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Sentenze

Cassazione civile, sez. unite, 27 marzo 2017, n. 7759

Redazionedi Redazione20 Aprile 2017Aggiornato il:20 Aprile 2017
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Fatto

1. La seconda sezione del Tar Lazio dichiarava il difetto di giurisdizione del Giudice amministrativo sul ricorso proposto da C.F. per l’annullamento degli avvisi pubblici indetti dalla Sogesid del 26.1.2015 e 28.1.2015 per la selezione di vari profili professionali e degli atti concorsuali eventualmente intervenuti e relative graduatorie. Deduceva che la Socesid era organismo di diritto pubblico e società interamente partecipata dallo statuto in house providing del Matt (Ministero delle infrastrutture) e di avere partecipato a precedente procedura concorsuale omogenea nel 2009: alla luce dei principi stabiliti dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza del 28 Luglio 2011, n. 14 sosteneva che il Sogesid avrebbe dovuto utilizzare la precedente graduatoria nella quale era risultato primo classificato. Il Tar declinava la propria giurisdizione e sottolineava che il D.L. n. 112 del 2008, art. 18 (relativo alle società che gestiscono servizi locali a totale partecipazione pubblica legittimate ad adottare propri criteri per l’assunzione nel rispetto della normativa comunitaria) era una norma di diritto sostanziale e quindi non cambiava i criteri di riparto tra giurisdizioni e che, anche per le società in house, la più recente giurisprudenza di legittimità riguardava solo il profilo del danno erariale, in difetto di un qualsiasi ancoramento normativo che obbligasse anche queste società alla regola del pubblico concorso. Il Consiglio di stato con la sentenza impugnata in questa sede invece, accogliendo l’appello del C., osservava che era dirimente (per stabilire la giurisdizione) la natura di società in house della Sogesid e conseguentemente il D.Lgs. n. 165 del 2011, art. 63, comma 4 che obbliga al pubblico concorso in tutti i casi di assunzioni dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni: la Corte di cassazione nella sentenza a Sezioni unite del 25 Novembre 2013, n. 26283 aveva affermato che le società in house costituiscono, in realtà, mere articolazioni della pubblica amministrazione e si richiamava, pertanto, l’interpretazione già offerta di quest’ultima sentenza da parte del Consiglio di Stato con la decisione del 20 Febbraio 2014, n. 820 che. Se, pertanto, la società in house costituisce una mera articolazione dell’amministrazione che la controlla, concludeva il Consiglio di Stato, è certamente applicabile il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 4. Né era possibile condividere l’opinione del Tar secondo cui non si tratterebbe in verità di procedure concorsuali ma di una mera selezione in una rosa di qualificati profili professionali posto le prove e le valutazioni comparative previste per l’assunzione. Pertanto il Consiglio dichiarava la giurisdizione del Giudice ordinario.
2. Per la cassazione di tale decisione propone ricorso la Sogesid con un complesso motivo; resiste controparte con controricorso. Il Ministero ha partecipato solo alla discussione all’udienza pubblica. 


Diritto


1. Con il motivo proposto si allega l’erroneità della sentenza del Consiglio di Stato ex art. 360 c.p.c., n. 1, per difetto di giurisdizione del Giudice amministrativo. Sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario. Violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 1, comma 2 e art. 63, comma 4. La Sogesid era una società per azioni e quindi ha agito iure privatorum non essendo tenuta, in quanto non riconducibile quale società in house alla pubblica amministrazione, a seguire le regole del concorso pubblico ma quelle stabilite dal D.L. n. 112 del 2008 convertito in L. 6 agosto 2008, n. 133 che obbliga le società pubbliche a stabilire criteri e modalità per il reclutamento del personale, come stabilito in un Regolamento interno ad hoc dalla società. La decisione della Corte di cassazione del 2013 a Sezioni unite non riguardava la disciplina del reclutamento ma il danno erariale; diversamente opinando e ritenendo una valenza generale dei principi affermati nella citata sentenza si verrebbe ad annullare la rilevanza della forma societaria.
2. Il motivo appare fondato e pertanto va accolto. Thema decidendum è se la natura di società in house di una società per azioni com’è la Sogesid (circostanza incontestata ed anche accertata dai Giudici amministrativi) comporti l’obbligo di seguire per le assunzioni il regime del pubblico concorso con conseguente giurisdizione del Giudice amministrativo in ordine a fattispecie come quelle in esame. Per la sentenza impugnata in questa sede questa conclusione deriverebbe logicamente dai principi affermati da questa Corte con la già citata sentenza a Sezioni unite del 25 Novembre 2013, n. 26283 che ha affermato che le società in house costituiscono in realtà mere articolazioni della pubblica amministrazione e quindi necessariamente ne dovrebbero rispettare le regole generali di funzionamento a cominciare dall’obbligo costituzionale di assumere attraverso pubblici concorsi. In realtà questa Corte con la sentenza del 1 Dicembre 2016 n. 24591, Sez. U. ha già precisato che il precedente del 2013 non ha una valenza generale che impone l’applicabilità di tutte le regole che disciplinano le pubbliche amministrazione ma è riferita alla disciplina del riparto di giurisdizione nel caso di azione di responsabilità per danno erariale (questione che involge in specifico l’utilizzazione del denaro pubblico); sebbene la decisione del 2016 riguardi il diverso caso del potere di nomina di amministratori e sindaci delle società a totale o parziale partecipazione pubblica in house providing la motivazione precisa principi in toto applicabili alla fattispecie in esame che si condividono e cui si intende dare continuità. La Corte ha infatti precisato (cfr. punto 5 della motivazione) “che è, bensì, vero che le Sezioni unite di questa Corte, nella già menzionata sentenza n.26283/13, hanno affermato che le società in house costituiscono in realtà articolazioni della pubblica amministrazione da cui promanano e non soggetti giuridici ad essa esterni e da essa autonomi; tuttavia, hanno altresì avuto cura di precisare che siffatta affermazione va intesa ai limitati fini del riparto di giurisdizione. Precisazione, questa, che si riferisce, ovviamente, al riparto di giurisdizione riguardante l’azione di responsabilità per danni arrecati dall’illegittimo comportamento degli organi sociali al patrimonio della società, che costituiva oggetto di quel giudizio. Il tipo di rapporto che lega gli organi di una società in house all’ente pubblico da cui la società promana è, infatti, fin troppo simile a quello che intercorre tra la medesima amministrazione ed i propri dipendenti per poter giustificare un diverso regime di responsabilità, quanto alla giurisdizione ed ai riflessi sulle regole che presidiano la responsabilità di quei soggetti. Ciò non implica però, necessariamente, che anche sotto ogni altro profilo l’adozione del paradigma organizzativo societario che caratterizza le società in house sia irrilevante e che le regole proprie del diritto societario siano poste fuori gioco. Sarebbe illogico postulare che la scelta di quel paradigma privatistico per la realizzazione delle finalità perseguite dalla pubblica amministrazione sia giuridicamente priva di conseguenze, ed è viceversa del tutto naturale che quella scelta, ove non vi siano specifiche di posizioni in contrario o ragioni ostative di sistema, comporti l’applicazione del regime giuridico proprio dello strumento societario adoperato”. Anche riguardo l’obbligo di adottare il regime del pubblico concorso la scelta non può derivare da quanto affermato da questa Corte a Sezioni unite che invece ha esaminato il diverso caso della responsabilità erariale che porterebbe ad annullare proprio una delle caratteristiche determinanti dello schema societario utilizzato dalle società in house, anche in termini di maggiore adattabilità degli organici e di pronta reattività al mercato ed alle sue dinamiche. Rimane quindi fermo il principio già affermato da questa Corte con l’ordinanza del 22 dicembre 2011, n. 28330 in relazione al D.L. 25 giugno 2008, art. 18 secondo il quale “il D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 18 (convertito, con modificazioni, nella L. 6 agosto 2008, n. 193), il quale detta regole diverse per le procedure di reclutamento del personale da parte, da un lato, delle società in mano pubblica di gestione dei servizi pubblici locali (comma 1), e, dall’altro, delle altre società a partecipazione pubblica totale o di controllo (comma 2), è una norma di diritto sostanziale, la quale non incide in alcun modo sui criteri di riparto della giurisdizione in materia di assunzione dei dipendenti, che rimane devoluta, in entrambe le fattispecie anzidette, al giudice ordinario, trattandosi ugualmente di società non equiparabili alle pubbliche amministrazioni. È, pertanto, manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 2, del suddetto decreto, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., nella parte in cui si assume che assoggetti a differenti criteri di riparto della giurisdizione le società di gestione dei servizi pubblici dalle altre società pubbliche”. Conclusivamente si deve anche ricordare che con il D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175, art. 19 si sono ribaditi i principi della normativa del 2008 in ordine al reclutamento del personale da parte delle società a controllo pubblico, provvedimento oggetto di una recente decisione della Corte costituzionale (sentenza n. 251/2016), che comunque mostra l’intenzione del legislatore di non obbligare le società a controllo pubblico ad indire pubblici concorsi e di voler applicare (cfr. art. 1) per quanto non espressamente derogato le norme del codice civili e quelle del diritto privato: il che necessariamente comporta la perdurante giurisdizione del Giudice ordinario per quanto sopra esposto.
3. Va quindi affermato il seguente principio di diritto “le procedure seguite dalle società cosidette in house providing per l’assunzione di personale dipendente sono sottoposte alla giurisdizione del Giudice ordinario”.
Va quindi accolto il ricorso, cassata la sentenza impugnata e va dichiarata la giurisdizione del Giudice ordinario anche in ordine alle spese. 


P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e dichiara la giurisdizione del Giudice ordinario anche in ordine alle spese.
Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2017.
Depositato in Cancelleria il 27 marzo 2017

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