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Civile e procedura civile Ordinamento Giudiziario Forense Sentenze

Cassazione civile, sez. VI, 23 settembre 2015, n. 18828

Redazionedi Redazione20 Dicembre 2016
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iscrizione contemporanea a due albi professionali

FATTO E DIRITTO

Ritenuto quanto segue:
1. D.L.G., D.L.M. e C.G., quest’ultima in proprio e nella qualità di legale rappresentante del figlio minore D.L.G., hanno proposto istanza di correzione di errore materiale riguardo all’ordinanza di questa Corte n. 8992 del 17 aprile 2014, pronunciata a definizione del ricorso per regolamento di competenza iscritto al n.r.g. 8592 del 2013 ed introdotto da D.L.G., in proprio e nella qualità di legale rappresentante dei figli minori D.L.M. e G., contro l’Azienda Ospedaliera Istituti Clinici di Perfezionamento e B.F., nonché in confronto di C.G. (moglie del ricorrente), in proprio e nella duplice qualità di esercente la potestà genitoriale sui detti minori.
2. All’istanza di correzione, di cui i ricorrenti hanno richiesto la notificazione soltanto all’Azienda ed al B. non v’è stata resistenza dei due soggetti intimati, nei cui confronti la notifica appare, peraltro, indirizzata correttamente personalmente, dato che, essi, essendo rimasti contumaci nel giudizio di regolamento, avevano diritto di ricevere la notifica solo personalmente.
3. Dovendosi il ricorso trattare ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. giusta l’art. 391-bis c.p.p., comma 2, veniva redatta relazione, che veniva notificata all’avvocato dell’istante unitamente al decreto di fissazione dell’odierna adunanza.
Considerato quanto segue:
1. Nella relazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. si sono svolte le seguenti considerazioni:
“(…) 3. L’istanza di correzione – che deve essere decida a norma dell’art. 380-bis c.p.c. e non con decreto, come postula in prima battuta il ricorso, sollecitando poteri legislativi della Corte alla stregua del principi di “economicità” dei giudizi – appare inammissibile.
La parte istante del regolamento di competenza deciso dall’ordinanza n. 8992 del 2014 era dal punto di vista formale impersonata da D. L.G. in proprio e nella qualità di legale rappresentante dei figli minori, mentre parti sostanziali erano sia lo stesso D. L.G., sia i due figli minori.
Ne segue che, se la cessazione del potere di rappresentanza della figlia M. in capo al padre può giustificare che il ricorso per correzione sia proposto da essa personalmente e non più dal padre per suo conto, per quanto attiene al figlio G., stante la persistenza della sua situazione di incapacità derivane dalla minore età ed in assenza di situazioni che evidenzino la cessazione della potestà in capo al padre, avrebbe dovuto essere proposto da costui come parte formale, dato che egli aveva esercitato la rappresentanza per conto del figlio nel giudizio di regolamento.
Viceversa, l’istanza di correzione è stata inammissibilmente proposta dalla madre, che nel giudizio di regolamento era parte intervenuta, sebbene anche in rappresentanza del figlio.
Ne deriva che la parte formale e sostanziale che ha proposto l’istanza di correzione non si identifica in quella che avrebbe dovuto proporla.
Il ricorso sembrerebbe, pertanto, inammissibile.
4. Ove il Collegio reputasse che un ricorso per correzione di decisione della Corte di cassazione resa nei confronti di una parte sostanziale e formale possa proporsi con una variazione della rappresentanza formale sebbene non giustificata da un evento che abbia fatto cessare, dopo la decisione da correggersi, il potere di chi aveva la rappresentanza formale, l’istanza -qualora vengano prodotti gli avvisi di ricevimento agli intimati relativi alla notificazione personale nei loro confronti – potrebbe essere accolta, in quanto effettivamente nell’ordinanza di decisione del regolamento di competenza gli esborsi sono stati liquidati erroneamente, come si evidenzia nel ricorso per correzione.
La correzione potrebbe disporsi intendendo che la proposizione del ricorso quale legale rappresentante del figlio minore D.L. G. sia stata rituale.
L’istanza di correzione in proprio proposta dalla D.L., viceversa sarebbe da dichiarare inammissibile, perché la stessa era parte resistente nel giudizio di regolamento e, dunque, non fu destinataria attiva della condanna alle spese, che anzi furono compensate quanto alla sua posizione.”.
2. Il Collegio rileva in primo luogo che sono stati prodotti gli avvisi di ricevimento relativi alla notifica all’Azienda ed al B..
2.1. Rileva, quindi, che è condivisibile la seconda delle ipotesi di soluzione del ricorso prospettata dalla relazione.
La prima ipotesi non considera che, prevedendo l’art. 391 -bis c.p.c. come forma di introduzione dell’istanza di correzione quella di un ricorso da farsi ai sensi degli artt. 365 c.p.c. e segg. e, dunque, la proposizione di un nuovo ricorso, deve reputarsi che la rappresentanza formale con cui, nel giudizio di cassazione deciso con il provvedimento di cui si chiede la correzione, ha, in ipotesi, agito in detto giudizio il soggetto che ne è stato parte e che chiede la correzione possa mutare in occasione della presentazione del ricorso per correzione e ciò indipendentemente dal caso, adombrato dalla relazione, della cessazione in capo a chi quel soggetto aveva formalmente rappresentato del potere di rappresentanza allora esercitato.
La ragione è appunto che il ricorso per correzione è un nuovo ricorso e, pertanto, la rappresentanza formale della parte sostanziale che lo proponga bene può essere assunta, come lo è stato nella specie, da altro soggetto.
Ne deriva che – sulla base del principio di diritto secondo cui, qualora nel giudizio di cassazione una parte abbia agito tramite un rappresentante formale, la proposizione da parte sua del ricorso per correzione di errore materiale contro il provvedimento assunto in quel giudizio, può avvenire anche tramite un rappresentante formale diverso – nella specie deve ritenersi rituale l’assunzione da parte della C. della rappresentanza formale del figlio minore D. L.G., che era già stata assunta nel giudizio in cui è stato emesso il provvedimento di cui si insta la correzione dal padre D.L.G..
Il ricorso è, pertanto, ammissibile in quanto proposto dalla C. come legale rappresentante del figlio minore D.L. G., da D.L.G. in proprio e da D.L.M. in proprio (per essere ormai divenuta maggiorenne).
Il ricorso proposto in proprio della C. è invece inammissibile per la ragione indicata nella relazione.
2.2. Il ricorso così ritenuto ammissibile appare tuttavia, al contrario di quanto aveva ipotizzato la relazione, infondato e deve essere rigettato, in quanto è stato proposto al di fuori di una configurabilità della situazione di errore materiale supposta dall’art. 391 – bis c.p.c..
Nel ricorso si lamenta, infatti, che nel provvedimento impugnato vi sarebbe stato un errore materiale, là dove l’importo degli esborsi è stato liquidato in Euro 200,00 mentre nell’ambito della determinazione degli stessi si sarebbe dovuto tenere conto del versamento da parte dei ricorrenti del ricorso deciso con detto provvedimento dell’importo di Euro 1.076,00 a titolo di c.d.
contributo unificato e del pagamento di Euro 22,83 per le notifiche, sicché il dovuto per quel titolo sarebbe stato pari ad Euro 1.098,83.
Senonché, l’espresso riferimento ad un importo degli esborsi effettuato dal provvedimento impugnato, se vale certamente a comprendere in esso esborsi ritenuti dalla Corte come naturalmente connaturati alla proposizione del ricorso e liquidati in via forfettaria (come la somma sborsata per le notifiche, in mancanza di evidenziazione con una nota delle spese, come ora impone l’art. 2 del d.m. n. 55 del 2014, che, peraltro, non era ancora in vigore al momento della pronuncia dell’ordinanza di cui si chiede la correzione), non esclude in alcun modo che il provvedimento stesso, in quanto recante la condanna alle spese e per ciò solo, si debba intendere come giustificativo anche della imposizione a carico degli allora intimati B. ed Azienda Ospedaliera dell’obbligo di rifusione della somma sborsata per il contributo unificato.
Infatti, poiché “il contributo unificato atti giudiziari, di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, costituisce un’obbligazione “ex lege” di importo predeterminato, gravante sulla parte soccombente per effetto della stessa condanna alle spese, con la conseguenza che il giudice non è tenuto a liquidarne autonomamente il relativo ammontare” (Cass. (ord.) n. 21207 del 2013) e, d’altro canto, la somma relativa è risultante da un pagamento che risulta evidenziato all’ufficio che riceve l’iscrizione a ruolo dell’affare (ed il cui cancelliere deve controllarne la congruità), si deve ritenere che, allorquando la statuizione sulla condanna alle spese a favore di chi l’abbia versato, ancorchè individui come dovuta una somma a titolo di esborsi (cioè di spese vive) che abbia, come nella specie, determinato forfettariamente nel regime anteriore al d.m. n. 55 del 2014, e che non risulti, per la sua entità, comprensiva dell’importo corrisposto dalla parte vittoriosa a titolo di contributo unificato, essa possa e debba essere intesa non già nel senso che la decisione abbia commesso un errore materiale nella determinazione degli esborsi sostenuti dalla parte vittoriosa (errore che, peraltro, si concreterebbe non tanto in una omissione di pronuncia, concetto estraneo alla statuizione sulle spese, bensì in una violazione dell’art. 91 c.p.c., quale norma che giustifica l’esenzione della parte vittoriosa dal costo del processo), bensì nel senso che abbia inteso liquidare a favore della parte vittoriosa la somma espressamente indicata in aggiunta a quella rappresentata dalla misura del contributo unificato ed in quanto relativa ad altre spese vive sopportate.
Invero, risultando detta misura da un pagamento facilmente documentabile e per un importo predeterminato, sebbene discutibile dall’Amministrazione, è palese che la decisione, anche agli effetti dell’utilizzazione come titolo esecutivo, si deve intendere come impositiva della condanna alla restituzione dell’importo pagato o integrato a seguito di determinazione dell’Amministrazione.
In altri termini la natura stessa del contributo unificato e le modalità del suo versamento in correlazione con l’iscrizione a ruolo e della sua definitiva determinazione con poteri riconosciuti all’ufficio di cancelleria, consentono di intendere la decisione che pure formalmente non abbia condannato al pagamento in favore della parte vittoriosa come decisione senz’altro giustificativa, anche sotto il profilo dell’efficacia di titolo esecutivo, di quella condanna, come se si trattasse di una condanna implicita.
La facile documentabilità dell’importo e la correlazione di essa ad un accertamento dell’Amministrazione palesa d’altro canto che nella specie l’individuazione della sussistenza del titolo esecutivo non sfugge alla formalità che lo deve contraddistinguere.
Nel caso che si giudica, come s’è detto, non veniva in rilievo il d.m. n. 55 del 2014, entrato in vigore successivamente, ma le considerazioni espresse possono riproporsi anche con riferimento al caso in cui, nella sua vigenza, la condanna alle spese venga disposta senza alcun riferimento all’imposizione dell’onere di rimborso del contributo unificato pagato dalla parte vittoriosa.
È vero, infatti, che l’art. 2 a proposto della liquidazione delle spese prevede ora che esse debbano essere documentate e comunque stabilisce, in aggiunta, la debenza di un rimborso forfettario per le spese generali commisurato nel 15% del compenso totale per le prestazioni, ma l’onere di documentazione delle spese non si può intendere comprensivo di quello relativo alla sopportazione del pagamento del contributo unificato, giacché, essendo avvenuto il pagamento presso l’ufficio adito e, come s’è detto, con poteri di accertamento del medesimo, sarebbe del tutto illogico pretendere che la parte debba documentare anche detto pagamento, che è rilevabile tramite il fascicolo d’ufficio.
Ne segue che deve essere affermato il principio di diritto secondo cui, qualora il provvedimento giudiziale rechi la condanna alle spese giudiziali e nell’ambito di essa non faccia alcun riferimento alla somma pagata a titolo di contributo unificato dalla parte vittoriosa, la statuizione di condanna (nel regime del d.m. n. 55 del 2014 eventualmente anche recante condanna alle spese documentate diverse da quella del contributo e nel regime anteriore eventualmente recante la liquidazione di una somma per esborsi forfettariamente determinata inidonea a comprendere il contributo) si deve intendere estesa implicitamente, al di là della mancanza formale, anche alla imposizione della restituzione della somma corrisposta per quel titolo, il cui pagamento sarà documentabile amiche in sede di esecutiva tramite la documentazione relativa al versamento.
3. Il ricorso della C. in proprio è, pertanto dichiarato inammissibile, mentre quello della stessa C., come legale rappresentante di D.L.G., di D.L.G. e di D. L.M. sono rigettati.
Giusta le svolte considerazioni, la condanna alle spese presente nell’ordinanza 8992 del 2014 andrà, naturalmente, intesa come comprensiva anche dell’imposizione ai soccombenti dell’obbligo di restituzione della somma pagata a titolo di contributo unificato opportunamente documentata.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso di C.G. in proprio. Rigetta il ricorso di C.G., come legale rappresentante di D.L.G., di D.L.G. e di D. L.M..
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile-3, il 10 giugno 2015.
Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2015

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