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Lavoro Previdenza Sentenze

Cassazione civile, sez. unite, 27 marzo 2017, n. 7761

Redazionedi Redazione31 Marzo 2017
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iscrizione contemporanea a due albi professionali

Fatto

1. Con sentenza n. 1045/2014 il Tribunale di Firenze accolse il ricorso di D.M. e, per l’effetto, condannò: a) il Ministero della Difesa a riconoscergli lo status di “vittima del dovere” ai fini della concessione dei connessi benefici assistenziali; b) il Ministero dell’Interno all’inserimento, ai suddetti fini, del nominativo del D. nell’apposito elenco; c) il Ministero della Difesa ad attribuire al ricorrente i conseguenti benefici di legge, analiticamente specificati.
2. Avverso la suddetta sentenza i due suindicati Ministeri proposero appello deducendo, fra l’altro, il difetto di giurisdizione del giudice ordinario.
La Corte d’Appello di Firenze, con ordinanza ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., ha dichiarato inammissibile l’appello per mancanza di ragionevole probabilità di accoglimento, rilevando, in particolare, che il sorpasso azzardato effettuato dall’autista del veicolo dei Vigili del Fuoco sul quale si trovava il D. con molte probabilità è stato determinato dalla volontà di raggiungere al più presto possibile il luogo dell’incendio da spegnere.
La Corte ha aggiunto di condividere la sentenza di primo grado anche con riguardo alla indicazione dell’ammontare dell’assegno vitalizio da corrispondere pari ad Euro 500,00 mensili anziché ad Euro 258,23 (corrispondenti a Lire 500.000), avendo il Tribunale sul punto motivato per relationem alla sentenza del Consiglio di Stato n. 6156 del 2013 – condivisa pure dalla Corte d’appello – le cui argomentazioni non sono state contestate dai Ministeri appellanti.
3. Il ricorso del Ministero della Difesa e del Ministero dell’Interno, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato domanda la cassazione della suddetta sentenza del Tribunale di Firenze per quattro motivi; resiste, con controricorso, D.M..
Entrambe le parti depositano anche memorie ex art. 378 cod. proc. civ..
Diritto

1 – Sintesi delle censure.
1. Il ricorso è articolato in quattro motivi.
1.1. Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 1, violazione dell’art. 7 del c.p.a. di cui al D.Lgs. n. 104 del 2010, per difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore del giudice amministrativo, in ragione della natura della posizione giuridica soggettiva azionata (interesse legittimo), di cui i giudici del merito non avrebbero tenuto conto.
1.2. Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 1, violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 4, e dell’art. 133, comma 1, lett. i), del c.p.a. di cui al D.Lgs. n. 104 del 2010, per difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore del giudice amministrativo, in ragione della prospettata erroneità dell’affermazione del Tribunale (avallata dalla Corte d’appello) secondo cui il beneficio de quo trova nel rapporto di lavoro – nella specie tra il militare in servizio di leva e il Ministero della Difesa – un mero presupposto e non la sua causa.
1.3. Con il terzo motivo – proposto in subordine – si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione della L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 563, lett. d), e art. 564, nonché del D.P.R. n. 243 del 2006, per erronea attribuzione da parte dei Giudici del merito al D. dello status di vittima del dovere o comunque di soggetto equiparato, visto che, nella specie, l’evento lesivo è stato causato da un errore (sorpasso stradale effettuato in assenza di condizioni di sicurezza) del conducente del veicolo dei Vigili del Fuoco sul quale viaggiava l’interessato e quindi non può considerarsi dovuto ad una condizione ambientale od operativa attinente al servizio di spegnimento di incendio boschivo da svolgere.
1.4.- Con il quarto motivo – proposto in ulteriore subordine – si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 266 del 2005, art. 1, commi 562, e del D.P.R. n. 243 del 2006, art. 4, contestandosi la decisione del giudice di primo grado, avallata dalla Corte d’appello, di determinare in Euro 500,00 (anziché in Euro 258,23, corrispondenti a lire 500.000) l’entità dell’assegno vitalizio mensile da corrispondere al D..
2 – Esame delle censure.
2. L’esame complessivo del ricorso porta al rigetto del ricorso, per le ragioni di seguito esposte, dovendosi preliminarmente precisare che, al di là di quel che si legge nella intestazione del ricorso, tutte le censure risultano nella sostanza proposte avverso la sentenza di primo grado – pur se talvolta si osserva, ad abundantiam, che la statuizione del Tribunale che viene, di volta in volta, contestata è stata confermata dalla Corte d’appello – e sono, quindi, da questo punto di vista ammissibili.
3. Peraltro, i primi due motivi non sono fondati.
Con essi si sostiene l’erroneità della affermata attribuzione della presente controversia alla giurisdizione del giudice ordinario, sul principale assunto secondo cui il Giudice del merito non avrebbe tenuto conto della natura di interesse legittimo della posizione giuridica soggettiva azionata.
Come di recente affermato da queste Sezioni Unite – in continuità con un indirizzo ermeneutico relativo ad analoghe situazioni (vedi, per tutte: Cass. SU 18 dicembre 2007, n. 26626, relativa alle controversie in materia delle speciali elargizioni previste per legge in favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata) – in relazione ai benefici di cui alla L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 565, in favore delle vittime del dovere, il legislatore ha configurato un diritto soggettivo, e non un interesse legittimo, in quanto, sussistendo i requisiti previsti, i soggetti di cui all’art. 1, comma 563, di quella legge, o i loro familiari superstiti, hanno una posizione giuridica soggettiva nei confronti di una P.A. priva di discrezionalità, sia in ordine alla decisione di erogare, o meno, le provvidenze che alla misura di esse. Tale diritto non rientra nell’ambito di quelli inerenti il rapporto di lavoro subordinato dei dipendenti pubblici, potendo esso riguardare anche coloro che non abbiano con l’Amministrazione un siffatto rapporto, ma abbiano in qualsiasi modo svolto un servizio, ed ha, inoltre, natura prevalentemente assistenziale, sicché la competenza a conoscerne è regolata dall’art. 442 c.p.c., e la giurisdizione è del giudice ordinario, quale giudice del lavoro e dell’assistenza sociale (Cass. SU 16 novembre 2016, n. 23300).
La sentenza del Tribunale di Firenze impugnata risulta conforme a questo orientamento, che viene qui condiviso e che porta a ribadire la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario.
4. Il terzo motivo è invece inammissibile, in quanto – al di là del formale richiamo alla violazione di norme di legge contenuto nell’intestazione del motivo – nella sostanza le censure con esso proposte si risolvono nella denuncia di errata valutazione da parte del Giudice del merito del materiale probatorio acquisito ai fini della ricostruzione dei fatti, in particolare con riguardo alla configurazione dell’evento lesivo come idoneo ai fini dell’attribuzione dello status di vittima del dovere o comunque di soggetto equiparato.
Si tratta, quindi, di censure che finiscono con l’esprimere un mero dissenso rispetto alle motivate valutazioni delle risultanze probatorie effettuate dal Tribunale, che come tale è di per sè inammissibile. A ciò va aggiunto che in base all’art. 360 c.p.c., n. 5, – nel testo successivo alla modifica ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis – la ricostruzione del fatto operata dai Giudici di merito è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi od obiettivamente incomprensibili (Cass. SU 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. SU 20 ottobre 2015, n. 21216; Cass. 9 giugno 2014, n. 12928; Cass. 5 luglio 2016, n. 13641; Cass. 7 ottobre 2016, n. 20207). Evenienze che qui certamente non si verificano.
5. Il quarto motivo non è fondato.
Con esso si affronta la questione – nuova per queste Sezioni Unite e di rilevante importanza – relativa alla determinazione dell’ammontare dell’assegno vitalizio da attribuire alle vittime del dovere e soggetti equiparati.
Per una migliore comprensione della questione e della relativa decisione appare opportuno ricordare che:
a) con la L. n. 350 del 2003, art. 4, comma 238, è stato raddoppiato l’ammontare dell’assegno vitalizio in favore della vittime del terrorismo e della criminalità organizzata, di cui alla L. 23 novembre 1998, n. 407, art. 2, “e successive modificazioni”, di conseguenza il relativo importo è divenuto pari ad Euro 500,00 mensili e non più ad Euro 258,23 (corrispondenti a Lire 500.000);
b) il D.P.R. n. 243 del 2006, emanato in base alla L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 565, – secondo cui il suddetto regolamento doveva definire soltanto tempi e modalità della erogazione dei benefici, in base ad una graduatoria unica nazionale per le vittime del dovere e i soggetti equiparati – all’art. 4, a proposito degli effetti della L. n. 407 del 1998 per tali ultimi beneficiari – ha affermato che l’assegno vitalizio dovesse essere corrisposto (alle vittime del dovere ed equiparati) in un ammontare pari ad Euro 258,23;
c) tale disposizione, se intesa come precettiva, avrebbe creato una irragionevole diversità di trattamento tra le vittime del terrorismo e della criminalità organizzata (il cui assegno, come si è detto, era stato raddoppiato di ammontare dalla L. n. 350 del 2003 cit., che pure ha fatto riferimento alla L. n. 407 del 1998) e le vittime del dovere;
d) pertanto, il Consiglio di Stato – a partire da Sez. 4^, sent. 20 dicembre 2013, n. 6156 – con varie pronunce, ha, in via interpretativa, chiarito che alla misura dell’assegno indicata nel suddetto D.P.R. n. 243 del 2006, art. 4, non deve essere attribuito il valore di cristallizzazione del relativo importo, in quanto escludere le vittime del dovere e i soggetti equiparati dal disposto raddoppio dell’ammontare dell’assegno equivarrebbe a creare una ingiustificata disparità di trattamento, che sarebbe anche in contrasto con l’evoluzione della legislazione in materia, permeata da un intento perequativo;
e) la successiva giurisprudenza amministrativa e ordinaria si è uniformata a tale indirizzo – assurto ormai al rango di “diritto vivente” – tanto più che la L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 105 e ss., ha previsto l’attribuzione ai figli maggiorenni delle vittime del dovere di un assegno vitalizio mensile di ammontare pari ad Euro 500,00, sicché, a questo punto, può dirsi implicitamente confermata anche da parte del legislatore la suddetta equiparazione, altrimenti producendosi una ulteriore irragionevole disparità di trattamento tra figli maggiorenni delle vittime del dovere e vittime del dovere stesse.
8. Per concludere, nell’esercizio della funzione di nomofilachia assegnata dall’ordinamento a questa Corte ai sensi dell’art. 384 c.p.c., si ritiene opportuno affermare il seguente principio di diritto:
“l’ammontare dell’assegno vitalizio mensile previsto in favore delle vittime del dovere e dei soggetti ad esse equiparati è uguale a quello dell’analogo assegno attribuibile alle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata, essendo la legislazione primaria in materia permeata da un simile intento perequativo ed essendo tale conclusione l’unica conforme al principio di razionalità-equità d cui all’art. 3 della Costituzione, come risulta dal “diritto vivente” rappresentato dalla costante giurisprudenza amministrativa ed ordinaria”.
3 – Conclusioni.
9. In sintesi, il ricorso deve essere respinto, confermandosi la sussistenza della giurisdizione ordinaria.
Le spese del presente giudizio di legittimità – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza.
Nulla va disposto con riguardo al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, non potendo tale normativa trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato, quali sono i Ministeri ricorrenti (vedi, per tutte, in tal senso: Cass. 29 gennaio 2016, n. 1778).

P.Q.M.
La Corte, a Sezioni Unite, rigetta il ricorso, confermando la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario. Condanna i Ministeri ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 (duecento/00) per esborsi, Euro 3.000,00 (tremila/00) per compensi professionali, oltre spese forfetarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 7 marzo 2017.
Depositato in Cancelleria il 27 marzo 2017

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