della decisione (cfr., ex plurimis, Cass., sez. un., n. 18759 del 2008; id., n. 3519 del 2008).
Nel caso di specie, la parte ricorrente non ha adempiuto all’onere, dai contenuti sopra precisati, della proposizione di una valida impugnazione, poiché il quesito è formulato in termini generici, senza indicazione della ratio decidendi e della violazione specificamente addebitabile alla pronuncia impugnata, e non contiene alcun riferimento alla fattispecie, tanto più necessario in assenza di una riproduzione della statuizione censurata che sia idonea a far emergere la res oggetto del giudizio (cfr. Cass., sez. un., n. 3965 del 2009); né, d’altra parte, sarebbe consentito desumere tali elementi dal contenuto del motivo (cfr. Cass., sez. un., n. 20409 del 2008). Ne deriva, in conclusione, che una formulazione in tal modo del quesito di diritto equivale ad un’omessa formulazione, siccome la norma, se detta una prescrizione di ordine formale, incide anche sulla sostanza dell’impugnazione, imponendo al ricorrente di chiarire con il quesito l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie.
5. – Patimenti inammissibile, alla stregua dell’art. 366 bis c.p.c., si rivela il secondo motivo di impugnazione, che si risolve nella mera enunciazione di elementi di valutazione della prova e nel generico richiamo di eccezioni e difese asseritamente svolte nei gradi di merito, senza un necessario momento di sintesi che, anche per quanto concerne i vizi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, deve accompagnare l’illustrazione del motivo, si da circoscriverne puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità, con riguardo – come nella specie – alla indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa, nonché delle ragioni per cui la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione (cfr.
Cass., sez. un., n. 16528 del 2008; id., n. 2652 del 2008).
6. – Il ricorso principale va perciò dichiarato inammissibile.
7. – Consegue, ai sensi dell’art. 334 c.p.c., l’inefficacia del ricorso incidentale, proposto oltre il termine previsto dall’art. 325 c.p.c., comma 2, decorrente, anche per il notificante, dalla esecuzione della notifica della sentenza d’appello (cfr., ex pluribus, Cass. n. 11700 del 2002).
8. – L’esito complessivo del giudizio induce alla compensazione delle spese.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, dichiara inammissibile quello principale e inefficace l’incidentale. Compensa fra le parti le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 28 aprile 2009.
Depositato in Cancelleria il 11 maggio 2009

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