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Diritti fondamentali della persona Ordinamento Giudiziario Forense Sentenze

Cassazione civile, sez. VI, 29 maggio 2017, n. 13509

Redazionedi Redazione3 Giugno 2017
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iscrizione contemporanea a due albi professionali

Ritenuto che, con ricorso depositato presso la Corte d’appello di Campobasso il 25 luglio 2014, D.G. riassumeva, ai sensi dell’art. 392 c.p.c., il giudizio di equa riparazione introdotto con ricorso introdotto nel 2011 e conclusosi con decreto di improcedibilità, poi cassato da questa Corte con sentenza n. 16033 del 2013;
che la domanda originaria era relativa alla irragionevole durata di un giudizio di lavoro durato, in due gradi, circa otto anni; che l’adita Corte d’appello ha dichiarato estinto il giudizio sul rilievo che la riassunzione non era avvenuta nel termine di tre mesi dalla pubblicazione della sentenza di questa Corte, trovando applicazione il detto termine ridotto per essere il giudizio stato iniziato dopo il 4 luglio 2009;
che per la cassazione di questo decreto D.G. ha proposto ricorso sulla base di due motivi;
che l’intimato Ministero ha resistito con controricorso;
che la ricorrente ha depositato memoria in prossimità dell’udienza.
Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozione della motivazione semplificata nella redazione della sentenza;
che con il primo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 133 c.p.c., comma 2, sostenendo che non essendo stata Né comunicata Né notificata la sentenza di questa Corte n. 16033 del 2013, che aveva accolto il ricorso proposto avverso il decreto di improponibilità della domanda di equa riparazione, il termine di tre mesi per la riassunzione non poteva ritenersi iniziato a decorrere con il mero deposito;
che, prosegue la ricorrente, pur avendo più volte cercato di acquisire informazioni presso la cancelleria di questa Corte in ordine al momento del deposito della decisione assunta all’udienza del 24 maggio 2013, solo nel luglio 2004 acquisiva conoscenza, per effetto della comunicazione effettuatagli dal domiciliatario, dell’avvenuto deposito della sentenza; e rispetto alla data di comunicazione la riassunzione era stata senz’altro tempestiva;
che con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 153 c.p.c., comma 2, dolendosi del fatto che la Corte d’appello non abbia disposto la pur sollecitata rimessione in termini;
che il primo motivo è fondato alla luce del principio, di recente ribadito da questa Corte, per cui “in tema di irragionevole durata del processo, il termine della domanda di riparazione, ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 4, decorre solo da quando la parte ha avuto conoscenza del provvedimento che definisce il giudizio presupposto (nella specie, solo dalla comunicazione e non dal deposito della sentenza di cassazione), valendo il principio per cui il decorso del termine di un atto presuppone che l’interessato conosca il dies a quo” (Cass. n. 21294 del 2015);
che in motivazione nella citata sentenza si è richiamato il principio per cui “nel giudizio per l’equa riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, il giudice italiano, nel caso di applicazione della norma transitoria di cui all’art. 6 della citata legge del 2001 (per la sottoposizione a tal giudice di violazioni dell’art. 6 paragrafo 1 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, anteriori all’adozione del “rimedio interno”), è tenuto a verificare la sussistenza dei presupposti processuali della domanda e, quindi, anche a controllare la tempestività della presentazione del ricorso alla Corte Europea. In tale verifica di tempestività deve attenersi per la individuazione della “data della decisione interna definitiva”, termine a quo del previsto periodo semestrale per la proposizione del ricorso alla Corte di Strasburgo, alla definizione data dall’art. 35 paragrafo 1 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali, che contiene un evidente rinvio ai singoli ordinamenti nazionali per la configurazione della “definitività” delle decisioni (e che risulta recepita dalla L. n. 89 del 2001, art. 4, per le azioni “a regime”). Al riguardo appare ragionevole che, una volta definita in termini di diritto processuale nazionale l’acquisizione di definitività della pronunzia, il termine semestrale per denunziarne la tardività innanzi alla Corte Europea sia regolato, anche nella sua decorrenza, dal principio di effettività della conoscenza, che comporta, le volte in cui la decisione sia in sè definitiva del processo ma non pubblicamente palesata (come nel caso di una sentenza di reiezione del ricorso da parte della cassazione civile), che il termine per denunziare dinanzi al giudice sopranazionale la tardività della lite decorra dalla data nella quale alla parte venga comunicato il deposito, non potendosi prescindere dalla interpretazione che la stessa Corte Europea ha offerto della disposizione di cui al citato art. 35 paragrafo 1 della Convenzione, là dove ha fatto invio alla data nella quale la decisione nazionale viene comunicata al difensore della parte” (Cass. n. 23789 del 2004);
che, del resto, si è rilevato, costituisce principio generale – applicabile, quindi, anche nel caso del termine per la riassunzione del giudizio a seguito di cassazione con rinvio – quello per il quale la decorrenza di un termine per il compimento di una determinata attività presuppone che la parte interessata al compimento di tale attività sia messa in condizione di conoscere il dies a quo del relativo termine; e, rispetto a tale principio generale, costituisce regola di settore relativa al sistema delle impugnazioni la disciplina posta dall’art. 327 c.p.c., il quale espressamente prevede che l’appello, il ricorso per cassazione e la revocazione per i motivi indicati nell’art. 395, nn. 4 e 5, non possono proporsi decorsi sei mesi dalla pubblicazione della sentenza, così individuando la decorrenza del termine nella pubblicazione e non anche nella comunicazione dell’avvenuta pubblicazione della sentenza; che il fatto che la Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale ad essa relative (Corte cost. sent. n. 297 del 2008) allorquando il termine lungo era di un anno, con motivazione che deve ritenersi valida anche ora che il detto termine è stato ridotto a sei mesi, non impone di considerare la detta regola operante in ipotesi diverse da quella espressamente prevista dal legislatore, riespandendosi in tutti i casi in cui il legislatore non preveda una diversa regola per la decorrenza del termine di compimento di un’attività il principio generale per cui il decorso di tale termine presuppone la conoscenza del dies a quo;
che, dunque, poiché l’art. 4 della legge n. 89 del 2001, nel testo attualmente vigente prevede che “La domanda di riparazione può essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento in cui la decisione che conclude il procedimento è divenuta definitiva”, deve ritenersi che il termine stesso possa decorrere solo dal momento in cui la parte abbia avuto conoscenza dell’esistenza del provvedimento idoneo a definire il giudizio;
che il primo motivo di ricorso va quindi accolto, con conseguente assorbimento del secondo, e con rinvio della causa alla Corte d’appello di Campobasso, in diversa composizione, la quale procederà a nuovo esame della domanda di equa riparazione alla luce del richiamato principio di diritto;
che al giudice di rinvio è demandata altresì la regolamentazione delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo; cassa il decreto impugnato e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Campobasso, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Sesta – 2 Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 24 giugno 2016.
Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2017

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