Svolgimento del processo
La S.r.l. (Omissis) impugnava la cartella esattoriale notificata in data 30.4.2003, con la quale veniva intimato il pagamento della somma euro 111.937,28, a titolo di lei dovuta per gli anni dal 1995 al 1998, eccependo l’omessa notifica degli avvisi di accertamento. Veniva, fra l’altro chiesta la sospensione dell’atto impugnato: il Comune, comparendo senza costituirsi all’udienza fissata ai sensi dell’art. 47 del d.lgs n. 546 del 1992, esibiva copia degli avvisi di accertamento, spediti a mezzo di lettera raccomandata. Successivamente, in data 30 ottobre 2003, il Comune si costituiva tardivamente (per l’udienza del 4 novembre successivo), ribadendo la suindicata eccezione e producendo la relativa documentazione (evidentemente in violazione del termine stabilito dall’art. 32 del d.lgs 31 dicembre 1992, n. 546) .
La Commissione rigettava il ricorso, richiamando, in relazione all’utilizzabilità della documentazione tardivamente prodotta, il tenore dell’art. 7, comma 3, del d.lgs 31 dicembre 1992, n. 546, secondo cui è sempre data alle Commissioni tributarie facoltà di ordinare alle parti il deposito di documenti ritenuti necessari per la decisione della controversia.
Proponeva appello la società, eccependo l’inutilizzabilità della produzione documentale e, sostenendo, in ogni caso, l’insussistenza delle notificazioni degli atti presupposti e, in subordine, la loro nullità.
La Commissione tributaria regionale respingeva l’appello, confermando la decisione di primo grado e compensando le spese processuali. Venivano, in particolare, richiamati i poteri istruttori del giudice tributario; al riguardo si affermava che “il mancato rispetto dei termini stabiliti per il deposito dei documenti non influenza il potere della Commissione di acquisire al processo l’atto in via ufficiosa”, precisandosi che la Commissione tributaria provinciale non era neanche stata “costretta ad attivarsi per acquisire i documenti relativi alle notifiche, poiché si è limitata ad acquisire al processo l’atto in via ufficiosa”. Veniva altresì ribadita la facoltà per il Comune, specificamente prevista dalla legge, di ricorrere al servizio postale per notificare gli avvisi di accertamento in materia di lei, rilevandosi, nel merito, la valida notificazione degli atti presupposti.
Avverso tale decisione la S.r.l (Omissis) propone ricorso per Cassazione, affidato a tre motivi.
Resiste con controricorso il Comune di (Omissis), illustrato con memoria
Motivi della decisione
2.1 – Preliminarmente deve esaminarsi l’eccezione di inammissibilità del ricorso, fondata sulla carenza di legittimazione passiva del Comune, per essere stata la cartella esattoriale emessa dalla Banca (Omissis), in qualità di concessionario del servizio di riscossione.
Tale tesi non può essere condivisa, dovendosi applicare il principio, già affermato da questa Corte (Cass., 16 gennaio 2009, n. 933; Cass., Sez. Un., 25 luglio 2007, n. 16412) , secondo cui nel processo tributario il fatto che il contribuente venga a conoscenza del ruolo, formato dall’ente locale, soltanto tramite la notificazione dello stesso ad opera del concessionario della riscossione, non determina, ai sensi dell’art. 14, primo comma, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, una situazione di litisconsorzio necessario, né sostanziale, né processuale, tra l’ente impositore ed il concessionario stesso, atteso che quest’ultimo (a parte l’esercizio dei poteri propri, volti alla riscossione delle imposte iscritte nel ruolo), nell’operazione di portare a conoscenza del contribuente il ruolo, dispiega una mera funzione di notifica, ovverosia di trasmissione al destinatario del titolo esecutivo così come (salva l’ipotesi di errore materiale) formato dall’ente e, pertanto, non è passivamente legittimato a rispondere di vizi propri del ruolo, come trasfuso nella cartella.
2.2 – Con il primo motivo di ricorso la Soc. (Omissis) deduce violazione e falsa applicazione degli art. 7, comma 3 e 32, 1° comma, del d.lgs, n. 504 del 1992, affermando, in sostanza, che, avendo il Comune depositato tardivamente (nel primo grado del giudizio) la documentazione inerente alla notifica degli avvisi di accertamento, avrebbe errato la Commissione tributaria regionale nel confermare la validità del provvedimento emesso dal giudice di prime cure, ai sensi del citato art. 7, comma 3, del d.lgs 31 dicembre 1992, n. 546, di acquisizione ex officio di detta documentazione, così sanando la decadenza in cui sarebbe incorsa la parte. Il motivo è inammissibile, a cagione della carenza di decisività della censura.
Non si tratta, invero, di stabilire se l’esercizio (per altro attuato in maniera anomala) dei poteri derivanti dall’ormai abrogato (con decorrenza dal 3 dicembre 2005, per effetto della 1. n. 248 del 205, e quindi applicabile, ratione temporis alla vicenda scrutinata) art. 7, comma 3 del d.lgs 31 dicembre 1992, n. 546 possa assumere la funzione di sopperire al mancato assolvimento dell’onere probatorio delle parti. In proposito mette conto di rilevare che l’orientamento di questa Corte, dopo un’iniziale affermazione della prevalenza dei poteri istruttori della Commissione (cfr. Cass., 10 novembre 2000, n. 14624, richiamata anche nella decisione impugnata) è venuto via via evolvendosi nel senso che l’esercizio del menzionato potere discrezionale non può consentire di sopperire al mancato assolvimento, ad opera della parte, dell’onere della prova (Cass., 18 gennaio 2 006, n. 905; Cass., 22 febbraio 2008, n. 4617) .
Nella fattispecie in esame assume, al contrario, decisivo rilievo l’esigenza di verificare se nella decisione impugnata la documentazione in questione sia stata correttamente ritenuta acquisita (e, quindi, valutata) da parte del giudice di appello. A tal fine vanno considerati, da un lato, l’effetto sostitutivo della decisione di secondo grado (ragion per cui è solo con riferimento a quest’ultima che occorre stabilire se i documenti de quibus fossero utilizzabili o meno), e, dall’altro, la possibilità, nel processo tributario, di produrre documenti anche in appello, nel rispetto dei termini previsti dall’art. 32 del d.lgs 31 dicembre 1992, n. 546 (Cass., 30 gennaio 2007, n. 1915), avuto riguardo alla specifica disposizione dettata al riguardo, ed in deroga all’art. 345 c.p.c., dall’art. 58, comma, 2, del citato d.lgs n. 546/1992.
Pertanto, ed in tal senso va integrata e corretta la motivazione della decisione impugnata, movendo dalla premessa della validità della produzione in appello di documenti, deve applicarsi il principio, più volte affermato da questa Corte, secondo cui il documento irritualmente prodotto in primo grado può essere nuovamente prodotto in secondo grado nel rispetto delle forme previste dall’art. 87 disp. att. c.p.c. (o, nel processo tributario, dell’ art. 32 del d.lgs 31 dicembre 1992, n. 546); tuttavia, ove il documento sia inserito nel fascicolo di parte di primo grado e questo sia depositato all’atto della costituzione unitamente al fascicolo di secondo grado, si deve ritenere raggiunta – ancorché le modalità della produzione non corrispondano a quelle previste dalla legge – la finalità di mettere il documento a disposizione della controparte, in modo da consentirle l’esercizio del diritto di difesa, onde l’inosservanza delle modalità di produzione documentale deve ritenersi sanata (Cass., 19 giugno 2009, n. 14388; Cass., 22 gennaio 2002, n. 696).
2.3 – Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione dell’art. 2712 c.c. e carenza di motivazione, sotto il profilo dell’inutilizzabilità in quanto tardivamente prodotta, della documentazione, anche all’esito della contestazione della corrispondenza agli originali delle copie degli avvisi di ricevimento originariamente prodotte.
Valgano, quanto all’eccezione di inutilizzabilità, le superiori considerazioni fondate sulla portata dell’art. 58, comma 2 del d.lgs 31 dicembre 1992, n. 546: la Commissione tributaria regionale, inoltre, ha fornito adeguata giustificazione circa la valenza probatoria della documentazione stessa, dando espressamente atto della produzione (valida per le indicati ragioni) ad opera del Comune, degli originali degli avvisi di ricevimento e, in un caso (anno 1996), del relativo duplicato.
2.3 – Con il terzo motivo si deduce violazione degli artt. 137 e ss. nonché 149 c.p.c.; dell’art. 155, comma 6 del d.P.R. 29 .5.1982, n. 655, violazione degli artt. 2697 e 2702 e segg. c.c., nonché carenza e contraddittorietà della motivazione.
Il motivo, che contiene due distinti profili, è in parte infondato e in parte inammissibile. Ci si duole, in particolare, del fatto che la sentenza impugnata “si è limitata ad esaminare la prospettazione di parte ricorrente sotto il profilo della mancata adozione del rito notificatorio previsto dagli artt. 137 e ss. c.p.c., tralasciando completamente tutti gli altri profili di eccezione sollevati dalla ricorrente e la cui fondatezza appare dimostrata dagli stessi documenti ex adverso prodotti” Vengono successivamente enumerati alcuni a- spetti concreti (come l’illegittimità delle firme) relativi alle modalità dì compilazione degli avvisi di ricevimento prodotti dalla controparte.
Devesi in primo luogo ribadire la correttezza della decisione impugnata nella parte in cui ribadisce la validità delle notifiche in materia di imposta comunale sugli immobili mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, come espressamente previsto dall’allora vigente art. 11, comma 2, del d.lgs 30 dicembre 1992, n. 504, non modificato, in parte qua, dall’art. 1, comma 162 della 1. n. 296/206. A fronte di un chiaro dettato legislativo, che prevede espressamente il ricorso al servizio postale, con invio di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, la tesi secondo cui il legislatore avrebbe inteso operare un rinvio alle norme stabilite dagli artt. 137 e ss. c.p.c., si pone al di fuori di qualsiasi corretta procedura di tipo ermeneu-tico. A tacere dell’indiscutibile significato letterale della disposizione, deve osservarsi che quando il legislatore, come nell’ipotesi prevista dall’art. 60 del D.P.R. n. 600 del 1973, ha previsto che la notificazione dovesse eseguirsi ai sensi degli artt. 137 e segg. c.p.c., lo ha specificato in maniera chiara. D’altra parte, il riferimento esplicito all’invio di una lettera raccomandata con avviso di ricevimento non può intendersi come un richiamo alla disciplina dell’art. 149 c.p.c., che non avrebbe avuto senso, se, come si sostiene nel ricorso, la notifica avrebbe dovuto eseguirsi nei termini previsti dal codice di rito, che, per l’appunto, prevede, ma solo in via sussidiaria, tale facoltà.
La ricorrente, inoltre, dolendosi dell’omessa pronuncia su aspetti diversi da quello testé esaminato, avrebbe dovuto denunciare tale vizio ai sensi dell’art. 360, n. 4 c.p.c., nel pieno rispetto del principio di autosufficienza, vale a dire tali riportando puntualmente le domande o eccezioni asseritamente non esaminate, nei loro esatti termini, nel ricorso per cassazione, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo o del verbale di udienza nei quali le une o le altre erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primo luogo, la ritualità e la tempestività, e, in secondo luogo, la decisività (Cass., 9 ottobre 2008, n. 24791; Cass., 11 giugno 2008, n. 15462; Cass., 19 marzo 2007, n. 6361; la citata Cass. Sez. Un., n. 15781 del 2005).
A prescindere da tale decisivo rilievo, vien fatto di osservare che il motivo in esame risente, in ogni caso, della deduzione di vizi inerenti alle notificazioni quali disciplinate, in generale, dal codice di rito, e non già eseguite direttamente tramite lettera raccomandata. In proposito vale bene richiamare la recente pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui, non prescrivendo l’art. 7, della L. 20 novembre 1982 n. 890, che l’avviso di ricevimento debba essere sottoscritto, dal consegnatario del piego, con firma leggibile, è palese che il precetto di legge è soddisfatto anche nella eventualità in cui la sottoscrizione sia illeggibile. In una tale eventualità, inoltre, è irrilevante che non siano state indicate, dall’agente postale, le esatte generalità della persona a mani della quale è stato consegnato il piego (Cass., 27 aprile 2010, n. 9962) .
2.4 – Il ricorso, per le ragioni esposte, deve essere rigettato. Ricorrono giusti motivi, avuto riguardo al consolidamento dei principi applicati solo in epoca successiva alla proposizione del ricorso, per l’integrale compensazione delle spese processuali.
P. Q. M
La Corte rigetta il ricorso. Compensa fra le parti le spese processuali relative al presente giudizio di legittimità .