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Civile e procedura civile Famiglia Successioni Sentenze

Cassazione civile, sez. VI, 14 aprile 2017, n. 9713

Redazionedi Redazione20 Aprile 2017
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iscrizione contemporanea a due albi professionali

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
M.E. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Bolzano – sezione distaccata di Brunico, F.E. e M.R., deducendo di essere proprietario della quota di 2/36 del maso chiuso in (OMISSIS) del Comune di (OMISSIS), giusta certificato di eredità n. (OMISSIS) e certificato integrativo n. 1877/98 emessi dal Pretore di Brunico, in quanto erede dell’originario comproprietario Fr.An., deceduto in data (OMISSIS).
Deduceva ancora che i convenuti erano comproprietari delle altre quote del maso, ma che l’istante essendo coltivatore diretto ed unico erede di Fr.An., aveva i requisiti per procedere all’assunzione del maso, posto che tutti gli altri coeredi avevano ceduto le loro quote al defunto M.M. ed al convenuto M.R..
Poiché nessuno degli altri comproprietari risultava essere erede del Fr., originario proprietario del maso chiuso, l’attore aveva tutti i requisiti preferenziali per la richiesta assunzione, e concludeva quindi per l’assegnazione della proprietà esclusiva del bene, con la determinazione del prezzo di assunzione.
Si costituiva il solo M.R., che contestava la fondatezza della domanda, eccependo che il bene aveva perso le caratteristiche del maso, e che in ogni caso il diritto dell’attore risultava prescritto.
Nel corso del giudizio interveniva la Banca Popolare dell’Alto Adige la quale esponeva di avere pignorato la quota di 25/36 appartenente al defunto Mo.Ma., successivamente trasferita ai convenuti, eccependo la prescrizione e la decadenza dell’attore dal diritto azionato.
Il Tribunale con la sentenza n. 354 dell’8 maggio 2014 accoglieva le eccezioni di prescrizione e di decadenza, rigettando la domanda.
L’appello proposto da M.E. era rigettato dalla Corte d’Appello di Trento – Sezione distaccata di Bolzano con la sentenza n. 164 del 16/9/2015.
I giudici del gravame, dopo aver disatteso l’eccezione degli appellati circa l’impossibilità di poter continuare a configurare l’esistenza di un maso chiuso, in assenza della necessaria delibera di risoluzione adottata dalla competente commissione masi, ritenevano che la soluzione del Tribunale in merito all’intervenuta prescrizione del diritto di accettazione dell’eredità di Fr.An. da parte dell’attore, meritava di essere confermata.
Infatti, il diritto di assunzione del maso è legato all’accettazione dell’eredità nel termine di prescrizione decennale.
Ancorchè la presentazione di domanda di emissione del certificato ereditario comporti anche l’accettazione dell’eredità, tuttavia la domanda nel caso di specie era stata presentata da M.A., in nome e nell’interesse dell’attore.
A fronte della tesi dell’appellante secondo cui vi sarebbe stata una gestione d’affari ex art. 2018 c.c. (rectius 2028) con successiva ratifica, non appariva possibile però individuare la ratifica nella mancata impugnazione del certificato ereditario, non potendosi attribuire al mero silenzio serbato dall’attore il significato di una volontà di ratificare l’operato del terzo gestore.
M.E. ha proposto ricorso avverso la sentenza della Corte d’Appello sulla base di due motivi.
La Banca Popolare dell’Alto Adige ha resistito con controricorso, proponendo ricorso incidentale condizionato affidato ad un motivo. Gli altri intimati non hanno svolto difese in questa fase.
Il primo motivo è manifestamente infondato.
Ritiene il ricorrente che a fronte della richiesta da parte di M.A. di rilascio del certificato ereditario anche nel suo interesse, ed a fronte della notifica del decreto tavolare a tutti gli interessati, la mancata proposizione del reclamo nel termine previsto, imponga di ritenere che l’omessa reazione equivalga ad una ratifica dell’operato del gestore d’affari.
Orbene, occorre a tal fine ricordare che costituisce principio assolutamente consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui (cfr. Cass. n. 8001/2012) per i beni soggetti al regime tavolare, previsto dal R.D. 28 marzo 1929, n. 499, nelle provincie già austro-ungariche, l’efficacia costitutiva dell’iscrizione o intavolazione è limitata agli atti tra vivi, e non è estensibile ai trasferimenti per successione ereditaria, o agli acquisti a titolo originario, come l’usucapione.
In effetti, il certificato di eredità previsto, nelle provincie soggette al regime tavolare, dal R.D. 28 marzo 1929 n. 499, art. 13, fa presumere, ad ogni effetto, la qualità di erede, ai sensi dell’art. 21 del predetto R.D., ma trattasi di presunzione, che è “iuris tantum” (Cass. n. 11195/1996). Inoltre l’assenza di carattere costitutivo del sistema di pubblicità tavolare per gli acquisti per causa di morte, in relazione ai quali, anzi, come si desume dall’art. 3 del decreto istitutivo, l’intavolazione non ha nemmeno il valore di una condizione di opponibilità, occorrendo andare a verificare la qualità di erede secondo la normativa successoria (così Cass. n. 6240/1996; Cass. n. 6322/1999), esclude che la sola intavolazione del certificato di eredità compiuta su iniziativa di un determinato soggetto anche nell’interesse di altro beneficiario, possa di per sè determinare l’acquisto della qualità di erede.
In sostanza, vuol dirsi che anche in assenza di successiva opposizione al rilascio del certificato da parte del ricorrente, questi, in mancanza di una ratifica che non si esaurisca nella mera inerzia, ben avrebbe potuto contestare la propria qualità di erede, in quanto scaturente da attività svolta da terzi in assenza di un previo incarico.
Ad avviso del Collegio appare quindi corretta l’affermazione del giudice di merito che ha escluso che possa attribuirsi valenza di ratifica al mero silenzio serbato da parte del ricorrente, ben potendosi fare richiamo ai principi espressi da Cass. n. 15888/2014, che, sebbene in relazione alla presentazione della domanda di voltura catastale, ha ribadito che l’attività svolta anche da un coerede nell’interesse di altro coerede, in tanto può determinare l’accettazione dell’eredità, ancorchè in maniera tacita, in quanto, in assenza di una preventiva delega, vi sia stata la successiva ratifica.
Trattasi peraltro di principi radicati nella giurisprudenza di questa Corte, che già con la sentenza n. 5227/77 ebbe ad affermare che l’accettazione tacita di eredità può avvenire anche per mezzo di negotiorum gestio concernente i relativi beni, ove intervenga la ratifica del chiamato a norma dell’art. 2032 c.c., in quanto tutte le ragioni che si oppongono alla configurabilità di un’accettazione tacita di eredità per effetto della gestione di affari compiuta nell’interesse del chiamato e relativa ad atti di amministrazione (conf. Cass. n. 3958/1974, con specifico riferimento all’attività di intestazione di beni catastali compiuta da un coerede in favore di altro coerede, ma con il consenso di quest’ultimo), vengono meno laddove la manifestazione di volontà del gestore, non dotato di poteri rappresentativi, sia ratificata dall’erede.
Tuttavia sebbene l’attività del gestore faccia venire meno lo stato di inazione che sta a base della prescrizione, e determina la interruzione di questa, ponendo nel nulla il tempo già passato e dando inizio ad un nuovo corso del termine prescrizionale, la ratifica da parte dell’erede deve comunque intervenire nel termine decennale che va calcolato dalla cessazione dell’attività del gestore (Cass. n. 1773/1969).
Alla luce di tali principi, deve pertanto essere confermata la correttezza della soluzione alla quale è giunta la Corte d’Appello, atteso che non risulta essere stata effettuata, in epoca anteriore alla proposizione della domanda di assunzione, una ratifica da parte dell’attore dell’operato di colui che ha richiesto a suo nome il certificato di eredità, ed essendo decorso tra la data di rilascio del certificato (13 aprile 1989) e da quella della sua integrazione (25/5/1989) a quella di proposizione della domanda giudiziaria (20/12/2012) un termine abbondantemente superiore a quello decennale di prescrizione del diritto di accettare l’eredità.
Il secondo motivo è invece inammissibile in quanto si denunzia l’omesso esame di in fatto decisivo per il giudizio posto che il ricorrente aveva impugnato, con uno specifico motivo di appello, la sentenza del Tribunale anche nella parte in cui aveva ritenuto applicabile la decadenza biennale del diritto di assunzione del maso.
La Corte avrebbe tuttavia omesso di statuire su tale motivo di gravame. Va ancora rilevato che in realtà il giudice di appello ha volutamente omesso di esaminare le contestazioni avverso tale seconda ratio decidendi del Tribunale, incentrando la sua attenzione unicamente sul profilo della prescrizione del diritto di accettare l’eredità da parte dell’attore, reputando che lo stesso, ove ritenuto fondato, avrebbe avuto portata assorbente circa la ulteriore questione della decadenza. L’infondatezza del primo motivo e la correttezza della conclusione in punto di prescrizione del diritto di accettazione dell’eredità, che in maniera autonoma giustifica il rigetto della domanda, esimevano pertanto la Corte distrettuale dal dovere esaminare il motivo di gravame relativo al secondo argomento utilizzato dal Tribunale per respingere la domanda del M..
Il rigetto del ricorso principale determina poi l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato avanzato dalla Banca Popolare dell’Alto Adige, con il quale si deduce l’illegittimità costituzionale dell’art. 35A del DPGP n. 32/1978 (TU delle leggi provinciali sull’ordinamento dei masi chiusi) per contrasto con l’art. 117 Cost., nella parte in cui, prevedendo che il diritto di assumere il maso non si estingue per prescrizione o per decadenza, ma solo in caso di prescrizione del diritto di accettare l’eredità, avrebbe dettato una disciplina innovativa rispetto alla tradizione giuridica dell’istituto, invadendo pertanto il campo riservato alla legislazione statale.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Nulla per le spese per l’intimato che non ha svolto attività difensiva. Non ricorrono le condizioni per l’applicazione dell’art. 13, comma 1 quater, del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, trattandosi di procedimento esente dal pagamento del contributo in questione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso incidentale, e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 4.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 3 marzo 2017.
Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2017

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