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Sentenze Penale Procedura Penale

Cassazione penale, sez. II, 25 gennaio 2023, n. 5662

Avv. Gianluca Lancianodi Avv. Gianluca Lanciano23 Febbraio 2023Aggiornato il:23 Febbraio 2023
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iscrizione contemporanea a due albi professionali

Cassazione penale, sez. II, 25 gennaio 2023, n. 5662

Fatto

1. Con sentenza in data 15/03/2022, la Corte di appello di Catanzaro confermava la pronuncia resa in primo grado dal Tribunale di Castrovillari in data 20/05/2019 che aveva condannato Z.A. alla complessiva pena di anni due di reclusione ed Euro 1.000 di multa per i reati di tentata estorsione continuata (capo A) e di lesioni personali aggravate (capo B).

2. Avverso la predetta sentenza, nell’interesse di Z.A., è stato proposto ricorso per cassazione, per il seguente unico motivi che di seguito viene enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p.: violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 420-ter e 159 c.p.p., per aver erratamente qualificato quale legittimo impedimento a comparire la mancata traduzione dell’imputato detenuto, con conseguente erronea sospensione del termine di prescrizione. La Corte territoriale ha erroneamente ritenuto di dover sospendere i termini di prescrizione con riferimenti ai rinvii delle udienze effettuati per consentire la traduzione dell’imputato, che non veniva preventivamente disposta né per l’udienza di primo grado del 16/12/2017, né per quella fissata avanti al giudice di secondo grado il 16/12/2021. Il non aver disposto la traduzione dell’imputato per le sopra indicate udienze costituisce fatto imputabile alla sola autorità giudiziaria e non alla parte, non potendosi qualificare la mancata comparizione del Z. come un suo legittimo impedimento. Da qui la maturata prescrizione del reato di cui al capo B) e la richiesta di declaratoria in tal senso.

Diritto

1. Il ricorso è parzialmente fondato ed il suo accoglimento determina le statuizioni di cui in dispositivo.

2. Il ricorrente ha censurato le determinazioni della Corte territoriale che ha così statuito: “... deve essere preliminarmente disattesa la richiesta di declaratoria di estinzione per prescrizione del reato di lesioni personali, avanzata dal Procuratore Generale e dal difensore dell’imputato in via subordinata. La fattispecie di cui agli artt. 582 e 585 c.p. è sanzionata con la pena della reclusione inferiore a sei anni, con conseguente termine minimo di prescrizione pari a sei anni e termine massimo di anni sette e mesi sei, giusto quanto disposto dagli artt. 157 e ss. c.p.p. A fronte della realizzazione del reato in data (Omissis), il termine massimo di prescrizione è maturato il 10.12.2021. A tale data vanno sommati due periodi di sospensione ex art. 159 c.p. (pari a complessivi giorni 122), dovuti ai seguenti rinvii: rinvio disposto dal Tribunale dall’udienza del 16.10.2017 all’udienza del 19.02.2018 per legittimo impedimento dell’imputato, il cui stato di detenzione per altra causa è stato comunicato in udienza dal difensore, con conseguente differimento per consentire la traduzione dalla casa circondariale (gg. 61); rinvio disposto da questa Corte dall’udienza del
16.12.2021 all’udienza del 15.03.2022 per legittimo impedimento dell’imputato, il cui stato di detenzione per altra causa è stato comunicato in udienza dal difensore, con conseguente differimento per consentire la traduzione dalla casa circondariale (gg. 61). Tenuto conto dei periodi di sospensione, il termine massimo di prescrizione per il reato di lesioni personali decorrerà quindi l’11/04/2022...”.
L’analisi del motivo impone doverose promesse.

2.1. A fronte dei due opposti orientamenti, che già in epoca antecedente all’entrata in vigore dell’attuale codice di rito si registravano in ordine alla sussistenza o meno di un onere di tempestiva comunicazione da parte dell’imputato del suo status detentionis preclusivo del giudizio contumaciale, Sez. U, n. 37483 del 26/09/2006, Arena, Rv. 234600 ha affermato il principio di diritto secondo cui “la detenzione dell’imputato per altra causa, sopravvenuta nel corso del processo e comunicata solo in udienza, integra un’ipotesi di legittimo impedimento a comparire e preclude la celebrazione del giudizio in contumacia, anche quando risulti che l’imputato medesimo avrebbe potuto informare il giudice del sopravvenuto stato di detenzione in tempo utile per la traduzione, in quanto non è configurabile a suo carico, a differenza di quanto accade per il difensore, alcun onere di tempestiva comunicazione dell’impedimento”, salvo che l’imputato stesso non acconsenta alla celebrazione dell’udienza in sua assenza o, se detenuto, rifiuti di assistervi. La soluzione individuata dalle Sezioni Unite si fonda su ragioni normative e sistematiche che si rinvengono: - quanto al diritto interno, come si è visto, nell’art. 111 Cost., novellato dalla legge Cost. 23 novembre 1999, n. 2, che ha costituzionalizzato il principio del “giusto processo” stabilendo che “ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti” e ha attribuito al Legislatore, come già sopra evidenziato, il compito di assicurare che la persona accusata “abbia la facoltà, davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, di ottenere la convocazione e l’interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell’accusa e l’acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore; sia assistita da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo”, sottolineando che “l’esercizio di tali facoltà postula la piena espansione del diritto di autodifesa, che solo la presenza della parte nel processo è in grado di assicurare; diritto che può essere oggetto di volontaria rinuncia, mediante un prestato assenso al giudizio in absentia, giammai di atti confiscatori in mancanza di quest’ultimo”; - sul versante delle norme pattizie internazionali, sia nell’art. 6, par. 3, della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo che, tra l’altro, prescrive il diritto di ogni accusato di difendersi da sé o di avere l’assistenza di un difensore di propria scelta (lett. c), di “interrogare o far interrogare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l’interrogazione dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico” (lett. e), e di “farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata in udienza” (lett. d), sia nell’art. 14, comma 3, del Patto internazionale sui diritti civili e politici che stabilisce, alla lett. d), che “ogni individuo accusato di un reato ha diritto, in posizione di piena eguaglianza ad essere presente al processo ed a difendersi personalmente o mediante un difensore di sua scelta...”, alla lett. e), il diritto dell’accusato “a interrogare o far interrogare i testimoni a carico e ad ottenere la citazione e l’interrogatorio dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico” e, alla lett. f), il diritto del medesimo “a farsi assistere gratuitamente da un interprete, nel caso in cui egli non comprenda o non parli la lingua usata in udienza”. Ad avviso delle Sezioni unite Arena, le norme interne e pattizie conducono alla ineludibile conclusione che “la accertata presenza di un legittimo impedimento, del quale il giudice sia comunque cognito, in mancanza di qualsivoglia dichiarazione di rinuncia, non sortisce, evidentemente, alcun effetto abdicativo, ed in mancanza di un atto di tal genere la dichiarazione di contumacia è illegittimamente resa”, sicché “ove il giudice accerti la sussistenza di un legittimo impedimento dell’imputato a comparire e la mancanza di una sua dichiarazione di volontà che il processo si svolga in sua assenza, tanto dà di per sé contezza della mancanza di un atto di rinuncia dell’imputato medesimo al suo diritto di autodifesa, che preclude la dichiarazione di contumacia ai sensi dell’art. 420-quater c.p.p.“, non ricorrendo “alcun onere (normativamente non previsto) di previa comunicazione da parte dell’imputato del suo legittimo impedimento”.

2.2. La configurabilità in capo al solo difensore di un onere di tempestiva comunicazione dell’impedimento a comparire all’autorità giudiziaria e, per converso, la mancanza di un analogo onere per l’imputato anche nei casi in cui emerga che questi avrebbe potuto informare del proprio status detentionis il giudice in tempo utile per la traduzione, è stata ribadita da Sez. 2, n. 8098 del 10/02/2016, Moccia, Rv. 266217(e, prima ancora, da Sez. 4, n. 19130 del 14/10/2014, dep. 2015, Di Rocco, Rv. 263490).
Un’autorevole espressione di quella parte della giurisprudenza di legittimità che ravvisa nel principio di leale collaborazione - che deve permeare i rapporti tra giudice e parti nello svolgimento dell’attività giurisdizionale - il presupposto dell’onere di comunicazione al giudice dello status detentionis in cui versa l’imputato, si rinviene nella pronuncia di Sez. 2, n. 17810 del 09/04/2015, Milani, Rv. 263532, secondo cui “in tema di impedimento a comparire, può legittimamente procedersi in contumacia dell’imputato - citato a giudizio in stato di libertà e successivamente tratto in arresto e detenuto per altra causa - quando di tale sopravvenuta condizione il giudice non sia stato posto a conoscenza e l’imputato, o il suo difensore, pur potendo, non si siano diligentemente attivati per darne comunicazione all’autorità giudiziaria procedente”. I giudici, dopo aver rammentato che “l’imputato, già citato a giudizio in stato di libertà e successivamente tratto in arresto e detenuto per altra causa, versa in stato di legittimo Impedimento qualora non ne sia stata ordinata la traduzione, per cui non può procedersi in sua assenza, ove non vi sia espressa rinuncia a presenziare al giudizio, conseguendone altrimenti la nullità di tutti gli atti compiuti senza che egli abbia avuto modo di partecipare allo stesso”, hanno, tuttavia, precisato che “non è ipotizzabile che ogni volta che un imputato (che risulta libero in relazione ai fatti per cui si procede) non sia presente in udienza incombe al giudice l’onere di accertare, prima di procedere alla declaratoria di contumacia, se lo stesso sia detenuto per altra causa, ma occorre che il giudice procedente sia comunque stato posto a conoscenza dello stato di detenzione (sopravvenuto) dell’imputato”. In senso conforme a tale orientamento, si pone, altresì, Sez. 3, n. 33404 del 15/07/2015, Tota, Rv. 264204, che ha sottolineato che il principio di diligenza e leale collaborazione tra giudice e parti che deve permeare la celebrazione di un processo equo, sovrapponibile al principio di lealtà processuale,tipizzato e dunque previsto solo con riferimento al processo civile (art. 88 c.p.c.), non può ritenersi estraneo al processo penale. In fattispecie analoga, i giudici, chiamati a pronunciarsi in merito alla posizione di un imputato regolarmente citato a giudizio in stato di libertà e successivamente arrestato per altra causa, il quale aveva omesso di attivarsi tempestivamente presso l’autorità giudiziaria procedente - che non conosceva né poteva conoscere il sopravvenuto stato di detenzione - non consentendo la sua traduzione all’udienza fissata, hanno precisato che “i concetti di assoluta impossibilità, forza maggiore, etc. sono incompatibili con la mancata adozione di quel minimo di diligenza - avvisare tempestivamente l’autorità procedente - che eliminerebbe qualsiasi ostacolo alla partecipazione al giudizio dell’imputato, il quale ragionevolmente non può ignorare che l’autorità procedente non conosce il sopravvenuto stato di detenzione e quindi non disporrà la traduzione”, sicché solo se “lo stato di detenzione sopravviene a ridosso della data fissata per l’udienza, non consentendo, quindi, all’imputato di attivarsi tempestivamente per la traduzione” la situazione potrà essere fatta presente anche all’udienza e determinerà l’obbligo del giudice di rinviare ad altra udienza alla quale l’imputato dovrà essere tradotto”.
Detti principi devono rimanere fermi anche nell’attuale regime del processo in absentia, essendo rimasti immutati i presupposti per verificare l’esistenza o meno del legittimo impedimento e l’onere comunicativo imposto alla parte, anche alla luce dei principi recentemente riaffermati dalla Sezioni unite (Sez. U, n. 7635 del 30/09/2021, dep. 2022, Costantino).
2.3. Fermo quanto precede, evidenzia il Collegio come nella fattispecie, non venga in rilievo se all’assolvimento dell’onere comunicativo conseguisse o meno l’obbligo del rinvio dell’udienza per disporre la traduzione dell’imputato, atteso che a detto incombente sia il Tribunale che la Corte di appello, preso atto dell’intervenuta comunicazione, risultano avervi provveduto; viene invece in discussione se, il differimento del processo per il riconosciuto dichiarato legittimo impedimento a comparire dell’imputato dovesse comportare o meno la sospensione dei termini di prescrizione del reato. Secondo la difesa, detta conseguenza non potrebbe prodursi in danno dell’imputato che, tramite il difensore, ha assolto - sebbene solo con comunicazione all’udienza e non in epoca precedente - all’unico onere a suo carico. Ritiene la Corte territoriale, invece, che la sospensione della prescrizione sia conseguenza prevista dalla legge dell’esistenza del riconosciuto legittimo impedimento.

2.3.1. Ritiene il Collegio che le situazioni che hanno dato luogo ai due differimenti d’udienza debbano essere tenute ben distinte. Invero, mentre con riferimento al processo di primo grado, l’onere comunicativo assolto solo in sede d’udienza non poteva impedire né il differimento né il congelamento dei termini prescrizionali, non potendosi addossare a carico del Tribunale, per le ragioni dinanzi esposte, un obbligo di preventiva verifica (nel silenzio della parte fino a quel momento) della condizione (quale soggetto ancora libero o detenuto per altro in forza di titolo detentivo sopravvenuto) di un imputato fino a quel momento libero: di tal che, la mancata sospensione dei termini di prescrizione del reato, in assenza di qualsivoglia “colpa” del giudice, finirebbe per “premiare” un comportamento non completamente collaborativo della difesa che ha scelto di comunicare il sopravvenuto stato detentivo solo “all’ultimo momento”. Ciò ovviamente potrebbe essere giustificato e far ritenere adempiuto, nella misura massima possibile, il comportamento collaborativo qualora la sopravvenienza si fosse verificata nell’imminenza dell’udienza: ma dove ciò non si verifichi (e, allorquando, come nella fattispecie, detta evenienza non sia stata nemmeno dedotta), detto effetto premiante (rectius, non ulteriormente pregiudicante) per l’imputato non ha ragione d’essere.

2.3.2. Diversa è invece la situazione con riferimento al differimento d’udienza intervenuto avanti al giudice di secondo grado. In questo caso, a fronte di un processo di primo grado conclusosi con l’imputato ancora detenuto per altro e in assenza di comunicazioni che potessero far presumere il venir meno di quello stato, nessuna giustificazione poteva assumere la richiesta di notifica (non andata a buon fine) della citazione in appello dell’imputato presso il proprio domicilio (notifica che non andava a buon fine nei confronti dell’imputato per riconosciuta irreperibilità temporanea del destinatario e che veniva regolarizzata ai sensi dell’art. 161, comma 4, c.p.p.). Ne consegue che l’assenza dell’imputato alla prima udienza d’appello, giustificata dalla comunicazione del difensore dell’esistenza di uno stato detentivo per altra causa dell’imputato, comportava il differimento dell’udienza per una causa che poteva essere conosciuta o quanto meno che poteva essere presunta nella sua immanenza da parte del giudice sin dal momento della fissazione dell’udienza per la celebrazione del giudizio di secondo grado. L’assenza di colpa nell’assolvimento dell’onere comunicativo in capo alla difesa deve necessariamente esonerare l’imputato dal dover subire le conseguenze della sospensione della prescrizione, non potendosi far ricadere sullo stesso alcun ulteriore pregiudizio in ragione del differimento dell’udienza a cui lo stesso non ha dato corso, nemmeno in modo indiretto.
Da qui l’affermazione del seguente principio di diritto: “La tempestiva comunicazione della difesa (ovvero l’acquisizione da parte del giudice dell’informazione pervenuta aliunde) dell’avvenuto stato detentivo dell’imputato in tempo astrattamente utile per l’effettuazione della traduzione, comporta (salva la rinuncia a comparire dell’interessato) il differimento dell’udienza se la traduzione stessa non venga eseguita ma non determina la sospensione dei termini di prescrizione del reato non potendosi imputare alla parte alcuna negligenza nell’assolvimento dell’onere informativo. Parimenti, si ha differimento d’udienza e mancata sospensione dei termini di prescrizione se la detenzione per altra causa si sia verificata in tempi talmente ristretti rispetto alla data di celebrazione dell’udienza da non poter essere comunicata, per una sorta di inesigibilità materiale, dalla parte, tramite il difensore, se non all’udienza stessa. Fuori da queste ipotesi, ogni comunicazione effettuata della parte tramite il difensore, del sopravvenuto (e non altrimenti conosciuto) stato detentivo per altra causa dell’imputato, anche se intervenuta in udienza, comporta il differimento della stessa, salva la rinuncia a comparire da parte dell’interessato, ma determina altresì la sospensione dei termini di prescrizione del reato, essendo stata la parte nelle condizioni di poter assolvere al proprio onere informativo anche in un momento precedente rispetto all’udienza, circostanza che avrebbe potuto consentire la traduzione dell’imputato”.

3. Ne consegue che, a seguito dell’accoglimento del ricorso, il reato di lesione personale, commesso il 09/06/2014, soggetto ad un tempo di prescrizione;
- comprensivo della durata temporale massima per i verificatisi eventi interruttivi
- pari ad anni sette e mesi sei, tenuto conto della proroga di giorni sessantuno per il differimento dell’udienza del 16/10/2017 al 19/02/2018, risulta essersi prescritto alla data del 08/02/2022, anteriore alla pronuncia in grado d’appello.
L’accoglimento del ricorso determina, pertanto, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente al reato di lesione personale ormai prescritto con l’eliminazione della pena inflitta a tale titolo pari a mesi due di reclusione ed Euro 100,00 di multa (residua la pena per il reato di cui al capo A, pari a complessivi anni uno, mesi dieci di reclusione ed Euro 900,00 di multa). Nessuna somma viene liquidata a titolo di spese sostenute nel grado alla parte civile, estranea al devolutum, in presenza, in ogni caso, di accoglimento della domanda del ricorrente.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di lesione personale per prescrizione e per l’effetto elimina la relativa pena di mesi due di reclusione ed Euro 100,00 di multa.
Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2023.
Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2023

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