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Sentenze Civile e procedura civile

Cassazione civile, sez. VI, 1 giugno 2021, n. 15232

Redazionedi Redazione6 Giugno 2021
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Fatti di causa

1. M.S. convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Roma, R.M.C. e - sulla premessa di essere proprietario di un appartamento sito in (omissis) , che aveva patito danni derivanti dall’infiltrazione di acque luride provenienti dall’appartamento sovrastante, di proprietà della convenuta - chiese che la stessa fosse condannata al risarcimento dei relativi danni, richiamando a sostegno le conclusioni rese dal c.t.u. nella procedura di accertamento tecnico preventivo da lui promossa.
Si costituì in giudizio la convenuta la quale, oltre a chiedere il rigetto della domanda, rilevò che non poteva esserle addebitato alcun danno, essendo la responsabilità dei fatti da ricondurre al Condominio di Via Trionfale 129 o, in alternativa, a D.B. , proprietaria di un altro appartamento dello stabile.
Si costituirono quindi in giudizio il Condominio e la Dall’Angelo, quest’ultima chiedendo la chiamata in causa dell’impresa P.A. ; tutti costoro chiesero pure il rigetto della domanda.
Il Tribunale rigettò la domanda.

2. La pronuncia è stata appellata dall’attore soccombente e la Corte d’appello di Roma, con sentenza del 18 febbraio 2019, ha rigettato l’appello ed ha compensato le spese del grado.
Ha osservato la Corte di merito che dalla relazione del c.t.u. era emerso che l’acqua era fuoriuscita dall’appartamento della R. ed aveva danneggiato quello del M. , ma che ciò era da ricondurre alla presenza di un frammento di laterizio nella conduttura, il quale aveva ostruito il passaggio dell’acqua. Tale ostacolo si trovava all’interno dello scarico condominiale, per cui era evidente che la convenuta non poteva essere ritenuta responsabile del danno ai sensi dell’art. 2051 c.c., essendo stata, anzi, anch’ella danneggiata dalla fuoriuscita dell’acqua. Nei confronti del Condominio, invece, l’appellante non aveva proposto alcuna domanda, se non tardivamente soltanto in fase di replica, per cui nessuna condanna poteva essere pronunciata a carico del medesimo. Ha poi aggiunto la Corte territoriale che, comunque, dalla c.t.u. espletata non era stato chiarito, in effetti, chi fosse il soggetto responsabile della caduta del laterizio nel tubo di scarico; per cui, in assenza di prova, la domanda doveva essere rigettata, confermandosi la decisione del Tribunale.

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Roma ricorre M.S. con atto affidato ad un solo motivo.
Resiste D.B. con controricorso.
R.M.C. , il Condominio di Via Trionfale 129-133 e l’Impresa P.A. non hanno svolto attività difensiva in questa sede.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375, 376 e 380-bis c.p.c., e il ricorrente ha depositato memoria.

Ragioni della decisione

1. Con l’unico motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione falsa applicazione degli artt. 106, 112 e 345 c.p.c..
Sostiene il ricorrente che la sentenza sarebbe errata perché la convenuta R. , costituendosi nel giudizio di primo grado, aveva chiesto che ogni sua responsabilità venisse esclusa, dovendo individuarsi i soggetti obbligati nel Condominio di (omissis) oppure nella condomina D. . Si trattava, quindi, non di una chiamata in garanzia, ma di una chiamata del terzo responsabile; per cui la pretesa risarcitoria era da ritenere indirizzata anche contro il Condominio senza bisogno di un’espressa formulazione in tal senso da parte del ricorrente. Nè potrebbe condurre a diverse conclusioni il fatto che la sentenza abbia affermato che non era chiaro a chi fosse da ricondurre la responsabilità, perché le regole dell’art. 2051 c.c. costituiscono un’ipotesi di responsabilità oggettiva.

1.1. Il ricorso è fondato.
Risulta dal contenuto della comparsa di risposta della convenuta R. nel giudizio di primo grado - atto al quale questa Corte ha accesso in virtù del tipo di censura proposta - che ella chiamò in giudizio il Condominio e la condomina D. addebitando a loro l’integrale responsabilità dell’accaduto e negando l’esistenza di una sua responsabilità.
Si trattava, quindi, come correttamente rileva l’odierno ricorrente, di una chiamata del terzo responsabile e non di una chiamata in garanzia; per cui doveva trovare applicazione il consolidato principio secondo cui, diversamente dall’ipotesi in cui il convenuto in giudizio chiami in causa un terzo, indicandolo come il soggetto tenuto a rispondere della pretesa dell’attore (caso, questo, in cui la domanda attorea si estende automaticamente al terzo, pur in mancanza di apposita istanza, dovendosi individuare il vero responsabile nel quadro di un rapporto oggettivamente unitario), nell’ipotesi della chiamata del terzo in garanzia la predetta estensione automatica non si verifica, in ragione dell’autonomia sostanziale dei due rapporti, ancorché confluiti in un unico processo (v., tra le altre, le sentenze 5 marzo 2013, n. 5400, 13 novembre 2015, n. 23213, ordinanze 8 marzo 2018, n. 5580, e 28 novembre 2019, n. 31066, e sentenza 15 gennaio 2020, n. 516).
Correttamente, quindi, il ricorrente rileva che i giudici di merito avrebbero dovuto considerare estesa la domanda risarcitoria nei confronti dei terzi chiamati, senza bisogno di un’apposita istanza in tal senso.
Non mutano i termini del problema per il fatto che la Corte di merito abbia affermato che non era stato provato con esattezza chi fosse il responsabile del fatto dannoso, perché le regole in materia di responsabilità del custode presuppongono che il danneggiato debba provare l’esistenza del danno ed il nesso di causalità, restando poi a carico dell’obbligato l’onere di provare l’esistenza del caso fortuito.

2. Il ricorso, pertanto, è accolto e la sentenza impugnata è cassata.
Il giudizio è rinviato alla medesima Corte d’appello di Roma, in diversa composizione personale, la quale deciderà il merito della causa facendo applicazione del principio di diritto sopra indicato.
Al giudice di rinvio spetterà anche il compito di liquidare le spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione personale, anche per le spese del giudizio di cassazione.

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