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Sentenze

Cassazione civile, sez. unite, 28 dicembre 2016, n. 27073

Avv. Gianluca Lancianodi Avv. Gianluca Lanciano12 Gennaio 2017Aggiornato il:12 Gennaio 2017
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Verona, con decreto depositato il 2 febbraio 2015, ha dichiarato inammissibile, ai sensi dell’art. 162, secondo comma, richiamato dall’art. 179, primo comma, legge fallim., la proposta di concordato preventivo presentata dalla omossis s.p.a., sul rilievo della mancata approvazione da parte dei creditori grazie al voto negativo determinante della Banca Nazionale del Lavoro s.p.a.
La società debitrice ha proposto ricorso per cassazione deducendo l’invalidità del voto della BNL, la quale ha resistito con controricorso. J .a ricorrente ha anche presentato memoria.
Il ricorso è stato assegnato a queste Sezioni Unite a seguito di ordinanza interlocutoria 23 febbraio 2016, n. 3472 della Prima Sezione, che ha rilevato la necessità di risolvere una questione di massima di particolare importanza, riguardante l’ammissibilità del ricorso per cassazione avverso il decreto con cui — come nella specie — il tribunale, pur senza dichiarare anche il fallimento del debitore, abbia dichiarato inammissibile la sua proposta di concordato, ai sensi degli artt. 162, secondo comma, e 179, primo comma, legge fallim., ed ha espressamente richiesto di estendere l’intervento chiarificatore delle Sezioni Unite a «una valutazione comparativa delle diverse ipotesi» di provvedimenti negativi sulla proposta di concordato contemplate dagli articoli 162, 173, 179 e 180 legge fallim.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. — La questione sulla quale queste Sezioni Unite sono chiamate a pronunciarsi si pone non di rado in concreto per effetto delle modifiche apportate alla disciplina delle procedure concorsuali con il d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 e il d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169.
Essendosi eliminato il potere del tribunale di dichiarare d’ufficio il fallimento, nonché la identità del presupposto oggettivo (lo stato d’insolvenza) di quest’ultimo e del concordato preventivo (potendo il concordato basarsi anche sul mero stato di crisi dell’impresa), è infatti oggi non infrequente che all’esito negativo della procedura di concordato (per inammissibilità della proposta, ai sensi delTart. 162, secondo comma, legge fallirti., eventualmente in connessione con la mancata approvazione ai sensi l’art. 179, primo comma; per revoca dell’ammissione, ai sensi dell’art. 173; per diniego dell’omologazione, ai sensi delTart. 180) non consegua altresì la dichiarazione di fallimento del debitore mancando, appunto, l’istanza di un creditore o la richiesta del pubblico ministero o il presupposto dello stato d’insolvenza.
Nel vigore della vecchia disciplina la questione dell’autonoma impugnabilità del provvedimento negativo sul concordato non si poneva se non nei casi, invero marginali, di declaratoria dell’inammissibilità della proposta di concordato per ragioni — quali il difetto del presupposto soggettivo della specifica qualifica imprenditoriale del debitore, o del presupposto oggettivo dello stato d’insolvenza — implicanti l’impossibilità della dichiarazione di fallimento, che perciò non conseguiva al decreto di inammissibilità del concordato. In tali casi si sosteneva, peraltro, l’impugnabilità del decreto con il ricorso straordinario per cassazione, sull’assunto che, incidendo sul diritto soggettivo del proponente al rispetto delle condizioni e dei limiti stabiliti dalla legge per l’ammissione alla procedura, esso aveva carattere decisorio (cfr. Cass. Sez. Prima 10808/1999, successivamente ripresa da Sez. Un. 9743/2008 pronunciata su questione di giurisdizione); in tutti gli altri casi, invece, essendo dichiarato il fallimento, l’impugnazione andava rivolta avverso la sentenza dichiarativa (e di regola consisteva nell’opposizione ai sensi dell’art.. 18 legge fallim., salvo il caso della dichiarazione di fallimento conseguente al diniego di omologazione del concordato, ritenuta appellabile) e con essa potevano farsi valere anche i vizi della procedura concordataria e del relativo esito negativo.

1.2. — Anche secondo l’attuale disciplina delle procedure concorsuali introdotta dalle novelle del 2006 e 2007, peraltro, allorché alla declaratoria d’inammissibilità, revoca o non omologazione del concordato si accompagni la dichiarazione di fallimento del debitore, l’impugnazione prevista — il reclamo alla corte d’appello — è unica ed ha per oggetto sia la dichiarazione del fallimento che il provvedimento negativo sul concordato, come espressamente previsto dagli artt. 162, ult. comma, e 183, ult. comma, legge fallim. e come deve parimenti ritenersi, per evidenti ragioni sistematiche, anche con riguardo alla revoca dell’ammissione al concordato con contestuale dichiarazione del fallimento, ai sensi dell’art. 173, secondo comma (su cui cfr. Cass. Sez. Prima 13817/2011).
Avverso la decisione della corte d’appello sul reclamo è ovviamente ammesso il ricorso per cassazione.

1.3. — Le certezze scemano, invece, tra gli interpreti, allorché il provvedimento negativo sul concordato non sia seguito dalla dichiarazione di fallimento del debitore, sorgendo in tal caso il dubbio se la prevista forma del decreto comporti o meno, nel silenzio della legge, la non assoggettabilità del provvedimento a ricorso per cassazione, neppure ai sensi dell’art. Ili, comma settimo, Cost.
Non mancano, in verità, precedenti di questa Corte, come le sentenze 21860/2010, 21901/2013, 2326/2014 e 14447/2014 della Prima Sezione, in cui si è ammesso, senza però specifica motivazione, il ricorso straordinario per cassazione avverso il decreto d’inammissibilità della proposta di concordato adottato dal tribunale ai sensi dell’art. 162, secondo comma, legge fallim.
In altre occasioni, peraltro, si è ritenuto, dando seguito all’orientamento giurisprudenziale manifestatosi con riferimento alla disciplina anteriore alla riforma del 2006, espresso dalle richiamate Cass. Sez. Prima 10808/1999 e Sez. Un. 9743/2008, che il ricorso straordinario avverso il decreto negativo sulla domanda di concordato preventivo sia di regola inammissibile, salvo che il decreto si basi su ragioni che escludono la conseguente dichiarazione del fallimento per difetto dei relativi presupposti soggettivi od oggettivi (Cass. Sez. Prima 3452/2015, relativa a decreto della corte d’appello di annullamento, in sede di reclamo ai sensi dell’art. 183, dell’omologazione del concordato disposta dal tribunale; Cass. Sez. Sesta 653/2016, relativa a diniego di omologazione; cfr. anche Cass. Sez. Prima 9998/2014, relativa a decreto di revoca dell’ammissione al concordato preventivo ai sensi dell’art. 173 legge fallim. in fattispecie nella quale il fallimento era stato dichiarato, ma in data successiva al ricorso per cassazione).

2. — Poiché si discute dell’ammissibilità del ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell’art. Ili, comma settimo. Cost., occorre tener conto della giurisprudenza di questa Corte su tale istituto, la quale, com’è noto, ammette il rimedio in questione avverso ì provvedimenti che, pur avendo forma diversa dalla sentenza, presentino tuttavia i requisiti della decisorietà e della definitività.
Il significato di tali requisiti — in particolare del primo — si coglie nella fondamentale continuità della giurisprudenza (sin dal primo riconoscimento del rimedio del ricorso per cassazione ai sensi dell’art.
Ili, allora comma secondo. Cost., con la sentenza 2953/1953 di queste Sezioni Unite) sul fatto che la garanzia costituzionale di cui si tratta mira a contrastare «il pericolo di applicazioni non uniformi della legge con provvedimenti suscettibili di passare in giudicato, cioè con provvedimenti tipici ed esclusivi della giurisdizione contenziosa», mediante 1 quali «il giudice, per realizzare la volontà di legge nel caso concreto, riconosce o attribuisce un diritto soggettivo, oggetto di contestazione, anche solo eventuale, nel contraddittorio delle parti» (così, nitidamente, tra le altre, Cass. Sez. Prima 824/1971, in motivazione).
La decisorietà, dunque, consiste nell’attitudine del provvedimento del giudice non solo ad incidere su diritti soggettivi delle parti, ma ad incidervi con la particolare efficacia del giudicato (nel che risiede appunto la differenza tra il semplice “incidere” e il “decidere”: cfr., per tutte, Cass. Sez. Prima 10254/1994), il quale, a sua volta, è effetto tipico della giurisdizione contenziosa, di quella, cioè, che si esprime su una controversia, anche solo potenziale, fra parti contrapposte, chiamate perciò a confrontarsi in contraddittorio nel processo.
Affinché, peraltro, un provvedimento non avente veste di sentenza sia impugnabile in cassazione ai sensi deH’art. Ili, comma settimo, Cost, non è sufficiente che abbia carattere decisorio, occorre anche che non sia soggetto a un diverso mezzo d’impugnazione, dovendosi altrimenti esperire anzitutto tale mezzo — appello, reclamo o quant’altro — sicché il ricorso per cassazione riguarderà il successivo provvedimento emesso all’esito. In ciò consiste il requisito della definitività.
Su tali principi — si ripete — vi è sostanziale continuità giurisprudenziale (al di là di differenze, più che altro terminologiche, allorché si inserisce l’attitudine al giudicato nel requisito della definitività, intesa come immodificabilità del provvedimento, piuttosto che nel requisito della decisorietà), attestata da ultimo da un precedente di queste Sezioni Unite, la sentenza 1914/2016, in cui si ribadisce che «un provvedimento, ancorché emesso in forma di ordinanza o di decreto, assume carattere decisorio — requisito necessario per proporre ricorso ex art. 111 Cost. — quando pronuncia o, comunque, incide con efficacia di giudicato su diritti soggettivi, con la conseguenza che ogni provvedimento giudiziario che abbia 1 caratteri della decisorietà nei termini sopra esposti, nonché della definitività — in quanto non altrimenti modificabile — può essere oggetto di ricorso ai sensi dell’art. 111 Cost.» e si aggiunge che «se il provvedimento al quale il processo è preordinato non ha carattere decisorio perché, non costituendo espressione del potere-dovere del giudice di decidere controversie tra parti contrapposte, in cui ciascuna tende all’accertamento di un proprio diritto soggettivo nei confronti dell’altra, non ha contenuto sostanziale di sentenza» (richiamando sul punto i precedenti delle medesime Sezioni Unite nn. 3073 e 11026 del 2003) e che quando «si tratta di provvedimenti per i quali non è prevista alcuna forma di impugnazione ordinaria» si realizza «il presupposto della “definitività” (intesa come non modificabilità) in relazione al rimedio straordinario previsto dall’art. Ill Cost.».

3. — Sulla base di tali premesse è possibile rispondere alle questioni poste dall’ordinanza interlocutoria della Prima Sezione.

3.1. — Se un provvedimento con forma diversa dalla sentenza è soggetto a ricorso straordinario per cassazione esclusivamente allorché è decisorio e definitivo, nel senso sopra indicato, deve concludersi che avverso il decreto con cui il tribunale dichiara l’inammissibilità della proposta di concordato, ai sensi del secondo comma dell’art. 162 legge fallim., non è dato tale rimedio, perché il decreto, pur presentando indubbiamente il carattere della definitività — in quanto espressamente dichiarato «non soggetto a reclamo» (art. 162, secondo comma, legge fallim., cit.) — non presenta anche il carattere della decisorietà.
Esso, infatti, viene emesso dal tribunale a prescindere da una controversia, anche solo potenziale, tra parti contrapposte, nonché all’esito di un procedimento che non prevede alcun contraddittorio, bensì la sola audizione del debitore («sentito il debitore», recita il più volte richiamato art. 162, secondo comma). Che i creditori siano o meno favorevoli alla proposta di concordato presentata dal debitore è del tutto irrilevante: il tribunale deve provvedere comunque, d’ufficio, a tutela di un interesse più generale, che prescinde dall’interesse individuale di ciascun creditore.
Mancando addirittura una controversia — o, meglio, non rilevando comunque la sua eventuale sussistenza — non può affermarsi che il decreto “decida” su diritti soggettivi di parti contrapposte e sia destinato al giudicato.

3.1.1. — Che il carattere contenzioso del procedimento sia determinate, del resto, trova conferma nella difficoltà di soluzione del problema della legittimazione passiva all’ipotetico ricorso per cassazione.
Nella pratica, in mancanza di altri contraddittori, si suole notificare il ricorso al pubblico ministero (così è avvenuto in quasi tutti i precedenti, sopra richiamati, in cui il ricorso è stato ritenuto ammissibile nel vigore della disciplina successiva alla riforma).
Sennonché riconoscere la legittimazione passiva del pubblico ministero contrasta con l’insuperabile rilievo che questa sussiste solo allorché il pubblico ministero sia titolare del potere d’impugnazione, trattandosi di cause che lui stesso avrebbe potuto promuovere o per le quali comunque tale potere sia previsto ai sensi dell’art. 72 c.p.c.: il che sicuramente non si verifica a proposito della partecipazione del pubblico ministero alla procedura di concordato preventivo (cfr. in proposito, per tutte, le stesse Cass. Sez. Un. 9743/2008 e Sez. Prima 10808/1999, citt.).
Nel caso in esame la Rettondini s.p.a. ha notificato il ricorso, oltre che al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Verona, anche alla Banca Nazionale del Lavoro, evidentemente perché questa aveva espresso il contestato voto contrario sulla proposta di concordato. Tale circostanza, però, non vale certo a qualificare la banca creditrice legittimo contraddittore della società debitrice nel procedimento rivolto alla dichiarazione d’inammissibilità della proposta di concordato, il quale resta strutturalmente ed essenzialmente unilaterale, non essendo prevista la partecipazione dei creditori, ancorché dissenzienti (Part. 162, secondo comma, infatti, prevede che il tribunale decide dopo aver sentito esclusivamente il debitore).

3.2. – A conclusioni opposte occorre invece pervenire a proposito del decreto conclusivo del giudizio di omologazione, che si apre all’esito dell’approvazione della proposta di concordato da parte della maggioranza dei creditori.
Qui la struttura del procedimento è chiaramente contenziosa e comprende il contraddittorio tra parti contrapposte. L’art. 180 legge fallim. prevede infatti la fissazione di un’udienza «per la comparizione delle parti e del commissario giudiziale», con provvedimento che va non soltanto pubblicato a norma dell’art.17, ma altresì «notificato, a cura del debitore, al commissario giudiziale e agli eventuali creditori dissenzienti», i quali (nonché «qualsiasi interessato») «devono costituirsi almeno dieci giorni prima dell’udienza fissata» c possono proporre opposizioni.
Il decreto del tribunale che conclude il procedimento c perciò idoneo al giudicato ed è decisorio, sia che abbia contenuto positivo – l’omologazione del concordato – sia che abbia contenuto negativo – il diniego di omologazione.
Ciò che ne impedisce l’impugnabilità con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost, è, però, il difetto del requisito della definitività, nel senso sopra accolto di non soggezione a rimedi diversi da tale ricorso. Il decreto del tribunale, infatti, è reclamabile alla corte d’appello ai sensi dell’art. 183 legge fallim. Sarà perciò il provvedimento emesso da qucst’ultima all’esito del giudizio sul reclamo che, condividendo il carattere decisorio del provvedimento impugnato e non essendo a sua volta altrimenti impugnabile, potrà essere oggetto di ricorso straordinario per cassazione pur non avendo forma di sentenza.
Nell’analogo istituto dell’omologazione del concordato fallimentare, del resto, la ricorribilità per cassazione del decreto della corte d’appello che conclude il giudizio di reclamo avverso il decreto del tribunale è espressamente prevista dalla legge (art. 131, ult. comma, legge fallim.).

3.3. — Un discorso più articolato merita l’ultima ipotesi di provvedimento negativo del tribunale sulla domanda di concordato preventivo, quella della revoca dell’ammissione alla procedura ai sensi dell’art. 173 legge fallim.
La revoca è preceduta da un procedimento, che il tribunale «apre d’ufficio (…) dandone comunicazione al pubblico ministero e ai creditori» (art. 173, comma primo). Il procedimento «si svolge nelle forme di cui all’articolo 15» e all’esito «il tribunale provvede con decreto e, su istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero, accertati i presupposti di cui agli artt. 1 e 5, dichiara il fallimento del debitore con contestuale sentenza, reclamabile a norma dell’art. 18».
11 procedimento, dunque, può avere carattere contenzioso, dovendosi svolgere nelle forme di cui all’art. 15 legge fallim., ma solo allorché siano state presentate (eventualmente all’esito della comunicazione di cui al primo comma dell’art. 173) istanze di fallimento. Infatti il contraddittorio ai sensi dell’art. 15, cui rinvia l’art.
173, si instaura tra «il debitore ed i creditori istanti per il fallimento» (art. 15, comma secondo), dunque il rinvio non opera allorché manchino i secondi. In tal caso il procedimento si conclude, mancando un’istanza di fallimento, con il mero provvedimento di revoca (o diniego della revoca), non decisorio e dunque non soggetto a ricorso per cassazione già per tale ragione, quale che sia la risposta da dare al quesito, pure postosi in dottrina, circa la sua reclamabilità alla corte d’appello (per la risposta negativa v. peraltro Cass. Sez. Prima 9998/2014, cit.).

3.4. — In conclusione, la questione di massima sottoposta a queste Sezioni Unite va risolta come segue:
a) il decreto con cui il tribunale dichiara l’inammissibilità della proposta di concordato, ai sensi dell’art. 162, comma secondo, legge fallim. (anche eventualmente a seguito della mancata approvazione della proposta, ai sensi dell’art. 179, primo comma) ovvero revoca l’ammissione alla procedura di concordato, ai sensi dell’art. 173, senza emettere consequenziale sentenza dichiarativa del fallimento del debitore, non è soggetto a ricorso per cassazione ai sensi dell’art. Ili, comma settimo, Cost, non avendo carattere decisorio;
b) viceversa, il decreto con cui il tribunale defimsce (in senso positivo o negativo) il giudizio di omologazione del concordato preventivo, senza emettere consequenziale sentenza dichiarativa del fallimento del debitore, ha carattere decisorio, ma, essendo reclamabile ai sensi dell’art. 183, primo comma, legge fallim., non è soggetto a ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell’art. Ili, comma settimo, Cost., il quale è proponibile avverso il provvedimento della corte d’appello conclusivo del giudizio sull’eventuale reclamo.
Non è forse inutile aggiungere che il principio sub a) non comporta il rischio che la funzione nomofilattica del giudice di legittimità non abbia modo di esprimersi con riguardo agli istituti della inammissibilità della proposta di concordato e della revoca dell’ammissione alla procedura: essa, invero, trova comunque spazio allorché — come avviene normalmente — alle decisioni di inammissibilità o revoca consegua la sentenza dichiarativa del fallimento del debitore, impugnabile, come si è visto, anche per motivi di censura relativi a quelle decisioni presupposte, con rimedi culminanti appunto nel ricorso per cassazione. Né è compromessa la tutela giurisdizionale dei diritti del debitore proponente, garantiti in ogni caso dall’intervento di un giudice, quello di merito, che è giudice al pari di quello di legittimità; ferma rimanendo la riproponibiltà della domanda di concordato non essendosi prodotto alcun giudicato contrario.

4. — Il ricorso della Rettondini s.p.a. avverso il decreto d’inammissibilità della proposta di concordato preventivo pronunciato dal Tribunale di Verona va pertanto dichiarato inammissibile.
La novità della questione giustifica la compensazione delle spese processuali tra le parti costituite.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e compensa tra le parti le spese processuali.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n.
115, inserito dall’art. 1, comma 17,1. 24 dicembre 2012, n. 228, dichiara la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pan a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio dell’8 novembre 2016

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