Fatto
1. Con ordinanza del 16.6.2015, il Tribunale del riesame di Brescia confermava il provvedimento reso in data 6.6.2015, con il quale il G.I.P. del Tribunale di Bergamo aveva applicato a P.P. la misura della custodia in carcere per il reato di detenzione illegale di armi clandestine, commesso in concorso con PI. T. (nei cui confronti veniva confermata la misura non custodiale dell’obbligo di dimora).
1.1. In via preliminare, il Tribunale rigettava l’eccezione di nullità dell’udienza camerale per omessa traduzione del P., che ne aveva fatto richiesta.
Osservavano i Giudici bresciani che la disciplina introdotta con la L. n. 47/2015, modificativa dell’art. 309 c.p.p. (commi 6 e 8 bis), aveva riordinato la materia: da un lato, riconoscendo un diritto di partecipazione uguale per ciascun indagato, cioè senza differenze originate dal luogo di detenzione; dall’altro, risolvendo in radice ogni questione fattuale sulla tempestività o meno della richiesta dell’indagato, attraverso la previsione che imponeva la veicolazione della richiesta stessa con l’istanza di riesame del provvedimento cautelare.
L’individuazione legislativa del momento preciso in cui deve essere esercitato il diritto in questione valeva a scongiurare soluzioni differenziate sulla base di una nozione, invero assai discrezionale, di tempestività della domanda.
Secondo il Tribunale, l’obiezione di una difficoltà dell’indagato circa la conoscenza di questo specifico obbligo, qualora si fosse personalmente attivato per proporre l’impugnazione, non era dirimente, atteso che la presentazione personale dell’impugnazione non esonerava l’interessato dal rispetto delle forme procedimentali, Né lo rendeva immune dalle conseguenze di carattere preclusivo discendenti dall’inosservanza delle norme procedurali prescritte.
Ad avviso del Giudice a quo, neppure valeva l’obiezione di una compressione dei diritti dell’indagato in ragione di un adempimento ulteriore ristretto nelle suddette forme.
Invero, a differenza del sistema pregresso, la richiesta di comparizione non doveva essere formulata personalmente dall’interessato, essendo sufficiente il suo inserimento nel ricorso, ancorchè presentato dal difensore. Ciò era dato desumere dal disposto dell’art. 309, comma 6, che, a differenza dell’art. 309 c.p.p., comma 9 bis, non imponeva che la richiesta di comparire fosse avanzata personalmente dall’indagato (tale avverbio nel comma 6 essendo riferito alla comparizione); pertanto, proprio in ragione dello stretto collegamento instaurato tra atto d’impugnazione e richiesta di comparizione, doveva ritenersi che la relativa domanda potesse essere inserita anche nel ricorso sottoscritto esclusivamente dal difensore.
Non avendo l’indagato presentato la richiesta di partecipare all’udienza camerale contestualmente all’istanza di riesame, l’eccezione di nullità dedotta doveva essere disattesa.
1.2. Quanto alle esigenze cautelari, il Tribunale del riesame ravvisava nei confronti del P. il rischio di recidiva, fondandolo sulle modalità dei fatti e sulla personalità dell’indagato.
Sotto il primo profilo, si sottolineava il rilevante allarme sociale destato dal reato di detenzione illegale di armi, sia perché sintomatico di collegamenti con circuiti criminali di spessore, sia perché prodromico all’uso delle armi stesse per la commissione di ulteriori delitti.
Sotto il secondo profilo, si valorizzavano i numerosi precedenti penali del P. e la sua condizione di sorvegliato speciale.
1.2.1. L’esclusiva idoneità del presidio di massimo rigore veniva ancorata non solo alla prognosi negativa circa l’eventuale rispetto, da parte dell’indagato, delle prescrizioni connesse ad eventuali misure gradate (seppure con gli strumenti di controllo elettronici), atteso che egli aveva commesso il reato oggetto di riesame quando era sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale, ma anche alla inidoneità del domicilio indicato, trattandosi dell’abitazione sovrastante il locale dove erano state rinvenute le armi contestate.
2. Ha proposto ricorso per cassazione P.P. per il tramite del difensore di fiducia.
2.1. Con il primo motivo, si deduce violazione di legge in ordine alla mancata partecipazione all’udienza camerale dell’indagato che ne aveva fatto richiesta.
Il provvedimento del Tribunale appariva in contrasto con l’intento de legislatore che, mediante la nuova disciplina di cui alla L. n. 47 del 2015, aveva rafforzato il diritto all’autodifesa dell’indagato (attraverso il diritto a comparire personalmente all’udienza e ad ottenere il differimento di quest’ultima per giustificati motivi);
inoltre, risultava difforme anche dalla normativa sul procedimento camerale in forza della quale la decadenza dalla partecipazione ed audizione dell’indagato era da collegarsi al termine di cinque giorni antecedenti la data dell’udienza.
Infine, attraverso l’affermata interpretazione il Collegio aveva inibito all’indagato l’esercizio del diritto di enunciare motivi nuovi all’udienza camerale.
2.2, Con il secondo motivo, si denuncia omessa motivazione sulle esigenze cautelari. Omettendo di rispondere alle obiezioni del difensore circa la necessità di motivare sulla concretezza ed attualità del pericolo di recidiva, il Tribunale ne aveva ravvisato la sussistenza richiamando pedissequamente la motivazione del primo Giudice.
2.3. Con il terzo motivo, si lamenta mancanza di motivazione circa la ritenuta esclusiva idoneità della custodia in carcere.
Il Tribunale di Brescia non aveva speso una parola sull’inidoneità di misure meno afflittive.
Quanto alla affermata inidoneità del luogo degli eventuali arresti domiciliari, il Collegio non aveva neanche valutato la circostanza che il locale, nel frattempo, era stato chiuso e riconsegnata l’attività ai legittimi proprietari, sicché il paventato sospetto non aveva ragione di esistere.
Infine, diversamente da quanto ritenuto nel provvedimento impugnato, l’indagato aveva sempre rispettato le prescrizioni impostegli con la misura della sorveglianza speciale, da ultimo quella dell’obbligo di dimora nel comune di residenza.
Diritto
1. Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.
2. Il primo motivo porta all’esame di questa Corte un tema ermeneutico nuovo, originato dalla modifica di recente apportata dell’art. 309 c.p.p., commi 6 e 8 bis, dalla L. 16 aprile 2015, n. 47, art. 11 (recante “Modifiche al codice di procedura penale in materia di misure cautelari personali. Modifiche alla L. 26 luglio 1975, n. 354, in materia di visita a persone affette da handicap in situazione di gravità”), entrata in vigore in data 8 maggio 2015.
L’art. 11 della legge citata ha, da un lato, modificato dell’art. 309, il comma 6, finora dedicato esclusivamente alle modalità di presentazione (contestuale o successiva) dei motivi di gravame, disponendo, in particolare, che, con la richiesta di riesame, oltre a poter essere enunciati anche i motivi, “l’imputato può chiedere di comparire personalmente”.
D’altro lato, il medesimo art. 11 ha aggiunto al comma 8 bis dell’art. 309, finora dedicato alla legittimazione del P.M. richiedente la misura a partecipare all’udienza camerale, il seguente ulteriore periodo: “L’imputato che ne abbia fatto richiesta ai sensi del comma 6 ha diritto di comparire personalmente”.
2.1. La descritta novità normativa si innesta in un sistema precedentemente regolato dell’art. 309 c.p.p., comma 8, mediante rinvio alle disposizioni dettate dall’art. 127 c.p.p., che disegna un modello generale a partecipazione non necessaria: in tale modello, l’interessato ha diritto ad essere sentito se compare, mentre, qualora sia detenuto o internato in luogo posto fuori dalla circoscrizione e ne fa richiesta, ha diritto di essere sentito prima dell’udienza camerale dal magistrato di sorveglianza del luogo (art. 127 c.p.p., comma 3).
In tale sistema, l’orientamento maggioritario di questa Corte ha espresso il principio per cui la mancata traduzione all’udienza camerale del detenuto fuori distretto (che ne abbia fatto richiesta) è causa di nullità assoluta e insanabile, senza che da ciò, derivi, peraltro, la perdita di efficacia della misura (tra le più recenti, vedi Sez. 6^, n. 21849 del 21/5/2015, Farina, Rv. 263630;
vedi anche Sez. 6^, n. 44415 del 17/10/2013, Blam, Rv. 256689; Sez. 6^, n. 1099 del 4/12/2006, dep. 2007, Di Girolamo, Rv. 2356211; in tema di giudizio camerale d’appello ex art. 599 c.p.p., vedi Sez. U, n. 35399 del 24/6/2010, F., Rv. 247835).
Peraltro, va rilevato che in talune recenti decisioni si è ancorato il diritto di presenziare del detenuto fuori distretto alla necessità “sostanziale” che la richiesta sia formulata “in modo tale da rendere manifesta la volontà di rendere dichiarazioni su questioni di fatto concernenti la propria condotta” (Sez. 2^, n. 6023 del 5/11/2014, dep. 2015, Di Telia, Rv. 262312).
Quanto allo specifico profilo della necessaria tempestività della richiesta di traduzione, si è posto in evidenza che essa non deve pregiudicare la celerità del procedimento e che la sua presentazione deve avvenire “nella ragionevole immediatezza della ricezione della notificazione dell’avviso della data fissata per l’udienza camerale dinanzi al Tribunale” (Sez. 6^, n. 42710 del 4/10/2011, Ventrici, Rv. 251277; Sez. 2^, n. 20883 del 30/4/2013, Campo, Rv. 255819.
A tal proposito, si è precisato che, in considerazione della “peculiarità della procedura di riesame, caratterizzata dalla ristrettezza dei tempi e dalla rilevanza determinante della loro osservanza ai fini dell’efficacia stessa della decisione, solo tale “ragionevole immediatezza” (che dovrà essere oggetto di specifica argomentazione, ove necessario) individua il punto di bilanciamento tra il diritto fondamentale dell’imputato di essere presente e la necessità di rispettare le caratteristiche di snellezza e celerità del rito e di assicurare che l’esito del procedimento non sia influenzato da condotte dell’imputato maliziose o non giustificate” (n. 42710/2011 cit.).
2.2. In tale contesto, dunque, sono intervenute le modifiche normative in esame, il senso delle quali sembra quello di affermare, in modo inequivoco, il diritto del ricorrente di comparire all’udienza camerale fissata per la trattazione, anche se eventualmente detenuto fuori distretto; la possibilità di esercitare tale diritto, peraltro, risulta strettamente correlata, per l’impugnante detenuto o internato, alla formulazione della richiesta nell’atto di riesame.
2.3. Le obiezioni palesate dal ricorrente, condivise da parte della dottrina, seppure ragionevolmente argomentate, ad avviso del Collegio debbono essere superate alla luce di un’interpretazione letterale e sistematica del nuovo dato normativo.
Vi è, anzi tutto, un elemento ineludibile da cui partire, ed è l’inequivoco significato letterale delle disposizioni in commento, che subordinano il “diritto di comparire personalmente” attribuito all’”imputato” – espressione, quest’ultima, che, ovviamente, va intesa estensivamente ricomprendendovi anche l’”indagato”, ai sensi dell’art. 61 c.p.p., comma 1, – all’adempimento/condizione di averne fatto richiesta “ai sensi del comma 6”, ovvero contestualmente alla istanza di riesame (“Con la richiesta di riesame…l’imputato può chiedere di comparire personalmente”).
Nel contesto di una procedura scandita da ritmi serrati come quella delineata dall’art. 309 c.p.p., tale rigorosa disposizione riveste una sua precisa coerenza, in quanto appare finalizzata a dirimere ogni incertezza, eliminando la relativa discrezionalità in capo ai giudici de libertate, in ordine alla individuazione della concreta nozione di “tempestività” (della richiesta di comparire), sulla quale la giurisprudenza di questa Corte è stata, finora, costretta a intervenire per individuare “il punto di bilanciamento tra il diritto fondamentale dell’imputato di essere presente e la necessità di rispettare le caratteristiche di snellezza e celerità del rito e di assicurare che l’esito del procedimento non sia influenzato da condotte dell’imputato maliziose o non giustificate” (vedi sopra gli arresti richiamati).
Con la novella in commento il legislatore si è, dunque, prefisso la finalità di ancorare il diritto dell’indagato detenuto o internato a comparire all’udienza ad un dato obiettivo, certo e incontrovertibile – insuscettibile di interpretazioni “elastiche” e volto a prevenire eventuali atteggiamenti dilatori e/o di mera ostruzione – costituito dall’inserimento della richiesta di comparire nel corpo dell’istanza di riesame, che sia questa sottoscritta dall’interessato o dal suo difensore, parimenti legittimato a proporre istanza di riesame ai sensi dell’art. 309 c.p.p., comma 3, (e, in conseguenza, parimenti legittimato, ai sensi dell’art. 99 c.p.p., a presentare, per conto del suo assistito, contestuale richiesta di comparizione personale all’udienza camerale).
A opinare diversamente, disancorando, quindi, il diritto dell’interessato di comparire dalla previa “richiesta ai sensi del comma 6”, si finirebbe con il privare il comma 8 bis di un qualsivoglia ambito di pratica applicazione, facendo di detto comma una norma inutiliter data.
Non è dato ravvisare, in tale opzione ermeneutica, una portata lesiva dei diritti della difesa.
Non può ignorarsi, infatti, che l’indagato, solo pochi giorni prima dell’udienza di riesame, ha già avuto modo di esporre compiutamente le sue ragioni in sede di interrogatorio di garanzia (art. 294 c.p.p.), atto, quest’ultimo, dalla natura eminentemente difensiva, in quanto volto a consentire all’indiziato di fare presenti le circostanze adducibili a suo favore (sotto il profilo indiziario e cautelare), così da obbligare il giudice ad un controllo successivo della “tenuta” delle valutazioni operate ex ante, a fronte degli argomenti emersi in quella sede.
Questa forte accentuazione della fisionomia dell’interrogatorio di garanzia come strumento di difesa – che spiega anche la previsione del meccanismo di caducazione disciplinato dall’art. 302 c.p.p. (ogniqualvolta il giudice non proceda all’interrogatorio entro il termine perentorio di cui all’art. 294 c.p.p.) – e la breve distanza temporale che lo separa dall’udienza di riesame, comportano, come conseguenza logica e sistematica, che, nella fase dell’incidente cautelare, la presenza dell’indagato assume un rilievo in chiave difensiva necessariamente di minore pregnanza, sia perché rimessa alla sua volontà, sia perché parimenti rimesso alla sua volontà è l’esercizio della facoltà di rendere spontanee dichiarazioni in udienza, sia, infine, perché dette spontanee dichiarazioni, proprio per essere rese solo qualche giorno dopo l’obbligatorio interrogatorio di garanzia, nella stragrande maggioranza dei casi non possono che risolversi nella pedissequa ripetizione di quanto già dichiarato davanti al G.I.P. o in generiche proteste d’innocenza.
Così delineata la funzione della (eventuale) presenza dell’indagato all’udienza di riesame, non può ritenersi lesiva dei diritti di difesa una disposizione, come quella in commento, che, per soddisfare le finalità più sopra illustrate e nel contesto di una procedura necessariamente celere e snella, ha ancorato il diritto dell’indagato a presenziare all’udienza alla condizione che ne faccia richiesta nel corpo dell’istanza di riesame.
D’altro canto, a fronte di norme certamente rigorose come quelle di cui ai modificati commi 6 e 8 bis dell’art. 309 c.p.p., il legislatore, con la novella del 2015, ha inteso accrescere gli strumenti a disposizione della difesa, consentendo, con l’introduzione del nuovo comma 9 bis, che, “su richiesta formulata personalmente dall’imputato entro due giorni dalla notificazione dell’avviso”, il Tribunale differisca “la data dell’udienza da un minimo di cinque ad un massimo di dieci giorni se vi sono giustificati motivi”.
Nonostante la natura prettamente tecnica delle esigenze difensive atte a fondare una richiesta di differimento del termine, il legislatore ha inteso ricollegare quest’ultima ad una manifestazione di volontà espressa direttamente dall’imputato per intuibili ragioni correlate alla delicatezza di un tema quale la privazione della libertà personale anche oltre il termine ordinario previsto dalla legge.
Anche alla luce del tenore della richiamata ultima disposizione, che, in relazione ad una questione eminentemente tecnica, ha voluto, comunque, affidarsi, in via esclusiva, all’iniziativa personale dell’imputato, non possono che disattendersi le obiezioni formulate, a sostegno di un’interpretazione meno “stringente” del combinato disposto dei commi 6 e 8 bis dell’art. 309 c.p.p., a proposito di un’iniziativa certamente meno complessa sul piano tecnico-difensivo – quella di chiedere di presenziare all’udienza di riesame contestualmente alla presentazione dell’impugnazione – rimessa a un soggetto sprovvisto delle necessarie cognizioni tecniche.
Si tratta, invero, di una scelta legislativa – finalizzata alle preminenti esigenze già illustrate – che non ignora, da un lato, che, antecedentemente alla presentazione della richiesta di riesame, un previo contatto tra indagato e difensore vi è già stato (o all’udienza di convalida dell’arresto o del fermo o in sede d’interrogatorio di garanzia dopo l’esecuzione dell’ordinanza cautelare non preceduta da arresto in flagranza o da fermo) e, dall’altro, che la richiesta di riesame (con la contestuale eventuale richiesta di partecipazione dell’indagato all’udienza camerale) può essere presentata anche dal difensore tecnico.
2.3.1. Così chiarita la portata innovativa dei commi 6 e 8-bis dell’art. 309 c.p.p., va escluso, per il carattere rigoroso caratterizzante tali disposizioni, che, come sostenuto da parte della dottrina, persisterebbe, comunque, alla luce dell’immutato comma 8 dell’art. 309 c.p.p. (con il richiamo alla forme dell’udienza celebrata ai sensi dell’art. 127 c.p.p.) in coordinamento con l’art. 101 disp. att. c.p.p., il diritto del soggetto detenuto o internato “in luogo posto fuori del circondario del tribunale competente” di essere ascoltato dal magistrato di sorveglianza, nel caso di mancata richiesta di partecipare all’udienza con l’istanza di riesame.
Atteso che la disciplina dell’udienza di riesame assume il carattere di una vera e propria lex specialis rispetto alla disciplina generale prevista dall’art. 127 c.p.p., ed è, quindi, destinata a prevalere su quest’ultima ogniqualvolta esprima una norma diversa e/o incompatibile, non vi ha dubbio che, dopo l’introduzione dei modificati commi 6 e 8 bis dell’art. 309 c.p.p., le disposizioni di cui all’art. 127 c.p.p., comma 3 e art. 101 disp. att. c.p.p., debbano intendersi non più applicabili all’udienza di riesame, in quanto, se lo fossero, comporterebbero una irragionevole “rimessione in termini” a beneficio esclusivo di chi è detenuto o internato in luogo posto fuori del circondario del Tribunale competente (che potrebbe essere ascoltato dal magistrato di sorveglianza), con iniqua penalizzazione del soggetto detenuto o internato in luogo interno al predetto circondario (che non potrebbe essere ascoltato).
2.3.2. Vale la pena, infine, di rammentare che, per il suo carattere di sotto-sistema normativo speciale, nessuna influenza dalle due disposizioni in commento subisce la disciplina di partecipazione all’udienza mediante collegamento audiovisivo prevista dall’art. 146 bis disp. att. c.p.p., per i detenuti indagati per i reati indicati dell’art. 51 c.p.p., comma 3 bis e art. 407 c.p.p., comma 2, lett. a), o sottoposti al regime penitenziario particolare di cui all’art. 41 bis Ord. Pen., disciplina che resta, pertanto, invariata.
2.4. Per quanto sinora detto, può, in conclusione, esprimersi il seguente principio di diritto, cui il Tribunale del riesame di Brescia si è correttamente conformato:
“Il combinato disposto dei commi 6 e 8-bis del novellato art. 309 c.p.p. va interpretato nel senso che il soggetto detenuto (per via del provvedimento cautelare impugnato o per altra causa) o internato, o comunque sottoposto ad altra misura privativa o limitativa della libertà personale, il quale intenda, anche per il tramite del suo difensore, esercitare il diritto di comparire personalmente all’udienza camerale, deve averne fatto richiesta nell’istanza di riesame”.
3. Manifestamente infondate sono le censure dedotte in relazione alla asserita carenza di motivazione sulle esigenze cautelari e sulla scelta della misura, avendo il Tribunale fornito, su entrambi i temi, risposta congrua ed adeguata nei termini sintetizzati nella superiore esposizione in fatto (vedi paragrafo 1.2.).
4. Il ricorso va, nel complesso, rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
Si eseguano gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2015.
Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2015