SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Commissione Tributaria Regionale de l’Aquila ha confermato, con sentenza 24 gennaio 2001 l’assunto dei Giudici di primo grado in ordine alla natura e alla imponibilità ex art. 81, comma 1 lett. I del TUIR (reddito di lavoro autonomo concretatosi in una intermediazione di carattere occasionale) della somma di L. 2.118.151.600, percepita nel 1990 da F.P., quale compenso per la negoziazione di azioni su incarico dei soci di maggioranza della Società SERIT, giusto verbale della Guardia di Finanza di Pescara notificato il 24.4.1997, redatto nel corso di procedimento penale a carico del Finocchio e di altri.
I Giudici d’appello, dopo aver rilevato che il Finocchio aveva riproposto, a sostegno del gravame, gli stessi argomenti disattesi in prime cure, ha affermato la legittimazione processuale del contribuente che, pur essendo stato dichiarato fallito, aveva impugnato in proprio l’avviso di accertamento, rigettando quindi la tesi del contribuente circa la natura di reddito di negoziazione di valori mobiliari, conseguito anche da altri soci, sulla base di quanto dallo stesso F. riferito alla Polizia tributaria circa la riscossione a titolo personale del compenso di intermediazione sul guadagno di L..5.400.000.000, complessivamente ottenuto attraverso il sovrapprezzo delle azioni vendute.
F.P. chiede la cassazione di tale sentenza sulla base di due motivi, illustrate da note di udienza.
L’Amministrazione Finanziaria si è tardivamente costituita.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Adducendo la violazione di norme di diritto ed omessa motivazione della sentenza impugnata, il ricorrente censura col primo motivo, la sentenza impugnata in ordine all’affermata legittimazione processuale, sottolineando che l’avviso di accertamento gli era stato notificato dopo che egli era stato dichiarato fallito, a seguito del fallimento di società di persone di cui era socio, fallimento nei cui confronti andrà ad incidere l’altro carico fiscale contestato al ricorrente.
Col secondo motivo, parimenti adducendo violazione di legge e carenza di motivazione, il ricorrente contesta la qualificazione di “reddito da intermediazione” attribuito ad una somma da lui percepita, analogamente ad altri soci esclusivamente a seguito della negoziazione di titoli, la quale è indenne da imposizione e da denuncia.
Ma se anche fosse valida la tesi dell’Ufficio, non confermata da alcuno dei soci, l’accertamento rientrerebbe nella procedura di cui al D.L. n. 564 del 1994, art. 3, conv. nella L. 656 del 1994, circostanza della quale la Commissione Regionale non ha tenuto conto.
Il primo motivo di ricorso è infondato.
Infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il fallito che abbia impugnato personalmente l’avviso di accertamento tributario a lui notificato non è legittimato a far valere l’invalidità dell’atto derivante dalla mancata notifica al curatore del fallimento; la perdita della capacità processuale derivante dalla dichiarazione del fallimento nella specie peraltro esteso al F., quale socio di società di persone dichiarata fallita non è infatti assoluta, ma relativa alla massa dei creditori, alla quale soltanto – e per essa ai creditori – è consentito eccepirla(Cass. 27263/2006).
L’omessa notifica dell’accertamento fiscale al curatore, se rende inefficace tale accertamento nell’ambito della procedura fallimentare, mantiene infatti la sua validità nei confronti del fallito (Cass. 9951/03), proprio a causa del carattere relativo della perdita di capacità processuale di quest’ultimo che, nella fattispecie, resta dotato di legittimazione processuale.
È infondato anche il secondo motivo, posto che la somma percepita dal contribuente non attiene alla plusvalenza derivante dalla mera negoziazione dei propri titoli, ma dall’essersi attivato, quale intermediario in rappresentanza degli altri soci, per la negoziazione dei proprio e degli altrui titoli, così ricavando il compenso che l’ufficio ha correttamente assoggettato ad imposizione ex art. 81 lett. I, TUIR, quale reddito derivante “da attività commerciale non esercitata abitualmente”, secondo l’accertamento di compiuto dai Giudici di merito, non censurabile in questa sede.
Quanto all’ulteriore doglianza relativa alla avvenuta definizione della controversia ai sensi del D.L. n. 564 del 1994, art. 3, eventualità esclusa in prime cure (v. controricorso pg. 4), la stessa, oltre che essere generica, non risulta riproposta in sede d’appello.
Il ricorso va pertanto integralmente rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente nelle spese, che liquida in complessivi Euro 5.100,00, di cui Euro 5.000,00, per onorari, oltre spese ed accessori come per legge.