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Home»Aree tematiche di MioLegale.it»Civile e procedura civile
Civile e procedura civile Sentenze

Cassazione civile, sez. VI, 28 novembre 2013, n. 26696

Redazionedi Redazione28 Novembre 2013
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RITENUTO IN FATTO
che la Corte d’appello di Messina, con decreto pubblicato in data 15 maggio 2012, in parziale accoglimento del ricorso in data 27 gennaio 2010, ha condannato il Ministero dell’economia e delle finanze a corrispondere alla ricorrente V.G. l’importo di Euro 4.900, oltre interessi legali e spese, a titolo di equa riparazione, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, per l’irragionevole durata di un giudizio amministrativo svoltosi dinanzi al TAR Sicilia, sezione distaccata di Catania, nei confronti della AUSL n. (OMISSIS) per ottenere la corresponsione dell’indennità di fine servizio per il periodo lavorativo non di ruolo, processo iniziato nel gennaio 1996 e definito con decreto di perenzione del 22 febbraio 2012;
che la Corte territoriale, premesso che nel giudizio presupposto non è mai stata presentata l’istanza di prelievo, ha rilevato che l’eccedenza rispetto al termine ragionevole di tre anni, maturata fino alla data della pronuncia del decreto di perenzione, sarebbe di tredici anni;
che tuttavia, nella specie, la Corte d’appello, essendo stata dichiarata la perenzione del ricorso, ha escluso la sussistenza del danno per la protrazione ultradecennale del ricorso, sicché ha circoscritto l’equa riparazione entro i dieci anni dal deposito del ricorso e detratto i tre anni di durata ragionevole;
che, in punto di quantum, la Corte d’appello ha riconosciuto “un danno valutato in Euro 1.000 per il primo anno e a scalare di 100 Euro per ogni anno successivo”;
che per la cassazione del decreto della Corte d’appello la V. ha proposto ricorso, con atto notificato il 4 gennaio 2013, sulla base di un motivo, illustrato con memoria;
che il Ministero intimato ha resistito con controricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
che il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione in forma semplificata;
Considerato che deve essere preliminarmente esaminata l’eccezione di inammissibilità del controricorso, formulata dalla difesa della ricorrente con la memoria illustrativa e ribadita in sede di discussione orale, sul rilievo che la notificazione dell’atto è stata effettuata presso la cancelleria di questa Corte, e ciò nonostante che nel ricorso fosse indicato l’indirizzo di posta elettronica certificata;
che l’eccezione è fondata;
che, ai sensi dell’art. 370 cod. proc. civ., “la parte contro la quale il ricorso è diretto, se intende contraddire, deve farlo mediante controricorso da notificarsi al ricorrente nel domicilio eletto entro venti giorni dalla scadenza del termine stabilito per il deposito del ricorso” (comma 1) e “al controricorso si applicano le norme degli artt. 365 e 366, in quanto è possibile” (comma 2);
che, ai sensi dell’art. 366 cod. proc. civ., comma 2 (nel testo introdotto dalla L. n. 183 del 2011, applicabile ratione temporis trattandosi di ricorso notificato il 4 gennaio 2013), “se il ricorrente non ha eletto domicilio in Roma ovvero non ha indicato l’indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine, le notificazioni gli sono fatte presso la cancelleria della Corte di Cassazione”;
che in relazione a tale disposizione deve evidenziarsi come la possibilità della notificazione di atti presso la cancelleria della Corte di Cassazione sia subordinata alla duplice condizione della mancata elezione di domicilio in Roma da parte del ricorrente e della mancata indicazione, sempre da parte del ricorrente, dell’indirizzo di posta elettronica certificata;
che, ove questo secondo requisito sussista, si deve ritenere che invece il destinatario della notificazione del ricorso che intenda a sua volta notificare il controricorso non possa avvalersi della notificazione presso la cancelleria della Corte, essendo egli tenuto ad eseguire la notificazione in forma telematica;
che del resto, le Sezioni Unite di questa Corte, nel ribadire la perdurante operatività del R.D. n. 37 del 1934, art. 82 – secondo cui gli avvocati, i quali esercitano il proprio ufficio in un giudizio che si svolge fuori della circoscrizione del tribunale al quale sono assegnati, devono, all’atto della costituzione nel giudizio stesso, eleggere domicilio nel luogo dove ha sede l’autorità giudiziaria presso la quale il giudizio è in corso, intendendosi, in caso di mancato adempimento di detto onere, lo stesso eletto presso la cancelleria dell’autorità giudiziaria adita – hanno tuttavia precisato che “a partire dalla data di entrata in vigore delle modifiche degli artt. 125 e 366 cod. proc. civ., apportate dalla L. 12 novembre 2011, n. 183, art. 25, esigenze di coerenza sistematica e d’interpretazione costituzionalmente orientata inducono a ritenere che, nel mutato contesto normativo, la domiciliazione ex lege presso la cancelleria dell’autorità giudiziaria, innanzi alla quale è in corso il giudizio, ai sensi del R.D. n. 37 del 1934, art. 82, consegue soltanto ove il difensore, non adempiendo all’obbligo prescritto dall’art. 125 cod. proc. civ., per gli atti di parte e dall’art. 366 cod. proc. civ., specificamente per il giudizio di cassazione, non abbia indicato l’indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine” (Cass., S.U., n. 10143 del 2012);
che, dunque, il controricorso, notificato presso la cancelleria di questa Corte sull’erroneo presupposto della sussistenza dei concorrenti requisiti della mancanza di elezione di domicilio e della omessa indicazione della posta elettronica certificata da parte della ricorrente, va dichiarato inammissibile;
che, passando al merito, con il motivo (violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 6, par. 1, della CEDU) ci si duole dell’erronea individuazione della porzione indennizzabile del segmento temporale di irragionevole durata per il quale si era complessivamente protratto il giudizio amministrativo presupposto;
che il motivo è fondato, nei termini di seguito precisati ;
che – premesso che nella specie (a differenza di quanto opinato dalla Corte d’appello) l’istanza di prelievo è stata in effetti ritualmente presentata dall’interessata in data 14 settembre 2009 unitamente alla reiterazione della domanda di fissazione dell’udienza di discussione – occorre rilevare che nella specie ha errato la Corte a computare soltanto il primo decennio di durata del giudizio presupposto: infatti, la perenzione del giudizio amministrativo è stata disposta (senza essere preceduta dall’avviso di perenzione di cui alla L. n. 205 del 2000, art. 9) ai sensi del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, art. 1, allegato 3, in tema di definizione dei ricorsi pendenti da più di cinque anni alla data di entrata in vigore del codice del processo amministrativo;
che il decreto impugnato è cassato in relazione alla censura accolta;
che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito;
che nel caso di specie, infatti, dallo stesso provvedimento impugnato emerge che la durata complessiva del giudizio amministrativo, fino alla data di introduzione del giudizio di equa riparazione è stata (dal gennaio 1996 al gennaio 2010) di circa quattordici anni;
detratto il termine ragionevole, stimato in tre anni, la durata non ragionevole risulta essere stata di circa undici anni;
che alla luce dell’accertata irragionevole durata del giudizio, alla V. spetta un indennizzo che va liquidato sulla base di Euro 700 per anno di ritardo (importo che questa Corte ritiene adeguato in relazione alla posta in gioco del giudizio presupposto e, comunque, alla sopraggiunta definizione di esso con decreto di perenzione) e quindi in complessivi Euro 7.700;
che le spese del doppio grado, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza;
che le spese vanno distratte in favore del difensore della ricorrente, dichiaratosene antistatario.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero dell’economia e delle finanze al pagamento, in favore di V. G., della somma di Euro 7.700, oltre interessi legali dalla domanda al saldo; condanna il Ministero alla rifusione delle spese del giudizio di merito, liquidate in complessivi Euro 1.300 (di cui Euro 640 per diritti ed Euro 620 per onorario), oltre a spese generali e ad accessori di legge, e di legittimità, liquidate in Euro 606,25, di cui Euro 506,25 per compensi, oltre ad accessori di legge. Ordina la distrazione delle spese di entrambi i gradi in favore dell’Avv. Fabrizio Mobilia, dichiaratosene antistatario.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 12 novembre 2013.
Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2013

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