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Home»Aree tematiche di MioLegale.it»Diritto urbanistico Edilizia
Diritto urbanistico Edilizia Sentenze

Cassazione penale, sez. III, 6 luglio 2011, n. 26379

Redazionedi Redazione6 Luglio 2011
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iscrizione contemporanea a due albi professionali

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Modica, nell’ambito del procedimento nei confronti di Grosso Saveria, sottoposta ad indagini in ordine:
A) al reato p. e p. dagli artt. 146, 181 D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 e 44 lett. c) D.P.R. 6/6/2001, n. 380 per avere effettuato un intervento edilizio, consistente nella demolizione del rudere di un fabbricato rurale preesistente, e nella edificazione di una nuova costruzione con realizzazione dello scavo e successiva posa in opera delle fondazioni, delle pareti di tamponamento e della copertura, per una superficie occupata di m. 9,70 x 9,70, in difformità all’autorizzazione paesaggistica rilasciata dalla. Sovrintendenza ai BB.CCAA. di Ragusa in data 27.05.2004, prof n.1774, e rinnovata in data 2.12.2009 prot. n. 4757 per lavori di manutenzione straordinaria; il tutto eseguito in C.da Marina Marza, Comune di Ispica, foglio n.87 p.1 la 241/b, zona gravata dai seguenti vincoli:
– art. 142 lett. a) del D.Lgs. n.42/2004 (Codice Urbani) ex art. 1 legge n.431/1985, già art. 146 lett. a) D.Lgs n.490/1999;
– art. 15 lett. a) L.R. n. 76/78 (Divieto di costruzione entro i 150 mt. dalla battigia); – art. 142 lett. in) del D.Lgs n.42/04 (Area di interesse Archeologico);
– D.A. n.970 del 10.06.1991 (Riserva dei Pantani della Sicilia Orientale); – (Area di interesse Comunitario);
B) del reato p. e p. dagli artt. 55 e 1161 co. 1. n.2 R. D. n.327/1942 per avere eseguito senza la prescritta autorizzazione, le opere edili sub a) entro la fascia di rispetto dei trenta metri dal confine del demanio marittimo – in Ispica, fino al 30.9.2010, disponeva in data 8.10.2010 il sequestro preventivo dell’immobile e contestualmente ne chiedeva al (G.i.p. la convalida e l’emissione del decreto di sequestro preventivo.
In motivazione il procuratore della Repubblica evidenziava, tra l’altro, che l’intervento era stato realizzato – menzionando la documentazione fotografica esistente agli atti e lo stesso progetto presentato dall’indagata – su un rudere, consistente non in un organismo edilizio dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura in stato di conservazione tale da consentire la sua fedele ricostruzione, bensì di alcune rimanenze di mura perimetrali e che l’intervento non poteva essere ricompreso tra quelli di manutenzione straordinaria, postulando ciò la demolizione seguita dalla fedele ricostruzione.
In data 13.10.2010 il GIP del tribunale di Modica provvedeva in conformità alla richiesta facendo proprie le argomentazioni esposte dal PM.
In data 18.10.2010, Grosso Saveria presentava richiesta di riesame deducendo che:
– il fabbricato rurale oggetto di intervento non poteva essere definito un rudere, trattandosi invece di preesistente organismo intatto nelle mura perimetrali ed in stato di conservazione tale da consentire un recupero fedele;
– l’attività contestata andava qualificata come manutenzione straordinaria, tipologia di intervento necessitante semplicemente della dichiarazione di inizio attività (DIA);
– in ogni caso, non sussisteva il periculum in mora, trattandosi di manufatto rifinito nella struttura e non potendosi pertanto aggravare le conseguenze del reato. Al tribunale di Ragusa, chiamato a decidere, pervenivano due memorie.
Nella memoria depositata all’udienza del 29/10/2010, la difesa lamentava, tra l’altro, l’illegittimità dell’attività compiuta perché non fondata su alcuna notitia criminis, ma su una denuncia anonima ed essendo stato utilizzato il sequestro come mezzo di acquisizione della notizia di reato e non come mezzo di ricerca della prova, in mancanza di indizi di reità a sostegno della misura cautelare.
Il procuratore della Repubblica, insisteva nelle argomentazioni già sviluppate nel provvedimento di sequestro ed esaminando lo svolgimento fattuale della vicenda, faceva tra l’altro rilevare quanto segue.
Il procedimento in esame era collegato ad altro a carico del marito della Grosso (che successivamente aveva ceduto l’immobile alla moglie) originato dalla realizzazione di opere di fondazione in cemento armato finalizzate alla asserita ristrutturazione del fabbricato rurale che aveva dato luogo al sequestro del cantiere da parte della Capitaneria di Porto di Pozzallo alla data del 17.6.2004 e che dalle fotografie scattate nell’occasione, così come in quelle effettuate pochi mesi prima da personale del Corpo di Polizia municipale e dell’Ufficio tecnico del Comune di Ispica, si rendeva evidente che il preteso fabbricato preesistente altro non era che un tratto di muro dissestato ed un angolo (o cantonale) pericolante.
Quella vicenda processuale – aggiunge il PM – si era conclusa con l’archiviazione del G.i.p con provvedimento in data 25.10.2007, per intervenuta prescrizione dei reati urbanistici.
In data 13.10.2009 la Grossso – che con atto in data 24.10.2008 aveva ricevuto in donazione il rudere dal marito, provvedeva alla rimessione in pristino dei luoghi, eliminando l’intervento in cemento armato realizzato nel 2004 e riavviando l’iter progettuale e burocratico finalizzato al completamento della manutenzione straordinaria.
In data 21.10.2009, la Capitaneria di Porto di Pozzallo aveva accertato l’avvenuta rimozione delle fondamenta, come documentato nei rilievi fotografici, allegati al l’ informativa del 22.10.2010.
Il tribunale, dopo avere premesso che in sede di riesame, il giudice non deve verificare la fondatezza dell’accusa né tanto meno la colpevolezza dell’imputato, bensì la sola astratta configurabilità di un’ipotesi di reato, salvo il caso che la sua infondatezza risulti del tutto manifesta e che la verifica delle condizioni di legittimità della misura da parte del Tribunale in sede di riesame non può tradursi in una anticipata decisione della questione di merito concernente la responsabilità dell’indagato in ordine al reato o ai reati oggetto di investigazione e dopo avere anche rilevato che la ricorrente, per il tramite del direttore dei lavori, aveva prodotto denuncia di inizio attività del 22/6/2010, relativa ad interventi di manutenzione straordinaria sul fabbricato in oggetto, con allegati, tra l’altro, progetti, nulla osta prot. 4757 del 2/12/2009 rilasciato dalla Soprintendenza BB.AA.CC. di Ragusa ed autorizzazione regionale n. 28665/10 ai sensi dell’art. 55 cod. nav., confermava il decreto di sequestro preventivo.
In motivazione riteneva sussistere il fumus dei reati ipotizzati sul rilievo che allo stato era configurabile un intervento di nuova costruzione – subordinato come tale a permesso di costruire -.
E ciò in quanto andava escluso che l’immobile in questione potesse essere considerato, al momento del rilascio degli atti autorizzativi, organismo edilizio preesistente, in quanto trattavasi in realtà di un rudere in quanto, per effetto del progressivo degrado subito nel corso degli anni, il fabbricato, al momento dell’inizio dei lavori, presentava due soli muri perimetrali, in parte diruti, ed un cantonale esterno ed era anche privo di copertura e di pavimentazione. Aggiungeva il tribunale che lo stesso direttore dei lavori, nella relazione tecnica illustrativa allegata alla D.I.A., aveva specificato che “il fabbricato si presenta come un rudere” e che nel 2009, il fabbricato era certamente da considerarsi tale, in mancanza dei tre elementi costituiti da mura perimetrali (presenti solo parzialmente), strutture orizzontali e copertura, così come indicato in numerose sentenze di legittimità.
Avverso tale decisione propone ricorso Grosso Saveria, deducendo tramite il proprio difensore.
1) Violazione dell’art. 606, lett. b) e e) cpp, in relazione agli artt. 333, comma 3, c.p.p. e art. 321 c.p.p.
In proposito si assume la nullità del decreto di sequestro del P.M. dell’8.10.2010, del provvedimento di convalida del GIP presso il Tribunale di Modica del 13.10.2010 nonché dell’ordinanza del Tribunale del Riesame, perché la misura cautelare sarebbe stata eseguita in assenza di una “notizia criminis”.
Si fa rilevare, infatti, che nel fascicolo del P.M. si rinvengono due atti che solo astrattamente potrebbero definirsi “notizia di reato” e, cioè, la relazione di servizio della Guardia di Finanza datata 5.10.2010, con la quale si riferisce di un controllo effettuato il 30 settembre 2010 su un manufatto in costruzione che, tuttavia, attesta la liceità degli interventi in corso, ed il secondo, protocollato in data 6.10.2010, costituito da una missiva non firmata proveniente da un sedicente forestale con la quale si denunciano presunti abusi edilizi della Grosso.
Ciò posto si assume che poiché la notitia criminis proveniva da una fonte anonima, in assenza di altri indizi, non sarebbe stata idonea a legittimare il provvedimento di perquisizione e conseguente sequestro del manufatto in quanto, a mente del comma 3 dell’art. 333 c.p.p., salvo il disposto dell’art. 240 c.p.p., della denuncia anonima non può farsi alcun uso, non essendo idonea a dare inizio alle indagini preliminari.
Né si assume essere idoneo ad integrare il quadro indiziario il riferimento al contenuto del precedente procedimento in ordine all’intervento edilizio sul medesimo fondo da parte del marito della ricorrente in quanto definito con un provvedimento di archiviazione ed in ogni caso necessitando la prosecuzione di quelle indagini un decreto di riapertura da parte del GIP.
2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 606 lett. b) cpp, in relazione agli artt. 31 L. n. 457/1978 3 DPR 380/2001 nonché in relazione all’art. 1 L.R. Sic. 6.2.206 n. 12; art. 20 L.R. Sic. 27.12.1978 n. 71; art. 18 L.R. Sic. 6.5.1981 n. 86; art. 1 L.R. Sic. 21.4.1995 n. 40 e art. 14 L.R..3.2002 n. 2.
Si sostiene al riguardo che per la valutazione dell’intervento in questione non si sia tenuto conto del disposto dell’art. 3 lett. c) e d) DPR 380/2001 e, cioè, della possibilità di utilizzare la DIA per interventi di “…di restauro e di risanamento conservativo”, “..rivolti a conservare l’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo stesso, ne consentano una destinazione d’uso con essi compatibile…” ed a tal fine “…comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio, l’inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell’uso, l’eliminazioni degli elementi estranei all’organismo edilizio;” nonché di ristrutturazione edilizia che consentono la demolizione e ricostruzione dell’edificio e che nemmeno sia stato preso in considerazione il compendio legislativo regionale siciliano (articoli 20 della L.R. 71/1978 e 18 della L.R. 86/1981, art. 1 L.R. 40/1995 e art. 14 L.R. 26 marzo 2002 numero 2) per verificare la rispondenza del titolo abilitativo rispetto all’intervento contestato.
Al riguardo si fa rilevare che la normativa indicata rende assolutamente legittimo procedere su tutto il territorio nazionale ivi compreso quello siciliano, al recupero e risanamento di un edificio esistente mediante una ristrutturazione, attuata anche attraverso l’integrale demolizione e la successiva fedele e pedissequa ricostruzione.
Si aggiunge poi che il Tribunale illogicamente avrebbe ritenuto che il manufatto in questione potesse essere considerato rudere sin dal 2009 e che, inoltre, avrebbe anche commesso un evidente errore di diritto nell’individuazione dei corretti criteri giuridici necessari alla definizione di “rudere”. Gli elementi indicati dal tribunale (assenza di copertura, di parte delle mura perimetrali e di strutture orizzontali) non sarebbero, infatti, dirimenti in quanto al fine di individuare la corretta nozione giuridica di “rudere”, non basta aver riguardo allo stato materiale dell’immobile, dovendosi piuttosto valutare l’elemento soggettivo derivante dalla “voluntas” di abbandonarne la manutenzione e la cura.
La difesa della ricorrente ha depositato memoria illustrativa per rimarcare il possesso delle autorizzazioni amministrative necessarie.
Motivi della decisione
Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.
Sul primo motivo, concernente la nullità del sequestro per mancanza della notitia criminis, ha già correttamente risposto il tribunale del riesame ricordando come gli elementi contenuti nelle denunce anonime possono senz’altro stimolare l’attività di iniziativa del P.M. e della polizia giudiziaria al fine di assumere dati conoscitivi, diretti a verificare se dall’anonimo possano ricavarsi estremi utili per l’individuazione di una “notitia criminis” (ex multis, Cass. Pen., sez. 6, Sentenza n. 36003 del 21/09/2006, Sez. 4, Sentenza n. 30313 del 17/05/2005).
Correttamente si evidenzia altresì in motivazione che il decreto di sequestro preventivo reca specifica motivazione sulle ragioni giustificative richiamando la documentazione fotografica ed amministrativa acquisita dall’indagata e richiamando anche il contenuto del procedimento in ordine ad un precedente intervento edilizio sul medesimo fondo da parte del marito della ricorrente per illustrare la portata dell’intervento.
Quanto alla invocata necessità di un provvedimento di riapertura delle indagini per l’utilizzazione degli atti di indagine in precedenza compiuti, sulla quale la difesa ha insistito anche nel corso della discussione, essa deve essere senz’altro esclusa nella specie.
Anche di recente, infatti, le Sezioni Unite della Corte hanno precisato che il difetto di autorizzazione alla riapertura delle indagini determina l’inutilizzabilità degli atti di indagine eventualmente compiuti dopo il provvedimento di archiviazione e preclude l’esercizio dell’azione penale per lo stesso fatto di reato oggettivamente e soggettivamente considerato. (Sez. U. n. 33885 del 24/06/2010 Rv. 247834).
Ed è chiaro che nella specie il fatto di reato per il quale vi è stata archiviazione non può essere considerato né soggettivamente, né oggettivamente lo stesso rispetto a quello per il quale si procede.
In relazione al primo aspetto si rileva, infatti, che la precedente indagine riguardava esclusivamente il marito della Grosso non essendo all’epoca quest’ultima proprietaria dell’immobile.
Quanto al secondo profilo la condotta della Grosso appare assolutamente svincolata da quella precedentemente posta in essere dal marito tant’è che la ricorrente aveva provveduto al ripristino dello stato dei luoghi appena diventata proprietaria del rudere.
La condotta contestata è dunque autonoma rispetto a quella precedente né appare in alcun modo contraddittoria la decisione della procura della Repubblica di avvalersi anche di atti già acquisiti in quella sede in quanto necessaria per documentare lo stato preesistente del manufatto e l’intervento di ricostruzione da parte di soggetti diversi. Quanto al secondo motivo va anzitutto rilevato che il provvedimento di sequestro si basa sulla considerazione che il manufatto non potesse che essere considerato altro se non un rudere in quanto dagli atti e dalle fotografie acquisite risultava che gli interventi della ricorrente erano stati realizzati su un edificio diruto, costituito solo dalle rimanenze di due delle mura perimetrali, privo di copertura e di pavimentazione.
Opportunamente si evidenzia che nella stessa DIA si specifica che il fabbricato si presenta come rudere.
Ora rispetto ai rilievi della ricorrente si osserva che quest’ultima contesta che nella specie possa ricorrere la nozione di rudere e ricorda come la demolizione e ricostruzione di un manufatto possa rientrare sia per la legislazione statale che per quella regionale nella definizione di manutenzione straordinaria o di intervento conservativo.
Ciò posto va anzitutto ricordato che è assolutamente consolidato l’orientamento di questa Sezione nel senso di ritenere che la ricostruzione di un “rudere” costituisce nuova costruzione e non ristrutturazione di edificio preesistente, atteso che il concetto di ristrutturazione edilizia sottende necessariamente la preesistenza di un fabbricato da ristrutturare, inteso quale organismo edilizio dotato delle mura perimetrali, delle strutture orizzontali e della copertura (ex plurimis Sez. 3, n. 15054 del 23/01/2007 Rv. 236338).
Si è osservato, infatti, che la ricostruzione su ruderi costituisce sempre “nuova costruzione”, in quanto il concetto di ristrutturazione edilizia postula necessariamente la preesistenza di un fabbricato da ristrutturare, cioè di un organismo edilizio dotato delle murature perimetrali, strutture orizzontali e copertura. In mancanza di tali elementi strutturali non è possibile valutare l’esistenza e la consistenza dell’edificio da consolidare ed i ruderi non possono che considerarsi alla stregua di un’area non edificata.
È in re ipsa, dunque, che nel caso di demolizione e ricostruzione di un rudere non possa in alcun modo farsi riferimento ai concetti di ristrutturazione straordinaria o di risanamento conservativo in quanto manca la possibilità di riscontrare la rispondenza di quanto realizzato a quanto demolito.
Né vale rilevare che – come sostiene la ricorrente – la qualificazione di un immobile come rudere richieda necessariamente un’indagine sulla volontà del proprietario di abbandonare o comunque disfarsi del manufatto in quanto ciò non è previsto da alcuna disposizione risultando assorbante nell’ipotesi del rudere, si ribadisce, il rilievo circa l’impossibilità di individuare le caratteristiche del precedente manufatto. È dunque senz’altro corretto il richiamo alla giurisprudenza di legittimità fatto nell’ordinanza del riesame. Né dalle normativa regionale citata dal ricorrente è possibile desumere sul punto indicazioni diverse.
L’articolo 20 della L.R. Sicilia 71/1978 infatti, sotto il titolo “definizione degli interventi”, definisce gli interventi di recupero del patrimonio edilizio, come “… b) interventi di manutenzione straordinaria: le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici.. sempre che non alterino i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non comportino modifiche della destinazione d’uso; c) interventi di restauro e di risanamento conservativo: quelli rivolti a conservare l’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo stesso, ne consentano destinazione d’uso con essi compatibili… comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio, l’inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell’uso, l’eliminazione degli elementi estranei all’organismo edilizio; d) interventi di ristrutturazione edilizia: quelli rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possano portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente.. comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, la eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti .
L’articolo 18 della L.R. 6 maggio 1981 numero 86 come sostituito dall’articolo 24 della L.R. n. 15/1986, prevede che per gli immobili degradati non assoggettati al piano di recupero “.. si attuano gli interventi edilizi che non siano in contrasto con gli strumenti urbanistici generali, nonché quelli stabiliti dall’art. 20, lettera a), b), c) e d) delle legge regionale 27 dicembre 1978 n. 71..”.
L’articolo 12 della L.R. 40/995, a sua volta, ammette la demolizione e ricostruzione con la medesima cubatura, dei fabbricati esistenti nelle zone agricole.
Quanto poi all’articolo 14 della L.R. 2/2002, attuandosi un richiamo al sesto comma dell’articolo 1 della L. 443/2001, si conferma il principio secondo cui possono essere realizzate anche in base a semplice Denuncia di Inizio Attività “..b) le ristrutturazioni edilizie, comprensive della demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma..”.
Tali disposizioni, che peraltro si conformano ai principi del DPR 380/01, evidentemente, non assumono per le ragioni esposte rilevanza ai fini della questione evidenziata dal riesame.
Ne consegue il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.
PQM
La Corte Suprema di Cassazione
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 3.5.2011

Disclaimer: Contenuti a scopo informativo e divulgativo che non sostituiscono il parere legale di un avvocato. Per una consulenza legale personalizzata contatta lo studio dell’avv. Gianluca Lanciano: Clicca e compila il form · WhatsApp 340.1462661 · Chiama 340.1462661 · Scrivi info@miolegale.it
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