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Ambiente Protezione civile Sentenze

Cassazione penale, sez. III, 27 marzo 2008, n. 19206

Redazionedi Redazione13 Maggio 2008
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iscrizione contemporanea a due albi professionali

Svolgimento del processo

Con sentenza del 24 ottobre del 2006, il tribunale di Messina condannava C.F. alla pena di Euro 105,00 di ammenda oltre al pagamento delle spese processuali ed al risarcimento del danno nei confronti della costituita parte civile, quale responsabile del reato di cui all’art. 674 c.p. per avere, mediante la detenzione nel proprio giardino di trenta gatti e quattro cani, provocato emissioni di gas nauseabondi, provenienti da escrementi ed urine degli animali, atti a creare molestie ai vicini. Fatto commesso in ****.
Il tribunale osservava che le dichiarazioni dei confinanti, costituitisi parti civili, erano state confermate dalle testimonianze degli agenti di polizia, i quali avevano affermato e constatato che nell’abitazione delle parti offese si sentiva un “odore nauseabondo provenire dalle aiuole poste a confine con il giardino ****”, probabilmente perchè gli animali facevano lì i loro bisogni.
Ricorre per cassazione l’imputata per mezzo del proprio difensore denunciando illogicità della motivazione per avere il tribunale fondato l’affermazione di responsabilità sulla sola deposizione delle persone offese, senza considerare gli altri elementi processuali.

Motivi della decisione

Anche se la prevenuta non ha contestato l’astratta configurabilità del reato, è opportuno ribadire il principio già in passato affermato da questa corte (Cass Sez. 1, 15 novembre 1993 n. 10336), in forza del quale le emissioni di gas, vapori o fumo idonei ad imbrattare o cagionare molestie alle persone non sono solo quelli provenienti da attività produttive nei casi non consentiti dalla legge, ma anche tutte quelle esalazioni maleodoranti comunque imputabili all’attività umana, quali ad esempio quelle provenienti dalla presenza nel proprio giardino di numerosi animali senza l’adozione di cautele idonee ad evitare disturbo o molestie ai vicini Precisato ciò, si rileva che il ricorso è inammissibile perchè sotto l’apparente deduzione del vizio d’illogicità della motivazione in realtà il ricorrente censura l’apprezzamento delle prove da parte del tribunale la cui motivazione non presenta alcun vizio logico o giuridico.
Invero, il tribunale ha dato atto che gli animali dal punto di vista sanitario erano tenuti bene, ma ciò non escludeva che, per il loro rilevante numero, dal luogo dove erano custoditi potessero, specialmente nei mesi estivi, propagarsi odori nauseabondi, idonei a creare molestia alle persone che abitavano nella zona.
Non è vero che il tribunale di Messina ha fondato l’affermazione di responsabilità sulle sole dichiarazioni delle persone offese, in quanto dalla sentenza impugnata risulta che l’assunto dei denuncianti era stato confermato anche dalla polizia municipale che aveva effettuato un sopralluogo, rilevando che dal giardino della prevenuta provenivano odori nauseabondi. In tema di emissioni idonee a creare molestie alle persone, laddove trattandosi di odori manchi la possibilità di accertare obiettivamente, con adeguati strumenti, l’intensità delle emissioni, il giudizio sull’esistenza e sulla non tollerabilità delle emissioni stesse ben può basarsi sulle dichiarazioni dei testi, quando tali dichiarazioni non si risolvano nell’espressione di valutazioni meramente soggettive o in giudizi di natura tecnica, ma si limitino a riferire quanto oggettivamente percepito dagli stessi dichiaranti, soprattutto se si tratta di persone a diretta conoscenza dei fatti, come i vicini, o particolarmente qualificate, come gli agenti di polizia e gli organi di controllo della USL. (cfr Cass. 99/215147; Cass. 98/210959).
Dall’inammissibilità del ricorso discende l’obbligo di pagare le spese processuali e di versare una somma, che stimasi equo determinare in Euro 1000,00, in favore della Cassa delle Ammende, non sussistendo alcuna ipotesi di carenza di colpa del ricorrente nella determinazione della causa d’inammissibilità secondo l’orientamento espresso dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 186 del 2000.
La ricorrente è tenuta altresì alla rifusione delle spese sostenute in questo grado dalla parte civile, liquidate come nel dispositivo che segue.

P.Q.M.

LA CORTE Letto l’art. 616 c.p.p. dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, liquidate in complessi Euro 2.500,00 oltre IVA ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 27 marzo 2008.
Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2008.

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